NICOLA ZUCCARO - Bari, mercoledì 28 luglio 1943. Tre giorni dopo la caduta del Fascismo e la destituzione di Benito Mussolini da capo del Governo e del suo successivo arresto su disposizione di Re Vittorio Emanuele III, si diffuse in mattinata la notizia dell'imminente rilascio dei detenuti antifascisti reclusi presso la locale Casa Circondariale. Più di 200 cittadini si unirono spontaneamente per raggiungere il Carcere ubicato in Corso Sicilia, attuale Alcide De Gasperi.
Giunto in via Niccolò dell'Arca, il corteo, composto in gran parte da studenti e insegnanti, sostò davanti alla sede della Federazione del Partito Fascista e, sotto la vigilanza a vista di un reparto del Regio Esercito a protezione della stessa, i manifestati chiesero la rimozione delle insegne del Fascio. Mentre il Prof. Fabrizio Canfora tentava di spiegare all'Ufficiale che comandava il nucleo di militari l'intento pacifico dell'iniziativa, i soldati spararono contemporaneamente dalle finestre dello stesso edificio e da altezza d'uomo. Gli spari, partiti senza preavviso dai fucili dei soldati, furono di reazione ai colpi esplosi dalla pistola in possesso del Sergente Domenico Carbonara che si era precedentemente posizionato alle spalle del plotone.
Il militare di truppa appartenente al Battaglione San Marco era in licenza e unendosi ai manifestanti, secondo quanto sostenuto dal compianto Franco Sorrentino (sopravvissuto alla strage e arrestato nella notte tra il 28 e il 29 luglio 1943), con questo gesto sconsiderato, provocò in pochi attimi il bagno di sangue in via dell'Arca con la morte di 20 persone e il ferimento di 50 cittadini. Accusato della sparatoria, il Sergente Carbonara andò a processo e, sia per la discrepanza delle versioni atte alla ricostruzione del conflitto a fuoco, sia per l'insufficienza di prove, il 7 gennaio 1944 fu assolto dal Tribunale Militare Territoriale di Taranto. La sua assoluzione complicò la ricerca della verità su una strage della quale, a 80 anni di distanza, non viene ancora riconosciuta la regia di Stato e la matrice badogliana, per essere stata l'applicazione della circolare del 26 luglio 1943 che, a firma del generale Mario Roatta - confermato Capo di Stato Maggiore dell'Esercito dal Governo retto da Pietro Badoglio - vietava ogni manifestazione pubblica.
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