BARI - Accogliamo con soddisfazione la conferma del taglio del Cuneo fiscale anche per il 2024 e la revisione delle aliquote IRPEF con l'innalzamento fino a 28 mila euro del primo scaglione al 23%. Attendiamo di comprendere meglio con la lettura di tutto il testo della Legge di bilancio cosa sia stato previsto in tema di pensioni ed in particolare quale sarà lo strumento elaborato in sostituzione dell'Ape sociale e dell'Opzione donna (che risultano abolite nella nuova legge), finestre di "uscita" anticipata che non hanno avuto grande riscontro nell'ultimo anno. Esprimiamo invece perplessità sull'ulteriore abbassamento da 3 a 2 mila euro della soglia di esenzione, i cosiddetti "fringe benefit", per lavoratori con figli a carico e a soli mille euro per gli altri lavoratori, facendo un passo indietro rispetto all'esenzione dei 3 mila euro per tutti i lavoratori andata in vigore con grande successo nel 2022.
Poche e non rassicuranti notizie, invece, abbiamo sulle misure agevolative in scadenza al prossimo 31 dicembre 2023 e che hanno un impatto determinante sul costo del lavoro sopportato dalle aziende e che potrebbero avere possibili ricadute sull’occupazione, specie quella giovanile e delle donne. La preoccupazione è davvero molto forte perché dalle prime notizie emerse non vi è traccia alcuna di proroghe delle misure che al 31 dicembre 2023 segneranno la loro fine, con il risultato che dal 2024 ogni singola assunzione potrà costare alle aziende dal 30% al 100% in più. Un rincaro che certamente le nostre imprese non sono nelle condizioni di poter sopportare e che, conseguentemente, potrà provocare un brusco stop per l’occupazione. La perdita da gennaio 2024 anche di una sola di queste misure potrebbe portare ad un incremento fino ad 8.000 euro annui per ciascun nuovo assunto!
In particolare, a fine anno verrà meno la misura per le assunzioni agevolate degli under 36, che attualmente prevede un esonero totale del 100% dei contributi INPS per la durata di 36 mesi (che arriva fino ai 48 mesi per le assunzioni nelle cosiddette “regioni svantaggiate”). Decadranno, inoltre, le agevolazioni per le assunzioni di donne che prevedono una riduzione totale dei contributi fino a 18 mesi; spariranno infine le agevolazioni per le assunzioni di giovani under 30 e NEET che, dal primo giugno 2023 fino al 31 dicembre 2023, prevedevano un incentivo alle aziende pari al 60% della retribuzione mensile corrisposta al lavoratore. Tutto ciò, tra l’altro, accade in uno scenario di misure agevolative già di per sè quanto mai povero e che esclude da ogni tipo di agevolazione (ormai da sempre) la fascia d’età 36 - 49 anni.
Sono stati persi letteralmente nove mesi per discutere del salario minimo, per ricevere dal CNEL una risposta che tutti conoscevano sin dall’inizio del dibattito, trascurando quelli che sono i veri problemi per le aziende ed i lavoratori: creare le opportunità per incrementare l’occupazione. Tutto ciò passa inevitabilmente per il contenimento del costo del lavoro che dal primo gennaio 2024 subirà una brusca impennata, se non si interverrà in tempo. Il problema è quello relativo all’occupazione giovanile: il tasso di occupazione degli under 25 e nella fascia d’età che va dai 25 ai 34 anni è calato dello 0,3%, mentre è aumentata sia la disoccupazione che l’inattività. Il tasso di disoccupazione degli under 25 è risalito al 22,9%, tra i peggiori a livello internazionale (l’Italia è davanti solo a Spagna e Grecia). Per quanto attiene invece il tasso di occupazione femminile, pur salendo nel secondo trimestre a 52,6% (+1,2 punti percentuale in un anno), è comunque inferiore a quello di tutti gli altri Paesi della Ue. Nel 2022, infatti, il tasso di occupazione è di 13,8 punti inferiore a quello medio europeo, distanza che è aumentata rispetto al periodo pre-pandemia (nel 2019 era infatti a 12,7 punti).
Poche e non rassicuranti notizie, invece, abbiamo sulle misure agevolative in scadenza al prossimo 31 dicembre 2023 e che hanno un impatto determinante sul costo del lavoro sopportato dalle aziende e che potrebbero avere possibili ricadute sull’occupazione, specie quella giovanile e delle donne. La preoccupazione è davvero molto forte perché dalle prime notizie emerse non vi è traccia alcuna di proroghe delle misure che al 31 dicembre 2023 segneranno la loro fine, con il risultato che dal 2024 ogni singola assunzione potrà costare alle aziende dal 30% al 100% in più. Un rincaro che certamente le nostre imprese non sono nelle condizioni di poter sopportare e che, conseguentemente, potrà provocare un brusco stop per l’occupazione. La perdita da gennaio 2024 anche di una sola di queste misure potrebbe portare ad un incremento fino ad 8.000 euro annui per ciascun nuovo assunto!
In particolare, a fine anno verrà meno la misura per le assunzioni agevolate degli under 36, che attualmente prevede un esonero totale del 100% dei contributi INPS per la durata di 36 mesi (che arriva fino ai 48 mesi per le assunzioni nelle cosiddette “regioni svantaggiate”). Decadranno, inoltre, le agevolazioni per le assunzioni di donne che prevedono una riduzione totale dei contributi fino a 18 mesi; spariranno infine le agevolazioni per le assunzioni di giovani under 30 e NEET che, dal primo giugno 2023 fino al 31 dicembre 2023, prevedevano un incentivo alle aziende pari al 60% della retribuzione mensile corrisposta al lavoratore. Tutto ciò, tra l’altro, accade in uno scenario di misure agevolative già di per sè quanto mai povero e che esclude da ogni tipo di agevolazione (ormai da sempre) la fascia d’età 36 - 49 anni.
Sono stati persi letteralmente nove mesi per discutere del salario minimo, per ricevere dal CNEL una risposta che tutti conoscevano sin dall’inizio del dibattito, trascurando quelli che sono i veri problemi per le aziende ed i lavoratori: creare le opportunità per incrementare l’occupazione. Tutto ciò passa inevitabilmente per il contenimento del costo del lavoro che dal primo gennaio 2024 subirà una brusca impennata, se non si interverrà in tempo. Il problema è quello relativo all’occupazione giovanile: il tasso di occupazione degli under 25 e nella fascia d’età che va dai 25 ai 34 anni è calato dello 0,3%, mentre è aumentata sia la disoccupazione che l’inattività. Il tasso di disoccupazione degli under 25 è risalito al 22,9%, tra i peggiori a livello internazionale (l’Italia è davanti solo a Spagna e Grecia). Per quanto attiene invece il tasso di occupazione femminile, pur salendo nel secondo trimestre a 52,6% (+1,2 punti percentuale in un anno), è comunque inferiore a quello di tutti gli altri Paesi della Ue. Nel 2022, infatti, il tasso di occupazione è di 13,8 punti inferiore a quello medio europeo, distanza che è aumentata rispetto al periodo pre-pandemia (nel 2019 era infatti a 12,7 punti).