VITTORIO POLITO - Il frate è un membro di un ordine religioso (francescano, benedettino, domenicano, carmelitano, ecc.), da sempre protagonista di esempi di vita edificante, ascetica, di amore per il prossimo. Il più noto, Francesco d’Assisi, il poverello.
Al di là della vita ascetica, anche i frati qualche volta si sono resi protagonisti di fatti che hanno interessato la cronaca. Gioacchino Murat decise con decreto del 7 agosto 1809, di chiudere il 31 luglio 1811 il Convento “San Pietro delle Fosse” di Bari, come ricorda lo storico Vito Antonio Melchiorre (1922-2010), nel suo libro “Storie Baresi” (Levante).
Qualche giorno prima della chiusura (giugno 1811), scoppiò, nel refettorio del Convento una furibonda rissa tra il custode padre Michele da Bari e i padri Giuseppe da Putignano, Giuseppe da Molfetta e Francesco Saverio da Bari, i quali, dopo un nutrito scambio di ingiurie e parolacce, arrivarono addirittura alle mani, mentre uno di loro tirò fuori anche un coltello, minacciando di ferire gli avversari. Pare che il litigio fosse stato determinato per la spartizione dei modesti averi della comunità in occasione della chiusura del Convento. Il tempestivo intervento dei presenti riuscì a sedare la lite.
La notizia, che divenne di pubblico dominio, indusse l’arcivescovo Baldassarre Mormile a segnalare l’avvenimento all’Intendente F.G. Dumas, informandolo che intendeva punire i responsabili, trasferendoli in altre sedi della Diocesi. Infatti Michele da Bari fu trasferito a Mola, Giuseppe da Putignano a Casamassima, Giuseppe da Molfetta a Bisceglie e Francesco Saverio da Bari, a Rutigliano. Il più ribelle di tutti si mostrò Francesco Saverio da Bari il quale, nonostante il divieto, continuò a celebrare Messa e fu quindi arrestato e trasferito in altra sede. Il frate ribelle per evitare nuove punizioni si finse ammalato fino a farsi somministrare il viatico (la comunione e l’unzione degli infermi). Anche il frate Michele da Bari mise scompiglio la comunità molese e l’arcivescovo lo trasferì a Ruvo.
Curiosità
Un proverbio ricorda che “I frati fanno quattro voti: 1° - d’essere sempre casti; 2° - d’essere sempre poveri; 3° - d’essere sempre obbedienti e 4° - di non osservarne mai nessuno.
I primi tre sono quelli che i frati effettivamente professano: castità, povertà e obbedienza, il quarto è però la negazione dei primi tre.
Al di là della vita ascetica, anche i frati qualche volta si sono resi protagonisti di fatti che hanno interessato la cronaca. Gioacchino Murat decise con decreto del 7 agosto 1809, di chiudere il 31 luglio 1811 il Convento “San Pietro delle Fosse” di Bari, come ricorda lo storico Vito Antonio Melchiorre (1922-2010), nel suo libro “Storie Baresi” (Levante).
Qualche giorno prima della chiusura (giugno 1811), scoppiò, nel refettorio del Convento una furibonda rissa tra il custode padre Michele da Bari e i padri Giuseppe da Putignano, Giuseppe da Molfetta e Francesco Saverio da Bari, i quali, dopo un nutrito scambio di ingiurie e parolacce, arrivarono addirittura alle mani, mentre uno di loro tirò fuori anche un coltello, minacciando di ferire gli avversari. Pare che il litigio fosse stato determinato per la spartizione dei modesti averi della comunità in occasione della chiusura del Convento. Il tempestivo intervento dei presenti riuscì a sedare la lite.
La notizia, che divenne di pubblico dominio, indusse l’arcivescovo Baldassarre Mormile a segnalare l’avvenimento all’Intendente F.G. Dumas, informandolo che intendeva punire i responsabili, trasferendoli in altre sedi della Diocesi. Infatti Michele da Bari fu trasferito a Mola, Giuseppe da Putignano a Casamassima, Giuseppe da Molfetta a Bisceglie e Francesco Saverio da Bari, a Rutigliano. Il più ribelle di tutti si mostrò Francesco Saverio da Bari il quale, nonostante il divieto, continuò a celebrare Messa e fu quindi arrestato e trasferito in altra sede. Il frate ribelle per evitare nuove punizioni si finse ammalato fino a farsi somministrare il viatico (la comunione e l’unzione degli infermi). Anche il frate Michele da Bari mise scompiglio la comunità molese e l’arcivescovo lo trasferì a Ruvo.
Curiosità
Un proverbio ricorda che “I frati fanno quattro voti: 1° - d’essere sempre casti; 2° - d’essere sempre poveri; 3° - d’essere sempre obbedienti e 4° - di non osservarne mai nessuno.
I primi tre sono quelli che i frati effettivamente professano: castità, povertà e obbedienza, il quarto è però la negazione dei primi tre.