Libri: 'Gli ultimi condannati a morte' di Michele Cristallo per Adda

LIVALCA - «In questo libro racconto tre processi di quell’epoca a carico di persone riconosciute colpevoli di raccapriccianti crimini. I tre processi si conclusero con la condanna a morte di tre dei sei imputati. Due di essi, dopo reiterati ricorsi, ottennero dalla Cassazione di Napoli la commutazione della pena di morte nella condanna ai lavori forzati a vita, frutto evidente del dibattito culturale e politico in atto nel Paese contro la pena capitale. Le vicende legate a quei processi sono anche lo specchio di una certa società, protagonista e vittima di grande miseria economica e, spesso, morale, nella quale erano frequenti reati particolarmente gravi e orrendi» queste parole estrapolate dalla sintetica e pur esauriente presentazione con cui Michele Cristallo ci illustra la sua ultima fatica editoriale: «Gli ultimi condannati a morte» (postfazione di Santa Fizzarotti Selvaggi, ADDA EDITORE, 2023, pp. 120, ill., € 15,00) chiariscono, in maniera inequivocabile, l’intendimento del volume.

Verso la metà degli anni ’70, su invito dell’avv. Margherita, fondatore e direttore de “IL MERIDIONALE”, mi ero occupato del prof. Nicola Pende, dell’on. Pietro Fedele che, nella veste di Ministro della Pubblica Istruzione (aveva sostituito il dimissionario Giovanni Giolitti) il 14 gennaio 1925 inaugurò l’Università di Bari, di Giuseppe Zanardelli, la cui proposta di legge per l’abolizione della pena di morte fu approvata da Camera e Senato all’unanimità il 22 novembre 1888 e del delitto che Cristallo rievoca con dovizia di particolari nel capitolo denominato “La strage di Noicattaro”.

Il prof. Pende (Noicattaro 1880- Roma 1970) è stato il primo Magnifico Rettore dell’Università barese, oltre che scienziato di grande valore incorso in situazioni controverse, ma chi scrive nell’articolo ‘incriminato’ affermò che era nato nello stesso comune Noicattaro, solo sette anni dopo un efferato delitto che sconvolse l’intera comunità nojana e che Cristallo precisa avvenne il 4 novembre 1887: un certo Giacomo Benedetto uccise la suocera, la moglie e i loro tre figli a colpi di zappa e poi completò l’opera con l’aiuto di forbici che gli servivano per la professione di venditore ambulante di tessuti. Solo leggendo il volume di Cristallo ho appreso che è stata l’ultima sentenza di morte eseguita in Puglia, il 20 aprile 1888 (1° Governo di Francesco Crispi), nel fossato del Castello Svevo di Bari. Nella sua meticolosa ricostruzione Cristallo non può mancare di comunicarci come l’autore materiale della strage di Noicattaro avesse tentato in precedenza la fortuna in Argentina, dove pare che all’inizio le cose procedessero discretamente; comunque rientrato in Italia riprese il suo vecchio lavoro e in paese tutti notarono che l’indole di soggetto predisposto alla ‘mascalzonata’ non era mutata, tanto è vero che più volte la moglie lo aveva denunciato per maltrattamenti, sevizie ed altro.

Cristallo ricostruisce il ’dramma’ di quegli anni per la nostra gente e, nonostante il ‘repetita iuvant’ non giovi alla nostra ‘salute’, ci ricorda la spoliazione che, a partire dall’Unità d’Italia, dovette subire il nostro Mezzogiorno con il danno che venne paralizzata una vitale industria meridionale e non andiamo oltre altrimenti sarà difficile cavarcela con “omnia vincit amor”, magari ricorrendo a qualcosa di meno romantico, ma più …
A tal proposito val la pena rammemorare che la città di Bari fin dal 1862, su proposta del sindaco Mundo, formulò una petizione al Governo per ottenere una necessaria Università, volano indispensabile per i bisogni di tutta la regione; subito dopo vi fu una concreta interpellanza del deputato Giuseppe Massari; nel 1921 il senatore Chimienti presentò un’interpellanza per capire se i tempi erano maturi e la fece avallare dalle firme dei senatori: Bergamini, Cagnetta, Calisse, Scialoja, Quarta, Melodia, Rava, Loria, Tommasi, Martino, Lamberti, Loiodice, Secchi, Palummo, Schiralli e altri. ‘Dulcis in fundo’ nel 1925 Bari ebbe il suo Ateneo.

Interessante come Cristallo ci faccia vivere la fase istruttoria del processo a carico del Benedetto e lo zelo con cui sia il giudice che la difesa interpretino il loro ruolo: lo stesso imputato fin da subito comprende che la pazzia è la sua unica carta cui avvalersi, ma il procedere delle udienze evidenzia come vi fu premeditazione fredda e calcolata. La lettura è piacevole e le arringhe sono generose ma rispettose: il popolo, la folla ha già deciso da subito quella che dovrebbe essere la sentenza, ma il tutto procede secondo giustizia e la Corte dopo un breve ritiro in Camera di Consiglio emette la sentenza: condannato alla pena di morte, che fu eseguita il 20 aprile 1888, come prima ricordato.

ll secondo caso trattato da Cristallo riguarda un parricidio avvenuto ad ottobre del 1885 in Acquaviva delle Fonti: Vito Lattarulo di 19 anni uccide il padre Vito Leonardo di 58 anni, con la complicità di tre persone. Un autentico servitore dello Stato, il brigadiere Beniamino De Nofrio, conduce con grande abilità le indagini, coadiuvato dalla sua conoscenza di usi, costumi e difetti della comunità in cui operava. Concluse le indagini offre al pretore Longhi già un quadro ben definito entro cui si sono svolti i fatti, per cui il pretore, precisando al parricida che le sorelle hanno già affermato che il padre è stato ucciso dal fratello, riesce a farlo capitolare.

Il lettore seguendo con apprensione il repentino evolversi della situazione può constatare come genuinamente-furbescamente gli imputati cercassero di mettere in atto una credibile difesa, ma anche come il presunto parricida e i presunti tre complici non avessero una comune strategia.
Il verdetto finale sarà esemplare perché la Corte presieduta da De Crecchio non tralascia di considerare le attenuanti generiche per i complici: Vito Lattarulo per l’uccisione del padre viene condannato alla pena di morte, mentre due dei complici ai lavori forzati a vita, mentre il terzo ai lavori forzati per dieci anni.

Fu presentato ricorso contro la condanna a morte: una prima volta respinto, la seconda volta la pena fu commutata in lavori forzati (con acume il vecchio cronista Michele ci fa notare quanto fosse veloce, allora, la giustizia, pur non disponendo delle moderne agevolazioni computerizzate, invece, oggi, ‘lento pede’ è consuetudine). Anche uno degli altri tre condannati ebbe la pena modificata da lavori forzati all’ergastolo, mentre gli altri due non hanno presentato mai ricorso.

Il terzo caso riguarda un bovaro di Santeramo, Pietro Colonna, che fu accusato dell’omicidio del figlio del suo datore di lavoro proprietario della masseria in cui prestava la sua opera nelle campagne di Noicattaro. In verità il Colonna andò a processo con l’imputazione di omicidio premeditato, insieme ad un altro imputato tale Rinaldi, che fu assolto, mentre per lui vi fu la condanna a morte. In seguito a ricorso, ci fa sapere Cristallo, la pena fu ridotta a 13 anni di lavori forzati. Un capitolo molto interessante del libro riguarda “La pena di morte” e devo ammettere che, pur considerandomi ferrato in materia, ho ampliato le mie conoscenze: avrei evitato la citazione di Sant’Agostino e San Tommaso d’Aquino e la ‘preservazione del bene comune’ e la mancata contraddizione con il comandamento “Non uccidere”, ma ‘advocatus diaboli’ non è il mio ruolo e non rischio sospensione ‘a divinis’.

Michele ci parla anche di Cesare Beccaria e del suo capolavoro «Dei delitti e delle pene» pubblicato nel 1764. Beccaria che è pur sempre il padre di Giulia, la quale a sua volta è la mamma all’anagrafe di Alessandro Manzoni (in verità pare acclarato fosse figlio di Giovanni Verri, così come Victor Hugo era figlio del suo padrino di battesimo generale Victor Fanneau de Lahorie: questi ‘incidenti’ di percorso sono sempre successi, oggi vi è il vantaggio che vengono sbandierati senza ipocrisia, magari invocando Lucrezio ‘amantes amentes’… l’amore fa uscire di testa).

Cesare Beccaria, primogenito di un marchese e di Maria Visconti di Saliceto ha goduto di una benestante infanzia, mentre l’adolescenza è stata oppressiva e poco felice tanto da caratterizzare la sua vita futura che lo vede scontroso, timido e riservato. Sposò Teresa Blasco, una donna vivace ed esuberante, contro il parere della sua famiglia e del padre in particolare: va detto che la coppia mise al mondo Giulia la mamma del Manzoni, rimanendo insieme fino alla fine di lei nel 1774. Cristallo ci ricorda che la pubblicazione del Beccaria (tradotta in Svezia, Spagna, Francia e Russia) metteva sotto accusa un mondo ed un sistema che faceva ricorso anche alla tortura, ma in realtà denunciava un sistema di punizione che non teneva conto che spesso il reato era da ascrivere alla mancanza di strutture sociali, per cui la gente viveva nel degrado e si adeguava. L’opera di Cesare Beccaria ha rappresentato il punto più alto del pensiero illuministico e molti studiosi l’hanno considerata il lavoro che ha avuto più successo, in tutto il Settecento, in Europa. Il libro di Cristallo è riccamente illustrato da un grafico pubblicitario, Pompeo de Vito, che ha dato un’anima ad ogni ricostruzione dedicata alle vicende delittuose. Per la cronaca de Vito è un artista eclettico: infatti è un valente fotografo free lance, un vignettista satirico e pittore di ambiziosa prospettiva.

Altra particolarità del libro consiste nel fatto che il nostro giornalista afferma che è stato l’editore Giacomo Adda a convincerlo a portare a termine il progetto del volume, accordandogli piena fiducia e augurandogli che libro potesse emulare il percorso di «In nome di Sua Maestà Vittorio Emanuele II - Il Sud scippato dal Piemonte», volume che nel 2017 regalò a Cristallo e all’editore Adda il “Premio Letterario Nazionale U. Fraccacreta”. In questi casi è fondamentale l’amicizia di vecchia data: non va trascurato che Cristallo ha pubblicato con l’editore Adda una pregevolissima trilogia sui Teatri, Palazzi e Castelli di Puglia, vanto di tutto il nostro territorio.

Cristallo nei ringraziamenti cita la dottoressa Annabella de Robertis, funzionaria dell’Archivio di Stato di Bari, che ha facilitato la sua ricerca con rara professionalità. Trattasi della nipote del famoso scrittore Vito Maurogiovanni. Cara Annabella quando penserai a tuo nonno cerca in casa la copia di «Cantata per una città», alla fine del libro vi sono 4 pagine titolate “I meravigliosi affetti” che sono state il mio dono per tuo nonno. Il libro era uscito da due mesi e Vito non le aveva ancora notate, recuperandole poi in seguito. Sono pura poesia da tramandare alle vostre nuove famiglie, compresa la foto in b/n che accomuna i vostri nonni: a tua nonna, la sensibile Anna, non piaceva (un classico), ma a voi ispirerà versi sui cui edificherete il vostro futuro con uno sguardo sul passato.

Cristallo conclude il suo impegno lasciando il campo ad un raffinato saggio della professoressa Santa Fizzarotti Selvaggi, che da studiosa della psicoanalisi, partendo dall’evangelista Luca, spazia da Dante a Freud, da Melanie Klein (austriaca pioniera della psicoanalisi infantile) a Omero (ricordando che nell’Iliade ferocia e pietas si completano: Achille dopo aver eliminato con ferocia Ettore, piange quando Priamo gli chiede la restituzione del corpo del figlio), dall’architetto Albert Speer (progettista personale di Adolf Hitler) a Madeleine Albright (politica statunitense di origina ceca - Praga 1937 - che è stata rappresentante degli Stati Uniti presso il Consiglio di sicurezza dell’ONU e segretaria di stato sotto l’amministrazione del presidente Bill Clinton), da “Tosca” (melodramma in tre atti di Giacomo Puccini su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, ispirato al dramma storico in cinque atti di Victorien Sardou: Verdi al “Lucevan le stelle” affermò che gli sarebbe piaciuto scriverne la musica) a Sofocle e al suo “Edipo Re” (dopo aver ucciso il padre e sposato la madre inconsapevolmente, per espiare basta accecarsi?), dal Codice Penale Zanardelli che aboliva la pena di morte (lo stesso Zanardelli che da, anticlericale, presentò senza successo una legge sul divorzio già all’epoca) a quel quinto Comandamento “Non uccidere”, che oggi stiamo calpestando nell’indifferenza generale e nel dolore senza confini delle mamme e mogli di cittadini russi e ucraini.

E’ stato Cicerone (De Officiis) e prima di Marco Tullio il cartaginese Terenzio (Il punitore di se stesso) a gratificarci con “Summus ius, summa iniuria”: frase paradossale, ma assolutamente veritiera. Detto ciò se vogliamo che il mondo vada avanti ci siamo dati delle regole, valide per tutti, che dobbiamo rispettare: chi trasgredisce deve essere punito. Chiaramente dietro ogni comportamento che violi le leggi in vigore, ci possono essere giustificazioni ed attenuanti che spesso il diritto non può contemplare: l’alternativa è la legge del più forte, evenienza che la STORIA fin qui narrata ha bocciato senza riserve: «Homo sum: humani nihil a me alienum puto».

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