Un contributo di Franco Picilli al dialetto barese


VITTORIO POLITO -
Il dialetto barese si arricchisce di un altro contributo a firma di Franco Picilli, “La megghie pausì d’iind’u core che l’ecchie la so ditte”, pubblicato postumo a cura della figlia Luigia dalla WIP Edizioni.

Per Franco Picilli scrivere in dialetto rappresentava un impegno molto serio, scriveva sempre con il dizionario del dialetto barese accanto. Non sopportava il dialetto “maccheronico”, quello scritto come si pronuncia. Il dialetto per l’autore era il protagonista delle sue poesie che considerava identità appartenenza, storia, radici legami, insomma un potente mezzo per dare forma ai suoi pensieri ed ai suoi sentimenti.

Il testo riporta parte della sua produzione poetica e ricorda i momenti sereni e gioiosi della vita come le festività, i compleanni, gli anniversari, il suo amore per il mare e soprattutto per San Nicola, Bari e i Baresi.

Franco Picilli, è stato docente di scuola elementare, bibliofilo, amava cruciverba, rebus, enigmi e passatempi, fine conoscitore del latino, ricercatore storico di Bari e della Puglia, ma la precedenza assoluta la dava al dialetto e alle composizioni.

Scrive del padre la figlia Luigia nella Introduzione: “Una poesia non elitaria e riservata a pochi privilegiati, ma appartenente a tutti e in cui tutti possono ritrovarsi e leggere la propria realtà. Una raffinata forma di comunicazione tra arte e sentimenti che attraverso la narrazione poetica rievoca immagini tenere, che si fissano nei ricordi e che provocano emozioni forti che fanno battere il cuore ad ogni lettura”.

Un assaggio?

La strascenate


Ce sso’ belle le strascenate
sanda mane ca l’ha trembate!
Ce sso’ prefemate le strascenate
av’avè amore ce l’ha checenate!
Ce sso’ saperite le strascenate:
bona sort’a mme ca le so’ mangiate!

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