Al Palazzo Ducale di Martina Franca una serata dedicata alla Martinesità

TERESA GENTILE - È stato recentemente presentato nella sala consiliare del Palazzo Ducale di Martina Franca (gremito di artisti, poeti scrittori, insegnanti e moltissime famiglie), un interessante romanzo scritto dalla prof. Maria Carmela Ricci “Quella nevicata del ’56 in Valle d’Itria” (Giacovelli editore).

L’assessore alla Cultura e Creatività, Carlo Dilonardo, ha evidenziato il mirabile modo di essere dell’autrice. Esso è caratterizzato da costante delicatezza, garbo, eleganza, capacità di edificare ponti tra anime e saper collaborare con suo marito (il tenore Gianni Nasti), alla riuscita di vari incontri organizzati da varie associazioni culturali di terra jonica. Ha aggiunto che la nostra scrittrice è instancabile ricercatrice di memorie, consuetudini valori capaci di farci crescere in umanità e creatività e ha evidenziato la presenza, nel testo, di un utilissimo codice web che consente di ascoltare in modo informatico i suoi testi vernacolari.

Il docente universitario Decor patriae Francesco Lenoci (ambasciatore della cultura sammarchese e garganica nel mondo), che ha firmato la prefazione, ha sottolineato l’importanza che è insita in ogni dialetto poiché ha iridescenze di storia, saggezza, tenerezza interpersonale e armonia. Se si perde la memoria delle tradizioni, ha aggiunto, ci si sente sradicati e si rischia di perdere un ricco patrimonio intessuto di ricordi, saperi, sapori, tradizioni, conoscenza di lavoro e gioia di vivere. Del resto la magia del dialetto ci fa risentire bambini e riaccende una profonda nostalgia del tempo che fu e tutto il nostro grande amore per la nostra terra. Inutile dire che l’emozione del relatore ha avuto riflesso immediato in quella manifestata dagli attenti ascoltatori ammaliati dai suoi ricordi e dalle sue riflessioni ricche di nostalgia e tanta umanità.

Il poeta e cantautore vernacolare Giovanni Nardelli, ottimo influencer della parlata popolare locale e presidente dell’Accademia della Cutizza, ha cantato alcuni brani vernacolari ricchi di martinesità al cui successo ha contribuito anche il pubblico presente.

La prof. Maria Carmela Ricci ha detto che alcuni episodi riferiti nel testo sono realmente accaduti nella sua infanzia e lei ha cercato di porre in evidenza un mondo rurale ricco di valori, dignità, storia e cultura del saper fare e saper agire, prendendosi cura di se stessi, degli altri e della natura rispettando i ritmi delle stagioni e il fascino insito nelle salde radici identitarie. Il fotografo Benvenuto Messia si è soffermato sulle immagini scattate da suo padre Eugenio e da lui e sulle tecniche fotografiche di un tempo, realizzate in bianco e nero, riferendo notizie sui personaggi ritratti e gli strumenti di lavoro un tempo utilizzati.

Il prof. Giovanni Corrente ha ricordato un racconto letto quando frequentava la scuola elementare e grazie a esso intuì come il dialetto avesse una funzione primaria per evidenziare un legittimo bisogno di identità. Il suo maestro invitava lui e i compagni a pensare ed esprimersi in lingua natia e lui traduceva le loro riflessioni. In tal modo non li bloccava nel momento della formulazione dei loro pensieri ma li abituava, serenamente, a una importantissima doppia parlata che indubbiamente li aiutava a dar vita a riflessioni molto creative, libere e tipiche di chi impara, ascoltando e parlando due lingue (la natia e quella italiana). Ha aggiunto che la prof.ssa Ricci radica nelle frasi vernacolari preziose iridescenze della memoria popolare.

Il prof. Vito Fumarola si è soffermato sul valore immenso che ha il testo perché è impreziosito da un modo di narrare attraente, semplice, preciso, suadente e da una singolare simbiosi tra linguaggio iconico, fotografico, narrativo che si rivelano capaci di rasserenare e informare. Molti sono i racconti formativi da cui si traggono conoscenze importanti sui sacrifici fatti dai nostri avi che però erano capaci di mostrarsi sempre autentici, sapevano praticare l’aiuto reciproco e la solidarietà; avevano molta cura della famiglia intesa come cellula sana e non cancerogena della società; accrescevano nel tempo le proprie esperienze lavorative e sapevano vivere a diretto contatto con la natura e i suoi tempi dedicandosi a varie attività e cercando di proiettarsi in modo consapevole verso un migliore futuro senza mai sradicarsi dalla linfa vitale delle conoscenze, esperienze e saggezza ereditate dai loro avi.

Chi scrive ha ricordato che luci d’arcobaleno paiono illuminare le pagine, vertendo in particolare su quel tempo “sospeso”, simile a quello pandemico che, a Martina e nell’agro, si visse nel contesto di quella straordinaria nevicata senza mai soccombere alla noia ma impegnandosi in varie utili attività e ascoltando gli anziani. Infine ha avuto parole di lode per la narrazione che si evolve con singolare vivezza di ricordi che avvincono la nostra attenzione invogliandoci a continuare a leggere, accendendo in noi mille curiosità, avvalendosi di un racconto molto avvincente caratterizzato da deliziosi quadretti familiari carichi d’esperienza, saggezza e fascino tutto particolare.
Nel testo la protagonista è Nina, una bimba di cinque anni, che, senza annoiarsi e stare in ozio, senza radio, tv, computer e telefonini, trascorre con la sua famiglia, quasi un mese nel suo trullo ricoperto da moltissima neve nel corso della memorabile nevicata del ‘56 in Valle d’Itria. Da adulta rievoca, con tenerezza e nostalgia, gli eventi vissuti intensamente proprio in quello spazio di tempo… senza annoiarsi, ma imparando a fare tante cose e rendendosi utile.

Nel corso della narrazione che è fluida, colta, appassionata e suadente la nostra scrittrice ricostruisce usi, credenze, proverbi, attività lavorative, giochi, ricette del mondo contadino di un tempo e ci racconta quale fosse il modo di pensare e vivere una vita comunitaria veramente a “A MISURA D’UOMO “.

L’interessante incontro è stato brillantemente moderato dalla prof. Rosa Maria Messia, figlia di Benvenuto, decano dei fotografi locali e poeta vernacolare, e dinamica presidente del presidio del libro di Martina Franca, delineando i profili dei relatori, tutti operatori culturali innamorati della terra natia, della parlata popolare, dei proverbi, dei modi di dire della sapienza, delle conoscenze operative dei nostri avi e ha amabilmente dialogato con l’autrice del testo. Presentandola ha detto che la scrittrice è stata valida docente e poi, frequentando gli incontri mensili tenuti al Palazzo Recupero e condividendo emozioni con altri talenti, ha evidenziato doti rilevanti di scrittrice, poetessa e pittrice. Il suo libro racconta in modo appassionato il suo grande amore per la nostra terra; ha in copertina un trullo solitario e innevato e all’interno ha pagine interessanti con immagini di strumenti di vari mestieri di martinesi in bianco e nero. Tali foto sono state scattate da Eugenio e Benvenuto Messia. Leggendo queste pagine... si diventa migliori traendo linfa vitale da un passato che ci appartiene e che dobbiamo conoscerlo per non farlo cadere nell’oblio!

Il tenore Gianni Nasti e il pianista Egidio Cofano hanno deliziato il pubblico con applauditissimi brani musicali.

Al servizio fotografico hanno collaborato Martino Carbotti e Manuel Chiari.

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