Sguardi d’autore: Santa Fizzarotti Selvaggi e Paolo Finoglio

DELIO DE MARTINO - Santa Fizzarotti continua a sorprenderci piacevolmente col suo nuovo volume, Lo sguardo dell’altro. Il femminile nell’opera di Paolo Finoglio (Aga, 2023), un artista di valore al quale aveva dedicato già un saggio nel 1983 (Paolo Finoglio. L’altro Sguardo, Schena), e che merita di essere conosciuto e valorizzato appieno. Il volume è arricchito da saggi introduttivi di Vinicio Aquaro, Angela Campanella, Michele Cristallo e Antonio Fanizzi.

Giangirolamo II Acquaviva, il Guercio di Puglia, sollecitato dalla moglie mecenate Isabella Filomarino, aveva fatto venire Finoglio da Napoli a Conversano per realizzare un affresco per la chiesa dei Santi Cosmo e Damiano, ristrutturazione barocca della preesistente chiesa romanica di San Matteo. Ma a Finoglio fu commissionato anche un ciclo di dipinti per la Galleria del castello di Conversano: dieci grandi tele (2,60x3) con Scene della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso (1544-1595), dipinte poi tra il 1642 e il 1645 e collocate nove nella Galleria ed una nel guardaroba. Attualmente sono conservate nella Pinacoteca nelle sale del castello aragonese (p. 56 con foto), non l’unica, ma la più importante testimonianza della fortuna di Tasso in Puglia. Il poeta di Sorrento aveva infatti scritto un sonetto In lode di Casa Acquaviva in onore di Giangirolamo I Acquaviva d’Aragona e sembra sia stato ospite del Castello Ducale di Bovino. Inoltre è raffigurato in un medaglione dipinto da Mario Prayer nell’Aula Magna di Bari, un evidente omaggio alla letteratura meridionale nella prima università della Puglia, inaugurata il 15 gennaio 1925. È proprio sul raffinato e ambizioso ciclo di dieci tele di Finoglio che si concentra Santa Fizzarotti nella duplice veste di critico d’arte e di psicanalista. E lo fa a buon diritto e con grande competenza, essendo stata lei la prima a rivisitare le tele dandone una prima chiave di lettura del tutto nuova e originale in appunti… Paolo Finoglio (Conversano, 1980).

Suggestiva è l’ipotesi che le tele fossero legate ad una rappresentazione del poema di Tasso nella corte di Giangirolamo II e che vadano anzi recuperati nel ritratto di Armida il ritratto di Isabella e in quello di Tancredi “le gesta dei conti e di tutta la Casa Acquaviva” (p. 54). L’ipotesi di una rappresentazione è confermata dalle quattro tele con gli amori di Rinaldo e Armida, trattati “come un unico piano sequenza” (pp. 55 e 67). Finoglio sembra aver riletto il poema del Tasso da visuale drammatica, proprio come un regista-drammaturgo, e anche per questo non meraviglia che abbia pensato di marcare la propria presenza, nascondendosi dietro una maschera, cioè dietro il volto di uno dei suoi personaggi in una delle dieci tele (p. 31).

Tra le dieci tele Santa Fizzarotti Selvaggi affonda lo sguardo in particolare sulle quattro figure femminili emblematiche, le eroine della Gerusalemme liberata (Erminia, Sofronia, Clorinda e Armida), simboli “di tutte quelle dimensioni femminili che si vorrebbero incontrare in una donna soltanto, a ricordo di perdute beatitudini” (p. 59). Ciò che le accomuna è lo sguardo seducente con cui carezzano gli eroi. Controfigure le une e gli altri dei grandi personaggi della Corte di Conversano in primo luogo di Giangirolamo e di Isabella.

Analista degli sguardi, col suo stesso sguardo critico lucido e ispirato l’Autrice getta comunque luce sull’intero ciclo delle dieci tele, passandole in rassegna una dopo l’altra.

ll Martirio di Olindo e Sofronia trae spunto da un passo del libro II del poema, e potrebbe avere un valore speciale, se davvero, come, Santa Fizzarotti Selvaggi ipotizzò insieme a Titti Matera, vi figura un autoritratto di Finoglio in un personaggio secondario, in penombra e con abiti anacronistici, diversi da quelli degli eroi, con gli occhi obliqui che guardano oltre la tela e significativamente impugna un’asta (pennello) con la destra e le redini con la sinistra (p. 60). A questa scoperta è dedicato uno specifico paragrafo (L’Autoritratto), nel quale è anche riprodotta la tela del Martirio (p. 74).

Occhi e sguardi dolorosamente amorosi caratterizzano Tancredi incontra Clorinda sul campo di battaglia, che si ispira ad un passo del canto III.

Il duello tra Raimondo di Tolosa ed Argante (dal canto VII) è la ““messa in scena“ della violenza che connota la natura umana, allora come ora” (p. 64).

Un pathos tutto suo suscita Battesimo e morte di Clorinda (dal canto XII), una tragedia di campagna molto più tragica della battaglia che si consuma sullo sfondo presso le mura, perché Clorinda muore per mano di colui che mai avrebbe voluto ucciderla.

Sguardi innamorati caratterizzano anche le quattro tele con Gli amori di Rinaldo e Armida (dal canto XVI), che formano una sequenza a sé, perché sono, come abbiamo già ricordato, “come un unico piano sequenza”, nel quale il filo d’Arianna sono appunto gli sguardi stranianti. In Tancredi e Erminia, la tela ispirata al canto XIX, l’eroina si protende dalla sella sull’eroe tramortito, un gesto la cui platealità “trasforma la tela in uno schermo cinematografico dinanzi al quale ci si ritrova, improvvisamente, affascinati spettatori!” (p. 71).

In Rinaldo vittorioso mette in fuga il nemico (dal canto XX) l’eroe trionfa in modo spettacolare, in sintonia col taglio dell’intero ciclo di tele.

Il volume offre verso la fine una piacevole sorpresa: il monologo Isabella Filomarino, che racconta la sua vita a “Signori e Signore” del ventunesimo secolo, soffermandosi sul marito Giangirolamo e su Fenoglio e, con un nuovo consapevole anacronismo, sull’ultimo suo discendente don Fabio Filomarino.

Polifonico e variegato il volume trova il suo filo conduttore nel femminile, un tema difficile e sfuggente, magistralmente affrontato da una donna di pensiero, un “pensiero indaffarato”, come lo chiama efficacemente Vinicio Aquaro. Il punto di partenza sono i Pensieri in libertà. In principio era il femminile, che spaziano da Saffo alla Eva mitocondriale, il punto di arrivo è La Parola femminile, ancora da riscattare pienamente.

Pensieri in libertà: i soli che possano ambire a lanciare uno sguardo nell’inquietante e primordiale caos dell’enigma femminile, verso il quale si deve portare rispetto resistendo al bisogno di costringerlo in una formula inevitabilmente riduttiva e semplificante.

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