CONTRIBUTO DI FILIPPO M. BOSCIA - Malesseri sociali e stress lavoro correlato è il titolo di questo nostro incontro, che tra l’altro riguarda professionisti e persone che si curano della casa comune.
Da medico e da operatore nel sociale mi viene in mente di associare due categorie importanti che vivono la loro vita professionale intensamente, anteponendoconsapevolezza e responsabilità, obiettivi chiave per far bene il proprio lavoro. Il confronto riguarda due profili professionali che lavorano per il ben vivere e per il ben-essere e sono quelli riferiti alle forze dell’Ordine che tutelano la sicurezza pubblica e quella dei medici che, in trincea anch’essi, lavorano per la tutela della salute.
Per queste due categorie, ma anche per tante altre realtà lavorative, desidero affermare che non si può vivere avendo addosso la costante paura del proprio lavoro: lavoro e paura sono realtà che non devono mai convivere. Qualora convivessero lavoro e paura, le conseguenze sarebbero imprevedibili. A gran voce dico che non si può e non si deve mai uscire di casa avendo addosso la paura di affrontare il proprio lavoro.
Temere il proprio lavoro è quanto di peggio possa capitare a chiunque, soprattutto a coloro che viceversa, con entusiasmo, dedizione e abnegazione, conducono delicatissimi profili professionali.
Purtroppo le categorie che soffrono la “paura indotta dal lavoro” sono in crescita esponenziale e registriamo oggi un aumento dei disagi che molto spesso superficialmente vengono etichettati come fragilità personale.
Purtroppo paura, lavoro e stress è fenomeno in crescita, anno dopo anno e non può lasciarci indifferenti.
Personalmente spesso dialogo con persone vittime di questo disagio e credo sia un mio personale obbligo dar voce ai molti silenzi per sconfiggere la globalizzazione dell’indifferenza.
La disponibilità all’ascolto è fondamentale per intercettare i disagi e l’incontro di oggi vuole proporre una riflessione alta e profonda su questa delicata tematica ed avviare cantieri di speranza e creare officine dove si lavori per un futuro migliore.
La vita militare è una professione non più scelta con l’entusiasmo e la serenità di prima. E’professione ad altissimo rischio e si registra una vera e propria fuga, così come è alto il rischio di abbandono.
Chi svolge le delicate funzioni inerenti se vive la professione con timori, paura e terrore ha rischio elevatissimo i scompensi mentali irreversibili. Si parla poco di questi problemi, ma urge riferire che il tasso di depressione e di disagi mentali fra le forze dell’ordine è cinque volte superiore a quello della normale popolazione civile e il numero di agenti di polizia morti per suicidio è più del triplo rispetto a quelli feriti a morte nell'esercizio delle loro funzioni. Il suicidio è la risultante di innumerevoli fattori, di mezzo non c'è solo la malattia psichiatrica.
Non possiamo assolutamente permetterci di lasciarli soli, non possiamo lasciarli liberi di uccidersi, non possiamo lasciarli abbandonati. Credo che sia indispensabile ed indifferibile prendersi cura di questi attori, persone essenziali nella vita civile di un popolo democratico.
Occorre un impegno senza diserzioni: la società non può venir meno alla sua responsabilità nei confronti di questi servitori dello Stato.
Io sono qui per lanciare un accorato appello perché questa problematica sia affrontata lucidamente e coraggiosamente da tutti, a tutti i livelli! E la chiamata in causa riguarda tutti i responsabili della cosa pubblica, ma anche tutti i cittadini, dai quali si pretende vicinanza e sostegno.
Non siamo qui per enfatizzare casi di cronaca a livello mediatico, né siamo qui per far prevalere il sensazionalismo, siamo qui per fare un discorso di prevenzione, per intercettare il disagio, per rispondere ad una richiesta di aiuto lanciata ad una società nella quale spesso ci si sente non visti o addirittura invisibili.
La problematica va discussa, occorre parlare del fenomeno, occorre analizzarlo perché il fenomeno non riguarda la singola persona ma anche le famiglie che a volte sono vittime inconsapevoli di eventi inattesi. Su questo tipo di problematica a me pare che ci siano remore e timori nel chiedere aiuto, forse sono poche le strutture idonee a dare sostegno concreto, ancor più perché alcuni potrebbero considerare la richiesta di aiuto come segno di debolezza.
Desideriamo rivolgere la nostra attenzione a tutti i servizi di continuità e quello delle forze dell’Ordine è un servizio di continuità di lavoro. Alcune statistiche lanciano drammatici allarmi, segnalando quanto questa attività sia costellata da un numero impressionante di aggressioni, di atti violenti, di prevaricazione nei confronti di coloro i quali lavorano per prendersi cura della sicurezza.
Le aggressioni sono una cosa seria e rappresentano un problema rilevante: Il continuo ripetersi di aggressioni e di violenze di ogni genere contro gli operatori della sicurezza e i lavoratori dei presidi di continuità assistenziale ripropone in maniera sistematica il problema della sicurezza nel mondo del lavoro e impone azioni tese ad individuare soluzioni utili a garantire l’integrità e la sicurezza degli operatori.
ALCUNI DATI CHE DEVONO FARCI RIFLETTERE:
2020: 51 SUICIDI - 2021: 57 SUICIDI
2022:72 suicidi 25 polizia di Stato 16 carabinieri 10 polizia locale 5 guardie giurate 4 polizia penitenziaria 3 guardia di finanza 3 esercito 2 vigili del fuoco 2 aeronautica 2 marina 2 forestale
Questi dati sono documentati nel tempo e validati nelle indagini. Non sono solo atti occasionali, di mezzo ci sono minacce, aggressioni verbali e psicofisiche dirette, azioni premeditate e scatenate da delinquenti, che con violenza e deliberate azioni fratturano ogni possibile consolidato rapporto di fiducia e di rispetto, che dovrebbe essere fermo ed ineludibile nei confronti degli operatori di sicurezza, che giorno dopo giorno, notte dopo notte, sono costretti ad operare in situazioni sempre più potenzialmente pericolose, spesso nella totale indifferenza. Mi rendo conto che con il passare del tempo non reagiamo abbastanza e forse non ci accorgiamo che il mondo che dovrebbe tutelarci e accoglierci si sta sgretolandosi, avvicinandoci sempre più ad un punto di rottura. Aumentano significativamente le probabilità di eventi estremi che sempre più di frequente trovano nei giovanissimi feroci assalitori. Non sono poche le persone che nell’ambito delle attività lavorative rimangono sopraffatti dalla crudezza degli eventi: persone che sono testimoni di mutilazioni, di traumi, di violenza feroce, espressione di bruta e bieca forza.
Abbiamo il dovere etico di agire insieme. Il dovere di agire è includibile. Quel che si richiede è una responsabilità educazionale di un mondo che sta diventando multipolare e al tempo stesso così complesso da rendere ineludibile una cooperazione efficace.
Affrontando la questione della violenza e delle oppressioni alle forze dell’ordine, ognuno può e deve fare qualcosa per il bene dell’umanità e per il rispetto della dignità delle persone che lavorano in campi di alto rischio.
Incrociando alcuni dati e facendo emergere molti punti critici risulta che la componente connessa allo stress psicofisico è causa emergente di moltissimi eventi stressogeni.
Gli eventi critici che compaiono durante il servizio sono molteplici e non tutti sottoposti a monitoraggio: cadaveri mutilati, incidenti stradali, vittime di pestaggio, ferite da arma da fuoco o da armi bianche si accumulano l’uno sull’altro senza che nessuno verifichi periodicamente le conseguenti devastazioni mentali. Molte di queste sono situazioni già ingestibili che evolvono in gravi escalation di salute mentale e di idea suicidaria.
Quando scatta l’emergenza potrebbe essere già tardi!
Non so se in ambienti militari, infrangendo il politicalcorrect di questo se ne parli…
Un’altra emergenza è quella dei militari aggrediti che spesso poi sono etichettati come aggressori.
Chi filma gli eventi non documenta mai la fase di provocazione ma solo la risposta, l’aggressione. Ma le forze di polizia devono essere miti e farsi bastonare senza poter rispondere?
I filmati documentato l’aspro destino che le forze dell’ordine sono costrette a vivere. Rispondono alle provocazioni ma risultano essere aggressori.
Dall’altro lato con mite indulgenza gli aggressori compiono solo delle “ragazzate” o delle “interperanze giovanili”. Così si edulcorano atti di violenza pura.
E badate bene questo avviene anche sul versante medico, quel versante che da operai della salute viviamo nei servizi di continuità assistenziale.
Ho sentito dire tante volte dire, dopo un’aggressione a mano armata “ma suvvia, era un’arma giocattolo!”.
Ma volete dirmi come si fa a distinguere un’arma giocattolo da un’arma a valenza esplosiva durante un’azione concitata? Come si fa a distinguere proiettili di gomma, da proiettili esplosivi? Non è facile quando ti trovi una pistola, anche se giocattolo, puntata alla tempia.
Gli uomini della polizia devono essere coraggiosi, ma che vuol dire? Li vogliamo martiri? Immaginiamola la vita concreta di chi si leva al mattino e porta con sé la paura dell’incontro con l’ignoto… La conoscono solo quelli che sono chiamati a difenderci e ad essere ogni giorno in rapporto strettissimo con l’altro, che non è l’amico, ma che è sempre un nemico feroce.
Quel singolo che va incontro all’ignoto ha anche una famiglia, ha anche dei figli, ha anche delle madri e dei padri in attesa di rientro.
Nessuno vuole augurare l’inasprirsi dell’esercizio dell’autorità, ma nessuno può tollerare quel buonismo di facciata nei confronti di chi può strapparci di mano un nipote per farlo diventare scudo umano.
In questa nostra malinconica, ma realistica società, è indispensabile che qualcuno individui i modi e le soluzioni utili a garantire la sicurezza degli operatori.
E’ indispensabile che la società si curidei curanti, si curi e abbia cura di loro!
Occorre che tutti gli operatori sociali, sanitari, di polizia si sentano sempre sicuri, pur nella consapevolezza della loro fragilità.
La libertà del lasciar farespesso chiesta alla polizia rappresenta un’ulteriore violenza.
Come gestire l’aggressione armata mantenendo un aplomb psicologico? nella vita concreta delle persone non esiste equilibrio in coesistenza di grandi paure: paura per sé stessi, per i figli, per le mogli, per la famiglia, per i cari.
Cosa richiediamo alle forze dell’ordine?
Di rispondere con mitezza nell’esercizio dell’autorità o di essere capaci di abituarsi ad un inasprirsi difensivistico?
Dobbiamo discuterne con coraggio, ma anche con la consapevolezza che la difesa personale legittima è un momento essenziale per la quale non si può e non si deve essere puniti, ma si deve essere totalmente assolti. L’incontro fra lui, l’altro e la realtà ci porta a contrastare ogni arroccamento culturale e ad incoraggiare iniziative di integrazione, di dialogo e di sviluppo.
Oggi intendiamo lavorare ad un futuro migliore che ci consenta di accogliere le sfide di un’epoca di transizione.
Una sfida che riguarda tutti è cercare di costruire una casa comune, una casa in cui ci si senta tutti, al contempo e pariteticamente, inquilini e responsabili, sapendo che la personale sicurezza del singolo corrisponde al funzionamento dei vari servizi.
Questa casa comune è uno spazio di inclusione e di convivenza in cui ogni alterità mantiene la propria ragione e la propria dignità, che non potranno mai essere disgiunte dal reciproco rispetto e da regole certe.