Notte della Taranta, a quando un direttore artistico ‘indigeno’?

FRANCESCO GRECO - Alla Flaiano: situazione tragica ma non seria. Perverso il meccanismo. Sfuggenti le logiche. Qualcuno parla di “militanze”, altri di “parrocchie”, altri usano parole ancora più pesanti.

Prima i talenti li si spinge a emigrare, poi, quando si affermano ad altri meridiani e paralleli, subito si corre in aiuto del vincitore, a sponsorizzarli senza un minimo di decenza, per godere di luce riflessa.

“Vecchia storia, lasciamo perdere…”, dice annoiato qualcuno a cui chiediamo lumi.

Prendiamo una manifestazione che ha grande visibilità: la Notte della Taranta, nata da un’idea vincente (era il 1998) di Sergio Blasi, Maurizio Agamennone e Gianfranco Salvatore, ormai giunta alla 24ma edizione (26 agosto 2023).

Territori ignorati, sempre un direttore artistico forestiero. Al massimo un assistente local, quasi a voler costringere un popolo fiero e orgoglioso al rango di accessorio, di gregario. Mai uno “indigeno”, manco per sbaglio.

Non è anche così che si umilia il genius loci? Il popolo che ha dato al mondo il poeta Ennio e Carmelo Bene, per dirne solo due…

E di “nomi” ce ne sarebbero tanti, non ne facciamo manco uno per non offendere nessuno. “Nomi” di altissimo profilo, degnissimi, di professionisti seri e appassionati, rimasti nonostante tutto sui territori, per un amore non corrisposto, o con rapide incursioni extra moenia e pronto ritorno.

Grandi artisti, lavoratori instancabili innamorati della loro terra nonostante le tante contraddizioni, le infinite criticità.

La Taranta è finanziata con i soldi pubblici, dei cittadini della Puglia. Che quasi in un quarto di secolo non hanno mai avuto la gioia di vedere sul palco a dirigere l’Orchestra del Concertone un loro figlio, o nipote. Mai.

Mentre la comunicazione ogni anno corre a scodinzolare e a tessere peana appena si conosce il nome del direttore artistico dell’edizione in itinere. Così il territorio non cresce mai, è lasciato sempre al rango di larva, a offrire la manovalanza, quasi fosse la sua mission.

L’argomento è tabù, un nervo scoperto, materia urticante: nessuno ne vuole parlare.

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