Libri: il 'Niente di speciALE' dell’impiegata, moglie e madre ALE Lippolis

LIVALCA - Giorni fa il professore Giuseppe Capozza, che da pensionato dispone di più tempo per curare non solo le sue passioni ma quelle di coloro in cui si è imbattuto nel suo lungo percorso di vita scolastica, mi ha portato un libro senza avanzare alcuna richiesta, ma solo ‘bisbigliando’: «Vi è una dedica interessante». Come faccio sempre gli ho fatto notare, controllando sul tavolo-scrivania, che era il numero 38 in lista d’attesa.

Ieri ho trovato un messaggio sul cellulare che diceva testualmente: «Venerdì 22 settembre, alle ore 18,00, presso la sala P.F. Florio dell’Istituto Redentore di Bari - in via Martiri d’Otranto, 69 - presenterò il libro “Niente di speciALE”. Sarà presente il moderatore Giuseppe Ruppi e l’autrice». Si tratta del libro portatomi in dono da Capozza, di cui egli stesso curerà il ‘vernissage’ venerdì prossimo. Subito ho pensato che tutti siamo schiavi di questo cellulare che corregge e fa le bizze, ma, riflettendoci un poco, mi sono convinto che un ‘pignolo’ come Giuseppe, che senz’altro ha inviato il comunicato a mezza Puglia, avrebbe corretto quel ‘ALE’ tutto maiuscolo.

Recuperato il libro mi sono ricordato della dedica (onestamente avevo pensato vi fosse un pensiero per me: sono gli unici libri che non ‘spariscono’ per poi mai più rientrare alla base) e mi sono imbattuto in: «Al mio Papo: tu mi fai felice. Grazie». Sono andato a rivedere la copertina: Alessandra Lippolis «Niente di speciALE. Come sopravvivere a un MaritoSingle e due figli» ( IF Press srl - Roma, pp. 160, 2023, € 10,00) e non avevo ancora trovato la spiegazione di ‘ALE’ se non nella prefazione di Capozza che specifica che l’autrice possiede un blog con lo stesso nome del titolo del libro e che è la ‘garante’ di una famiglia tradizionale con padre e marito ‘indipendenti’ ma amatissimi, al pari dei figli: la femmina molto sensibile e il maschio abbastanza comico. Giuseppe conclude la prefazione puntualizzando che si tratta di una classica famiglia tradizionALE , con un percorso di vita normALE (queste due ALE consideratele una piccola ‘licenza poetica’ di chi scrive, in omaggio alla signora che il dirigente scolastico Giuseppe, ex professore di Italiano della stessa, definisce donna ‘dalle ovaie quadre’). Quindi mi sono dedicato a leggere l’introduzione dell’autrice al suo libro che inizia in questo modo: «Mi chiamo Alessandra, ho 44 anni e vivo in Puglia. Sono sposata con MaritoSingle da circa 14 anni, ma stiamo insieme da 17: questo profumo di santità che sentite è il mio. Sono mamma di due simpaticissimi e vivacissimi bimbi: Sara di 12 anni e Giovanni di otto e mezzo». Già il fatto che la signora Lippolis dica l’età e non, come fanno le donne in genere, quella che vorrebbero avere… ci induce ad annoverarla come scrittrice anormALE.

Ora proviamo, partendo dalla dedica “Al mio Papo”, a spiegare quel ALE che ha accompagnato fin dalla nascita la nostra scrittrice: alla sua venuta al mondo, nel 1979, il suo papà aveva già deciso che doveva chiamarsi Alessandra o Alessandro (Chi scrive, sposato nel 1979, può confermare che, nel 1981 quando è nata la sua prima figlia, per il sesso del nascituro non vi erano certezze assolute, salvo che la posizione del feto fosse in posizione ottimale, tale da rendere sicuro il verdetto dell’ecografia: infatti fu pronosticato un maschio e nacque Gloria… che vale due maschi).

Il motivo? Era un fan dei Pooh e di una canzone dal titolo “Alessandra”, che poi diede anche il titolo al quarto o quinto album del noto gruppo musicale. Strana la vita: all’epoca scrissi un articolo dedicato alla canzone “Alessandra”, per farmi perdonare che, qualche anno prima, a proposito del successo di “Piccola Katy” mi ero permesso, celiando, di scrivere che la parte migliore del testo era “Oh oh, piccola Katy…”. Il motivo era che non ho mai amato i Beatles - antipatia sgorgata nel 1966 quando gli inglesi hanno vinto la loro unica Coppa del Mondo di Calcio… anno della nostra non meno famosa Corea - e che questa canzone “Piccola Katy” si ispirava palesemente ad un successo dei non ancora ‘baronetti’. Roby Facchinetti, il leader dei Pooh, ha dedicato la canzone Alessandra alla sua seconda figlia: il testo era di Valerio Negrini, il batterista che proprio da quel disco fu sostituito da Stefano D’Orazio; non solo, in quel ‘motivetto’, per la prima volta Dodi Battaglia affiancò Facchinetti nel creare la musica da corredare al testo; inoltre quella fu l’ultima partecipazione di Riccardo Fogli con i Pooh. Negrini fino alla sua morte, avvenuta nel 2013, è stato il paroliere ufficiale dei Pooh, D’Orazio, che prese il suo posto alla batteria, è scomparso nel 2020. Queste notizie ricavate dalla mia memoria sono per il padre della Lippolis che ha avuto il coraggio, in quel periodo di smisurato anglicismo, di restare fedele alla nostra melodia, che salvava anche la nostra… economia.

Il diminutivo di Alessandra per me è Sandra, ma per quelli baciati dal fuoco dell’arte è ALE: ecco spiegato “Niente di speciALE” che passando per Polignano, un tempo regno del mio sodALE amico Savino, si tramuta in caffè speciALE. Confesso di non conoscere, a differenza del padre della Lippolis, la canzone di Biagio Antonacci “Alessandra”, ma posso tranquillamente affermare: «Vai Alessandra che sei grande». Il libro si legge piacevolmente, perché la scrittrice è una persona diretta che non cerca l’effetto per stupire, ma si meraviglia lei che qualcuno abbia voglia e tempo di cimentarsi con la sua storia. Molto particolare è l’incontro di Alessandra con l’uomo della sua vita: il padre dei suoi figli che, pensate, faceva l’animatore turistico e mi fermo qui. Quando si sono messi insieme venivano entrambi da un fidanzamento di sette anni ‘evaporato’ e non vedevano l’ora, lui fusto conclamato… lei fustina aggraziata, ma dal carattere deciso se è vero che quando l’ha visto per la prima volta ha pensato ‘sarebbe bello portarlo all’altare’… nell’attesa hanno fatto passare altri sette anni per essere sicuri dei loro sentimenti, fedeli a quella massima che recita il sentimento è la RADICE di tutta una vita.

Penso fosse Goethe che, in un momento in cui avvertiva ‘fastidio’ per “I dolori del giovane Werther”,così si espresse: «L’uomo irresoluto, che ondeggia fra due sentimenti, è davvero pietoso», personalmente la mia vasta, per gli anni che indosso, e pur limitata esperienza mi fa pensare a D’Annunzio: «Più sentimento metterai in campo e più martirio avrai».

A pagina 66 del libro ritengo che vi sia una semplice frase che rispecchia da sempre il mondo degli uomini e delle donne: l’eroina del libro o la nostra Alessandra Lippolis racconta di un bravo ragazzo che, sono parole sue, «…era il principe azzurro in persona» ma, subito dopo, con una sincerità che le fa onore e che io condivido a nome di tutte le persone perbene ignorate quotidianamente precisa : «Ma si sa, se non sono stronzi non li vogliamo».

I capitoli dedicati a Sara, Giovanni e alla Scuola meritano di essere letti dai nonni e dai giovani ragazzi delle medie: raccontano la vita vera, quella che ricorderemo fino alla fine e oltre, quella che ci aiuterà a superare ostacoli e difficoltà e che ci ricorda quotidianamente che se ti guardi dietro, sei ultrafortunato.

L’ economia che si apprende nel nucleo in cui si è vissuti, più che nelle aule universitarie, ci porta a considerare che la famiglia, che fino al termine del secolo scorso era ritenuta un cardine della società, esiste sempre meno per i più svariati motivi e non certo per responsabilità del ‘compagno/a’, ma quella famiglia ha permesso la crescita della nostra catena produttiva, che in maniera maniacALE aiutava l’economia.

Amici lettori leggete quello che scrive la scrittrice ALE , dalla penna scorrevole e sempre genuina, in una solare, radiosa, splendente postfazione: «Se guardo indietro, al mio passato, la prima cosa che penso è che ho avuto un’infanzia meravigliosa, indimenticabile, serena e anche felice. Sono cresciuta in una famiglia semplice, molto unita. Mio padre è piastrellista, mia madre casalinga per sua scelta…». In coscienza quanti dei nostri ragazzi, cui abbiamo cercato di donare con l’affetto anche dei beni materiali, pensando a noi genitori saranno in grado di dire “Grazie Papo”. Sarei felice che le mie figlie lo pensassero… anche solo per farmi contento.

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