Nuove tariffe consultazione RPO, Assocall contraria al decreto ministeriale. Papagni: 'Condividiamo i princìpi di chi ha presentato ricorso'


Presentato stamane da tredici realtà operanti nel settore delle comunicazioni e del teleselling il ricorso contro il Ministero delle Imprese e del Made in Italy per l’annullamento previa sospensione cautelare del decreto emanato lo scorso 20 luglio che prevede l’aggiornamento delle tariffe di consultazione del RPO, valide a partire dal secondo semestre dell'anno 2023 e applicate dalla Fondazione Bordoni a partire dal 21 luglio.

«Il provvedimento ministeriale che approva il piano preventivo dei costi di funzionamento e di manutenzione del registro e le tariffe per l'anno 2023 per l'accesso al registro da parte degli operatori è iniquo e inaccettabile. Un provvedimento che contestiamo e che danneggia tutti gli operanti nel settore. L’aumento è avvenuto alla metà dell’esercizio finanziario delle imprese interessate e senza alcuna consultazione così come previsto dalla vigente normativa. Non solo: il decreto che istituisce le nuove tariffe contravviene in maniera grave ai criteri previsti dalla Legge 5/2018 e dal DPR 26/2022 per la sua emanazione e per la determinazione delle tariffe. Assocall-Confcommercio sposa pienamente i princìpi del ricorso presentato dalle aziende iscritte alla nostra sigla e solidarizza con le realtà che lo hanno presentato».
Con queste affermazioni il presidente nazionale Assocall-Confcommercio, Leonardo Papagni, mette in evidenza tutta la contrarietà dell’associazione di categoria da lui presieduta nei confronti del decreto ministeriale del Ministro delle Imprese e del Made in Italy, del 12 maggio 2023, recante "Piano preventivo dei costi e delle tariffe RPO per l’anno 2023", pubblicato lo scorso 20 luglio sul sito web del Ministero e che ha effettuato l'aggiornamento tariffario disattendendo del tutto i criteri previsti dalla legge. Sono stati infatti apportati alle tariffe del RPO rincari smisurati e inspiegabili di circa il 3000%.
«Le nuove tariffe, oltre a violare il divieto di lucro per il Gestore, risultano economicamente insostenibili per le ricorrenti, le quali, per pagarle, andrebbero in grave perdita, non avendo previsto le risorse necessarie a bilancio e non avendo in ogni caso margini sufficienti, sarebbero dunque costrette a cessare la propria attività di list provider o a ridimensionarla fortemente causando incolpevolmente la cessazione di rapporti lavorativi. Nel corso dell’incontro svoltosi prima dell’emanazione del decreto da parte del MIMIT siamo stati rassicurati sulla tendenza migliorativa delle tariffe. Rassicurazioni totalmente disattese. Oggi esprimiamo dunque preoccupazione per un provvedimento deleterio per le aziende coinvolto e per tutto l’indotto. Temiamo che, per aggirare questi costi, qualcuno possa nell’immediato futuro operare nell’illegalità», sostiene Papagni.
Sino a luglio 2023 le tariffe di consultazione ammontavano a 0,00087 euro per numero verificato; è intervenuto, poi, il 20 luglio 2023, il nuovo decreto di aggiornamento, innalzando a dismisura le tariffe. Per fare un esempio, sino al 20 luglio 2023, verificare un milione e mezzo di numeri costava all'operatore 1.305 euro. A causa del decreto contestato, verificare un milione e mezzo di numeri in un anno, costa ora 25.000 euro. Se, poi, un operatore si trova – come succede ad alcune delle ricorrenti – a dover verificare 10 milioni di numeri unici in un anno, l'aumento portato dalle nuove tariffe è ancora maggiore, e astronomico: si passa dai precedenti 8.700 euro a ben 240.000 euro.
Le ricorrenti, dunque, chiedono la sospensione immediata dell’efficacia del decreto ministeriale impugnato, intimando al Ministero resistente di prorogare le tariffe di accesso al RPO sino all’adozione di nuovo provvedimento sostitutivo che rispetti le previsioni di legge e di annullare definitivamente il provvedimento impugnato, intimando all’Amministrazione resistente l’adozione di nuovo provvedimento di determinazione tariffaria.

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