FRANCESCO GRECO - “Và, butta terra sulle sfere celesti che
governano il mondo” (Omar Khayyām,
poeta persiano dell’XI secolo).
C’è qualcosa di primitivo e ancestrale, di dolce e magico, come di una languida spossatezza, ma anche di un’energia indomabile nell’arte di Salvatore Ferilli.
Quel mondo che appartiene all’infanzia di tutti, avvolgente e amorevole, con i suoi valori immortali, ma che appare in declino, forse perduto, chissà, però giace negli animi degli uomini e basta un niente per evocarlo, risvegliarlo, riviverlo.
L’artista (vive a Barbarano del Capo, Lecce) lo evoca nei 18 dipinti che propone nella Sala Polivalente di Torre Vado (marina di Morciano di Leuca) dall’8 al 22 luglio.
E’ forse quello che piace a un pubblico fatto di turisti, che lo apprezza e lo aspetta ogni anno: sintonizzarsi con l’anima di una terra trasfigurata come nel sogno. Ferilli sa farlo con l’incanto e la tenerezza dei colori pastello, nelle sfumature e i chiaroscuri dei visi, nei dettagli: l’erba, il mare, la natura che riveste di un significato quasi catartico, in grado di rappacificare l’uomo del XXI secolo a disagio in questi tempi deliranti e folli.
Ma è solo un’altra delle numerose chiavi con cui accedere al suo mondo artistico complesso: tempo fa individuammo altre declinazioni, una psicanalitica e una filosofica. E altre ce ne sono certamente in una lettura che è sempre in divenire.
Autodidatta, ma ormai padrone delle tecniche, l’artista ha una solida famiglia alle spalle (moglie e due figlie adolescenti), fa l’insegnante e sicuramente il contatto quotidiano con l’innocenza dei ragazzi che crescono gli suggerisce stati d’animo densi di pathos e di hybris che poi trasferisce sulla tela.
Parli con Salvatore e scopri le interfacce del suo universo interiore. Una frase ci colpisce e svela una sorta di concept, di postulato estetico: “L’arte per me è un rifugio contro il degrado dentro e fuori degli uomini...”. Rifugio e terapia, verrebbe da aggiungere.
Ferilli cerca quei mondi perduti, la semantica primordiale, prima che le parole fossero svuotate, un tradimento filologico che ci sovrasta e ci rende infelici. L’artista cerca una loro purezza non per allontanarsi dalle asprezze e gli stordimenti del quotidiano, ma quale password per decodificarle e magari relativizzarle, restituendo un logos a valori se non perduti almeno relativizzati.
La sua arte ci fa sintonizzare con l’universo, la natura, gli altri, riesce a darci pace ma anche speranza, come quei “sovrumani silenzi e profondissima quiete” (Leopardi), a farci parlare con la lingua universale “scoperta” da Neruda, laleggerezza del sentimento di Tagore.
Il soffio infinito della poesia che accarezza l’anima, addolcisce gli orizzonti, dona la consolazione del tempo che scorre.
C’è qualcosa di primitivo e ancestrale, di dolce e magico, come di una languida spossatezza, ma anche di un’energia indomabile nell’arte di Salvatore Ferilli.
Quel mondo che appartiene all’infanzia di tutti, avvolgente e amorevole, con i suoi valori immortali, ma che appare in declino, forse perduto, chissà, però giace negli animi degli uomini e basta un niente per evocarlo, risvegliarlo, riviverlo.
L’artista (vive a Barbarano del Capo, Lecce) lo evoca nei 18 dipinti che propone nella Sala Polivalente di Torre Vado (marina di Morciano di Leuca) dall’8 al 22 luglio.
E’ forse quello che piace a un pubblico fatto di turisti, che lo apprezza e lo aspetta ogni anno: sintonizzarsi con l’anima di una terra trasfigurata come nel sogno. Ferilli sa farlo con l’incanto e la tenerezza dei colori pastello, nelle sfumature e i chiaroscuri dei visi, nei dettagli: l’erba, il mare, la natura che riveste di un significato quasi catartico, in grado di rappacificare l’uomo del XXI secolo a disagio in questi tempi deliranti e folli.
Ma è solo un’altra delle numerose chiavi con cui accedere al suo mondo artistico complesso: tempo fa individuammo altre declinazioni, una psicanalitica e una filosofica. E altre ce ne sono certamente in una lettura che è sempre in divenire.
Autodidatta, ma ormai padrone delle tecniche, l’artista ha una solida famiglia alle spalle (moglie e due figlie adolescenti), fa l’insegnante e sicuramente il contatto quotidiano con l’innocenza dei ragazzi che crescono gli suggerisce stati d’animo densi di pathos e di hybris che poi trasferisce sulla tela.
Parli con Salvatore e scopri le interfacce del suo universo interiore. Una frase ci colpisce e svela una sorta di concept, di postulato estetico: “L’arte per me è un rifugio contro il degrado dentro e fuori degli uomini...”. Rifugio e terapia, verrebbe da aggiungere.
Ferilli cerca quei mondi perduti, la semantica primordiale, prima che le parole fossero svuotate, un tradimento filologico che ci sovrasta e ci rende infelici. L’artista cerca una loro purezza non per allontanarsi dalle asprezze e gli stordimenti del quotidiano, ma quale password per decodificarle e magari relativizzarle, restituendo un logos a valori se non perduti almeno relativizzati.
La sua arte ci fa sintonizzare con l’universo, la natura, gli altri, riesce a darci pace ma anche speranza, come quei “sovrumani silenzi e profondissima quiete” (Leopardi), a farci parlare con la lingua universale “scoperta” da Neruda, laleggerezza del sentimento di Tagore.
Il soffio infinito della poesia che accarezza l’anima, addolcisce gli orizzonti, dona la consolazione del tempo che scorre.