The Palace: la recensione

FREDERIC PASCALI - Roman Polanski è un regista che ha sempre fatto del suo immenso talento un’arma a doppio taglio, incline a non essere schiavo del giudizio del pubblico e dei critici e, nello stesso tempo, deciso a non adattarsi alla conformità del pensiero dominante.

La sua ultima fatica, The Palace, presentata fuori concorso alla recente ottantesima Mostra cinematografica di Venezia, non si discosta da questi principi e, pur essendo strutturata nei canoni della commedia classica, attinge a piene mani a ibridi di genere che ne sanciscono la riuscita. La sceneggiatura, scritta dallo stesso Polanski con il fedele Jerzy Skolimowski ed Ewa Plaskowska, gioca d’intarsio suturando con accenti pseudo drammatici le parti in commedia. L’intervento è preciso e il risultato grottesco è assicurato, con i personaggi che si trasformano in maschere irriverenti di una porzione di società ai confini della realtà, prigioniera dei propri stereotipi e della propria decadenza. Un circo Barnum, presagio accurato dei tempi di là a venire, che la macchina da presa traduce privilegiando primi piani e mimiche rivelatrici. Così, lo stesso racconto dei fatti che si susseguono nell’ultima notte del passato Millennio, il 31 dicembre 1999, all’interno di un lussuoso albergo arroccato all’interno delle Alpi svizzere, invoca gli stilemi della Comédie Humaine sopraffacendo poesia e aspirazioni romantiche con copiose striature di cialtronesche e ampollose declinazioni della propria personale fatua vanità.

Il cast, sontuoso, è guidato egregiamente da Oliver Masucci, Hansueli, il Direttore dell’albergo, e Mickey Rourke, Mr. Crush, il cinico e strampalato uomo d’affari attorno alla cui vicenda ruota gran parte della trama. Sono loro i principali burattinai di un caravanserraglio, che annovera, tra gli altri, Fanny Ardant, Joaquim de Almeida e Bronwin James, splendidamente fotografato dalla luce di Pawel Edelman e cronologicamente ordinato nel montaggio di Hervé de Luze.

Il personale Hollywood Party di Polansky abiura l’eleganza comica di Blake Edwards ma non si rivela meno efficace nel fustigare i costumi di un’alta società, presente e futura, confusa e prigioniera delle proprie nevrosi.