Alcuni miracoli poco noti di San Nicola ricordati da p. Gerardo Cioffari O.P.


VITTORIO POLITO -
Che San Nicola non finisce mai di stupirci con la sua vita ricca di miracoli e leggende è storia ormai acquisita ma, spesso, molte di queste storie vere o immaginarie, sono spesso sconosciute ai più, e solo con una attenta e ampia lettura si scoprono novità relative al nostro protettore. Recentemente è stato divulgato il Bollettino di San Nicola per l’anno 2024, con l’immancabile saluto del Rettore della Basilica, p. Giovanni Distante O.P., che tratta dei “Miracoli di San Nicola”, tramandati dalla tradizione in Oriente e in Occidente. Si tratta di gesti d’amore verso i più bisognosi, i deboli, gli indifesi. Il titolo che gli viene universalmente riconosciuto di “Taumaturgo”, ovvero la “capacità di compiere miracoli”, lo avvicina a Cristo che faceva “miracoli” unicamente come “segni” della presenza di Dio tra le case degli uomini. Tra i “miracoli” ricordati nel Bollettino, ne riporto alcuni meno noti allo scopo di ampliarne la conoscenza, ripresi dal Calendario e descritti da padre Gerardo Cioffari, O.P., storico della Basilica.

Il miracolo dell’arcivescovo Antonio Puteo. Chi viene a Bari sa che la Basilica di San Nicola non è la Cattedrale, e forse sa anche che nella storia tra le due chiese non correva buon sangue. Infatti, l’arcivescovo voleva che il clero di San Nicola prendesse ordini da lui, mentre questo faceva capo al re. Nel 1570 l’arcivescovo Antonio Puteo fu vittima di una febbre violenta che sembrava volerlo portare alla morte. Quando i medici si dichiararono impotenti di guarirlo volle bere un po’ della manna di San Nicola. Ma lasciamo a lui la parola registrata in una pergamena del maggio 1571: Essendo io, Antonio Puteo, per grazia di Dio e della Sede Apostolica arcivescovo di Bari, l’anno scorso colpito da una fortissima febbre, essendosi reso vano ogni aiuto dei dottori, rivolsi la mia preghiera al glorioso pontefice e confessore San Nicola. Appena mi fu offerta la santa manna che stilla continuamente dalle sue ossa, subito avvertii nel mio corpo una grande quiete e tranquillità. Essendomi convinto di aver ricevuto, grazie all’onnipotente Iddio e all’intercessione del Santo, la suddetta guarigione, ecc. … [dimenticando i contrasti] riconosco e confermo tutti i privilegi del Priore e dei canonici della Basilica.

Il miracolo dell’icona frustata. La Calabria, come la Sicilia, fu sempre una terra esposta alle invasioni dei barbari. In una incursione dei Vandali, un barbaro prese con sé una bella icona di San Nicola perché dei cristiani gli avevano detto che il Santo raffigurato era molto potente. Tornato in Africa, mise l’icona sui beni del suo negozio e partì, convinto che un Santo potente non avrebbe permesso azioni illegali. E, invece, al suo ritorno trovò la sua abitazione completamente svaligiata. I ladri avevano preso tutto, lasciandogli soltanto l’icona. Irritato, prese una frusta e cominciò a dare frustate sull’immagine sacra di San Nicola. E andò a dormire. Nicola apparve ai ladri che si stavano allegramente spartendo la refurtiva in una taverna, e si rivolse loro con parole dure, minacciando di denunciarli e farli mettere a morte. E scomparve. Terrorizzati da quell’apparizione, i ladri raccolsero la refurtiva e quella notte stessa riportarono tutto al Vandalo. Quando questi al mattino ritrovò tutti i suoi beni, constatando la potenza di San Nicola, si fece battezzare e costruì una bella chiesa in suo onore. 

Il miracolo di Pietro del Monte Athos. Il Monte Athos è la santa montagna dei monaci ortodossi, non solo greci, ma anche serbi, rumeni e russi. È il centro della spiritualità ortodossa. Le sue origini sono però avvolte nella leggenda. La storia più nota è quella di Pietro, un giovane che aveva promesso a Dio di farsi monaco, ma mentre tergiversava fu chiamato alle armi. In una furiosa battaglia che si concluse nell’811 con la sconfitta dell’esercito greco in cui militava, fu catturato e condotto in prigione a Samara. Dopo un lungo periodo in carcere, apprendendo che stava per essere messo a morte, invocò San Nicola, il Santo dei carcerati. Nicola gli apparve comunicandogli che, se rinnovava la sua promessa di adempiere la sua vocazione monastica, lo avrebbe aiutato insieme a san Simeone. Ed infatti Simeone gli sciolse le catene con un tocco e lo affidò a San Nicola. Pietro si recò a Roma, mentre Nicola lo precedeva apparendo al papa per informarlo. Il papa riconobbe Pietro tra la folla, lo chiamò e gli fece la tonsura monastica. Durante la navigazione di ritorno, San Nicola e la Vergine gli rivelarono dove fermarsi a vivere la sua vita ascetica. Era la santa Montagna. 

L’ebreo e il cristiano spergiuro. Manoscritti di oltre mille anni fa narrano che un uomo di fede cristiana, trovandosi in necessità finanziarie, andò a chiedere un prestito ad un ebreo. Non avendo che cosa dare in pegno, convinse l’ebreo della sua buona fede giurando, su un’immagine di San Nicola, che avrebbe pagato il debito alla dovuta scadenza. Giunto il giorno, non volle pagare, dicendo che aveva già saldato il debito. Portato dalla controparte dinanzi al giudice, il cristiano si presentò con un bastone nel quale aveva nascosto una certa quantità di monete d’oro. Al momento di giurare, si rivolse all’ebreo chiedendogli di reggergli il bastone. E mentre l’ebreo glielo reggeva, il cristiano giurò solennemente di avergli restituito tutta la somma che gli era stata prestata. Anzi, anche qualcosa in più. Tornando a casa, però, colpito dal sonno si addormentò e fu investito da un carro che lo uccise, mentre il bastone si rompeva e le monete si sparpagliavano per terra. Molta gente accorse. L’ebreo, che era onesto e di buon cuore, invece di pensare al denaro pregò il Santo di restituire la vita al cristiano. E Nicola lo resuscitò. Di fronte a tanto miracolo l’ebreo si fece subito battezzare. 

La grande icona di Stefano Uroš III in cripta. Nella cripta di San Nicola, dietro l’altare sotto il quale riposano le ossa del Santo, c’è una grande e bellissima icona che per secoli è stata considerata la vera effigie del Santo. In realtà risale a circa il 1327, donata dallo zar di Serbia Stefano Uroš III Dečanski come ex voto per una grazia ricevuta. Il suo biografo, Gregorio Zamblak (1395 circa), narra che la matrigna, moglie di Uroš II (donatore dell’altare d’argento), sperando che fosse il figlio a succedere al marito, accusò Stefano Uroš III di congiurare contro il padre. Quest’ultimo le diede ascolto e nel 1316 fece accecare il figlio, mandandolo in esilio a Costantinopoli. Poco prima che partisse, San Nicola apparve al figlio e gli disse: Stefano, non temere, gli occhi te li conservo io. Trascorsero cinque anni e un giorno mentre Stefano Uroš III stava pregando, Nicola gli apparve e gli restituì gli occhi (la vista). Per prudenza lo zar non si tolse le bende, facendo credere di essere ancora cieco. Tornato in Serbia, alla morte del padre (1321) dovette sconfiggere il fratellastro, e finalmente salì al trono togliendosi le bende e… ringraziò san Nicola donando alla basilica la suddetta icona.

«Un aspetto particolare che emerse dopo il Mille - scrive padre Gerardo Cioffari - fu il suo patronato sui bambini. La sua protezione sui bambini e ragazzi è attestata anche nei secoli precedenti. Tuttavia divenne universale successivamente, grazie anche ad una confusione linguistica (innocenti = bambini) e iconografica (sbarre del carcere dei generali con cerchi di una botte di una locanda). Tuttavia, anche se “Tre Bambini” è una leggenda, la protezione del Santo sull’infanzia è divenuta universale. È vero che la sua figura è risultata alquanto stravolta da quella di Santa Claus (Babbo Natale), ma è anche vero che il fenomeno corrisponde effettivamente al Nicola storico: duro con i disonesti e prepotenti, dolce con i deboli e bisognosi».

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