Gli 'Olivi & Oleastri' di Manlio Chieppa

LIVALCA - Manlio: nome di una famiglia patrizia romana, ramificatosi e diversificatosi in vari altri gruppi di parentela; ricorderò solo Marco Manlio Capitolino, il console che nel 385 a.C. pagò con la vita l’essere stato promotore di una proposta che prevedeva di prestare soldi alla plebe, già in difficoltà per le ripetute guerre, senza calcolarne gli interessi. Chiaramente i patrizi non furono in sintonia e rispolverarono - nihil novum sub sole - una vecchia questione secondo cui le origini della famiglia del console erano per una parte anche ’plebee’. Il nostro Manlio Capitolino fu messo in prigione e liberato, in seguito, per volontà della plebe. Subito dopo, però, con l’accusa di essere fautore della tirannide fu processato, condannato e gettato dalla rupe Tarpea. Nei 2400 anni trascorsi da allora possiamo trovare analogie e diversità con altri casi? Mi viene in mente una frase attribuita al poeta e scrittore Antonio Fogazzaro: «Non mi fido dell’umanità, mi somiglia troppo» (… pare sia stata pronunciata nei dieci anni, 1900-1910, in cui era candidato al Nobel per la letteratura… premio mai vinto).
Velocemente vi sottopongo una personale ‘passerella’ dei Manlio di cui ho un ricordo: Manlio Cortelazzo, professore emerito dell’Università di Padova ed anche noto linguista, per anni guida degli etimologisti e dialettologi italiani, che nel 2004 volle attestare alla professoressa Grazia Stella Elia la sua stima con una presentazione che rese unico e qualificato il volume “Dizionario del dialetto di Trinitapoli” (Levante Bari 2004, pp.1080, ill.) che consacrò la poetessa di ‘Casaltrinità’ regina del Tavoliere di Puglia; Manlio Muccini, capitano del Bari dal 1967 al 1972, professionista serio il cui ruolo era quello che una volta si chiamava ‘libero’ (chiedo scusa, ma il Bari per Livalca è un legame per la vita); Manlio Rossi Doria, economista e parlamentare italiano; Manlio Scopigno, friulano - passato alla storia con l’appellativo di ‘filosofo’ - di Paularo, allenatore dell’unico scudetto vinto dal Cagliari nella stagione 1969-70: la squadra famosa per essere quella di Gigi Riva; Manlio Sgalambro, filosofo, scrittore, poeta… ma che ebbe maggiore notorietà come amico e paroliere di Battiato Franco.
Chieppa è il Manlio di cui vi parlerò ora: pratica la pittura, la scultura da oltre 60 anni, oltre ad essere Maestro indiscusso dell’arte incisoria e delle diverse tecniche: litografia, serigrafia, calcografia, xilografia. La radice del nome Manlio è estrapolata dal latino ‘mane’ mattino, per cui è un nome che si dava a coloro nati di primo mattino come buon auspicio, non a caso si tramanda “… se il buongiorno si vede dal mattino…”. Personalmente ritengo che nel nome vi sia anche la radice del latino manus-us: sostantivo femminile della 4 declinazione che, nel caso specifico, per il nostro artista sarebbe davvero indicato perché “possiede mani d’oro”.
Per correttezza dovrei prendere in considerazione anche il cognome Chieppa; in origine ‘cheppa’: un pesce marino che in primavera si trasferisce in acqua dolce e che testimonia, forse, come la vena artistica del nostro si sia perfezionata partendo da un legame fisico con la terra e i contadini, ma si sia sviluppato con ulivi a volte maestosi a volte contorti, con vitigni delle terre rosse, con boschi di querce per approdare a quella storia sostenibile che vede un pesce di mare adattarsi all’acqua dolce in nome di quella sopportabilità e adattabilità che salva le risorse naturali reimpiegandole al servizio del bene comune, perché i materiali sono una risorsa da considerare ricchezza (Non a caso Aristotele: «La ricchezza consiste nell’uso del denaro e non nel possesso»).

Dal 27 ottobre al 27 novembre 2023 va in scena presso il Museo Civico di Bari la mostra personale del Maestro Manlio Chieppa “OLIVI & OLEASTRI. Chiancaluna- Oleaterrae” con il patrocinio della Regione Puglia, del Comune di Bari, del FAI Puglia, dell’Università di Macerata, del Parco letterario Formiche di Puglia, del progetto di valorizzazione del territorio Millenari di Puglia e del Med Architettura Ingegneria; mostra organizzata dal Consorzio Idria e dal Museo Civico di Bari.
Per l’occasione ADDA EDITORE ha pubblicato un catalogo nella collana “documenti- 14 del Museo Civico di Bari” dal titolo MANLIO CHIEPPA “OLIVI & OLEASTRI” ( pp. 108, ill., € 10,00, stampato da Grafica080) per rendere omaggio ad un artista che vanta oltre trecentocinquanta partecipazioni a Rassegne d’Arte in tutto il mondo e centodieci Mostre ‘personali’.

Prassi consolidata del «Giornale di Puglia» è quella di dare sintetiche e pur esaustive notizie che riguardino l’argomento che trattiamo volta per volta.

L’olivo è una pianta arborea che appartiene alla famiglia delle oleacee, con foglie piccole che possono durare da dieci a trenta mesi, i loro piccoli fiori sono riuniti in grappoli appellati ‘mignole’, la fioritura avviene in primavera con impollinazione anemofila (ossia ad opera del vento). Pensate già nel 3000 a.C. la pratica dell’olivicoltura era conosciuta nell’isola di Creta (età minoica), nel 2000 in Egitto e in Palestina nel 1000 sempre avanti Cristo. Furono i Fenici ad introdurla in Grecia nell’VIII secolo a.C. e poi in Sicilia e Spagna. I maggiori produttori mondiali sono Grecia, Italia e Spagna (ordine alfabetico) e la nostra Puglia vanta varietà particolarmente note ovunque: Coratina, Oliarola barese, Oliarola del Gargano, Oliarola di Lecce, Cellina di Nardo, Provenzale (si tratta della zona dell’Alto Tavoliere della Puglia che interessa i comuni di Torremaggiore, San Severo e San Paolo Civitate) e altre.
L’oleastro, o olivo selvatico, è più piccolo con rami spesso spinescenti e foglie che sono bislunghe nei rami più vecchi, mentre in quelle giovani piccole e rotonde; scarsa la polpa dei frutti che sono piccoli e di colore nero-rossigno. Cresce spontaneamente in tutta Italia, preferendo le macchie a clima temperato e nelle vicinanze del mare.

Qualcuno ha affermato che le opere di Manlio Chieppa, aventi per soggetto gli olivi, nel tempo si sono arricchite a tal punto di particolari che hanno quasi creato un proprio linguaggio, cui l’artista attinge per modulare nuove parole ed espressioni adatte a porre in evidenza la scultura, la pittura e il mondo poetico dove l’ARTE appare padrona indiscussa - non dimentichiamo che Manlio è un giornalista pubblicista quotato e stimato non solo in ambito artistico - particolare evidenziato quando Chieppa ha dedicato testimonianze cartacee a colleghi già ‘partiti’ o ancora in attività: Armenise, Colonna, Damiani, Gallo Maresca, Grassi, Guerricchio, Iurilli, Labianca, Masiello, Montemurro, Speranza, Stìfano, Spizzico ed altri.

Manlio si esprime in modo elegante e garbato non per dimostrare appartenenza a ‘specie’ superiori, ma perché lo impongono i suoi studi classici seri e rigorosi. Non ricordo chi mi disse: “Manlio è un perfezionista”, ma mi permetto di considerarlo nella schiera di persone che ritengono che la perfezione non si raggiunge mai, perché perfezione significa cambiare e migliorare (chiaramente si tratta di pensiero ‘alto’ ed adattabile ad ogni ‘bisogna’ per cui dispenso ‘i pignoli’ da inopportune interpretazioni).

Il catalogo pubblicato da poche ore da Giacomo Adda si avvale di una ‘godibile’ presentazione dell’immancabile Raffaele Nigro dal titolo “Le Georgiche fra ulivi e muretti a secco” (per il gruppo di lettori che mi chiedono di essere sempre ‘preciso’, puntualizzo che “Le Georgiche” del mantovano Publio Virgilio Marone, 70 a.C.-19 a.C. Brindisi, sono un poema didascalico di 2188 esametri distribuiti in quattro libri) che ci ‘cucina’ (da quando risulta essere ufficialmente “Il cuoco dell’imperatore” Rafnig aspira ad essere incoronato in Bari, giustamente non lo dico solo io, con l’inconveniente che il cuoco arrivava a 752 ‘coperti’ e, per l’attesa novità 2024 titolata provvisoriamente “La scuola di Atene”, sarebbe opportuno limitarsi a 500: Beppe ormai non è più interessato al conteggio matematico, ma Michele potrebbe non… ‘reggerlo’) con la consueta abilità fantasiosa e ‘gustosa’ in cui mescola frutti e colori, tutti figli primogeniti di quella nostra vita contadina che è pur sempre onesta e spensierata sia nel caso sia coltivata, sia nasca spontanea: in questi casi la luminosità naturale del territorio, con il sole o la pioggia, resta immutata. Nigro ha citato anche il poeta elegiaco latino Tibullo, contemporaneo di Virgilio e morto quasi nello stesso anno, perché tutta la sua opera risulta ispirata alla natura, così come la pittura o le creazioni di Manlio, ma l’autore de «I fuochi del Basento» non si ferma spingendosi fino al poeta greco, nato a Siracusa, Teocrito, quello del soggiorno all’isola del mare Egeo Cos: assolvo Raffaele qualora il suo riferimento fossero gli idilli pastorali, altrimenti se la deve cavare da solo tenuto conto che siamo intorno al 300 a.C. come periodo.

Mi torna in mente, aprendo qualche cassetto della mia memoria, di aver letto pensieri sublimi del critico d’arte tarantino Raffaele Carrieri - morto a metà degli anni ’80 dopo aver pubblicato venti anni prima interessanti studi su Picasso - dedicati a Manlio. Il poeta e scrittore nato a Taranto nel 1905 in sostanza affermava che Manlio, chiaramente il Chieppa di otto lustri fa, ricordava immagini dell’infanzia e dipingeva: melagrane sanguinolenti con semi rosso rubino che non fanno ‘prevedere’ quel tipico sapore acidulo, fichi viola e verde, da contraltare era anche dipinta la sofferenza della gente che, pur amando il proprio lavoro dei campi, avvertiva tutto il peso di quella dura quotidianità.

Le 54 opere facenti parte del ciclo “Chiancaluna historie” sono un unico grande libro che va sfogliato, studiato, commentato e, se possibile, impresso nella memoria delle giovani generazioni: perché quelli che per noi anta-anta sono ricordi per loro sono novità tutte da scoprire, per loro la pietra è pietra per cui è compito nostro sollecitare la loro capacità creativa per vedere oltre con l’aiuto del Maestro Chieppa. Sarebbe magnifico se i ragazzi, condotti dai loro insegnanti a visitare la mostra, potessero fare le loro osservazioni direttamente a Manlio: il primo risultato evidente sarebbe che stiamo ‘dipingendo’ il mondo giovanile in maniera diversa dalla realtà: l’esuberanza dei giovani è sempre esistita, ma, come dimostra Chieppa, la pietra lavorata e colorata può regalare sensazioni e stati d’animo utilissimi; l’arte legata al territorio - non si tratta di frase fatta - è la memoria della Valle d’Itria, della Murgia del sudest, di Locorotondo e del popolo di Puglia.

Il progetto grafico del catalogo si deve, come di consueto, a Vincenzo Valerio che, in maniera professionale-raffinata, si mette al servizio di Chieppa: lo assiste trasformando la pubblicazione in oggetto del desiderio e in prezioso ‘scrigno’ da conservare (affermazione non da provetto profano, ma da provetto… punto). Il catalogo si avvale di un saluto dell’Assessore alle Culture, Turismo e Marketing territoriale del Comune di Bari, Ines Pierucci, che in questo modo conclude il suo intervento: «Dobbiamo ricominciare dall’arte di Manlio Chieppa per rimanere umani, sostenibili e responsabili». Riporto anche un significativo periodo dal ‘puntiglioso’ intervento del professore Saverio Russo, presidente del Fai Puglia (Fondo per l’Ambiente Italiano), ma soprattutto ordinario di Storia moderna dell’Università di Bari che, nei primi anni 2000, ritenne doveroso optare per la nascente Università di Foggia, lui nato a Margherita di Savoia: «Le sue opere sono pagine di storia, archivio della memoria, e si oppongono alla banalizzazione del paesaggio, che tante volte sperimentiamo anche nel nostro territorio (pensate allo spietramento della Murgia o agli impianti intensivi o superintensivi di olivi)».

Dal momento che la mostra è patrocinata dal Parco Letterario Formiche di Puglia, presieduto dal senatore Piero Liuzzi, vi voglio riportare, puntando sulla mia ancora discreta memoria, un passo estratto da Tommaso Fiore «Un popolo di formiche. Lettere Pugliesi a Piero Gobetti» un volume pubblicato nel 1968 dall’Adriatica Editrice di Bari (Il torinese Gobetti, politico e scrittore che morì a soli 25 anni a Parigi stroncato da una ‘bronchite’, era il pupillo del giurista Francesco Ruffini - uno dei docenti che rifiutò il giuramento al regime fascista - suo professore che diceva di lui ‘passato in breve da scolaro a maestro’). La quarta lettera, scritta da Fiore nel luglio del 1925, si esprimeva parola più, parola meno in questo modo “Il governo, non trovando di meglio, sembra voglia muovere alla conquista del Mezzogiorno: abituato a vincere ogni battaglia, ha già vinto anche questa, e tutto va bene. Noi siamo come le plebi latine, di manzoniana memoria, al cospetto dell’invasione dei franchi: UN NUOVO PADRONE SI MESCE ALL’ANTICO”.

Probabilmente Manlio starà pensando “… ma che fa Gianni, invece di parlare … distribuisce nozioni”? Carissimo Maestro le tue composizioni artistiche questo producono nelle persone normali, il continuo richiamo non a parole in libertà - oggi abusate e quasi mai realizzate - ma ad una storia che non sarà più ‘maestra di vita’ e pur va ricordata, portata alla luce… perché qualcosa può sempre insegnare.

Quello che tu hai fatto: le tue opere non offendono, non denigrano ma ci ricordano Fedro che delle sue favole era solito dire: «Dum nihil habemus maius, calamo ludimus», in sintesi se non abbiamo cose importanti da fare, giochiamo con la penna (intesa in senso lato)… per poi renderci conto che - le favole per Fedro, le ‘creature’ capolavori unici per Manlio - possiedono significativi e reconditi insegnamenti, frutto di quella moralità che sfida ogni tempo.

Posta un commento

Nuova Vecchia

Modulo di contatto