Omaggio a Giò Stajano, dalla 'Dolce vita' al convento
FRANCESCO GRECO - ROMA . "Doveva essere un libro o un film:
alla fine ne è uscito uno spettacolo teatrale...
".
Andrà in scena l’11 e il 12 dicembre alla
“Cappella Orsini” di Roma (via di Grotta
Pinta, 21). Ideazione e regia di Francesca
Stajano Sasson, attrice regista ed autrice,
nipote di Giò. Che interrompe le prove e
risponde alle nostre domande.
Emozionata?
Chi è stato Giò Stajano?
"La risposta è, forse, chi non è stato Giò Stajano? Zia è stata tutto quello che un essere umano può immaginare di essere su questa terra. Nascere uomo poi diventare donna e infine suora laica non è un percorso comune, credo sia unico e in questo c’è la sua grandezza, quella che le ha impedito di sostare a lungo in una zona di confort e le ha permesso di scavare a fondo dentro di sé e tracciare un solco che ancora oggi molti seguono e ammirano".
Emozionata?
"Molto di più, felice felicissima ed
emozionata e ringrazio prima di tutto
Roberto Lucifero e la Fondazione Opera
Lucifero insieme al Direttore Artistico
Riccardo Giò De Luca per avermi stimolata
a realizzare questo spettacolo e per l’
ospitalità a Cappella Orsini, e voglio
ringraziare anche Willy Vaira, depositario
delle memorie artistiche e umane di mia zia,
per aver creduto in me e avermi dato carta
bianca in questo incredibile progetto.
È dal 2011 che desideravo fare qualcosa su
mia zia, un ricordo, un omaggio, qualcosa
che rendesse giustizia alla sua incredibile
vita che io vedo attraverso gli occhi dello
sconfinato amore che provo da sempre per
lei".
Chi è stato Giò Stajano?
"La risposta è, forse, chi non è stato Giò Stajano? Zia è stata tutto quello che un essere umano può immaginare di essere su questa terra. Nascere uomo poi diventare donna e infine suora laica non è un percorso comune, credo sia unico e in questo c’è la sua grandezza, quella che le ha impedito di sostare a lungo in una zona di confort e le ha permesso di scavare a fondo dentro di sé e tracciare un solco che ancora oggi molti seguono e ammirano".
Che significato ha avuto, come
persona e personaggio, nel contesto
culturale, sociale, politico del XX
secolo?
"In una Italia bigotta del dopoguerra, Giò abbandona la sua terra, il Salento, per arrivare a Roma, città in pieno fermento artistico. Si dichiara apertamente omosessuale o frocio, come lo chiamavano i romani, scrive il primo romanzo interamente sul tema Roma capovolta che verrà sequestrato dalla Buoncostume dopo aver venduto diverse copie e aver sollevato il velo su una Roma nascosta e oscura, quella dei capovolti appunto, chiamati così perché nel Medioevo gli omosessuali venivano appesi a testa in giù e squartati vivi dal clero. Tutta pubblicità per lui che diventa un simbolo del nuovo che avanza, della libertà di essere se stessi contro tutto e tutti. Partecipe di diversi movimenti culturali e artistici dell’ epoca, aprirà la strada a tutti quei movimenti di rivendicazione e affermazione di libera scelta in materia di sesso e identità, movimenti che mai come oggi rischiano la repressione e il sopruso, riportandoci indietro a quell’Italia in cui sembrava che solo Giò fosse omosessuale".
Si può affermare che, nel suo essere poliedrica, la sua figura oggi è sempre attuale?
"Certamente. La sua figura è sempre attuale perché Giò era avanti nel tempo e forse non siamo ancora veramente arrivati nell’era di Giò, ma ci stiamo soltanto avvicinando".
Quali password in chiave estetica e artistica, oltre che umana, ha usato per decodificare un personaggio così barocco?
"Tutte le chiavi possibili e inimmaginabili, oltre al grande affetto che mi lega a lei. Durante le prove ho parlato molto con gli attori della vita di Giò, di quello che pensava, delle sue rocambolesche avventure, del suo spirito indomito e della sua ironia, il tutto nato in un contesto sociale fatto di doveri e obblighi di nascita. Giò nasce nel 1931 a Gallipoli nel palazzo di famiglia, era il figlio primogenito di un conte salentino, proprietario terriero e molto conosciuto nella buona società leccese, nonché nipote di Achille Starace Segretario del P.N.F. Avrebbe dovuto seguire delle orme precise e già tracciate per lui, studi al Mondragone dai Gesuiti, matrimonio con una ricca e magari anche nobile giovane e vergine ragazza, auguri e figli maschi dopo un sontuoso ricevimento con tutta la suddetta buona società dell’epoca. Gli attori in questo spettacolo dunque sono stati da me trascinati nella sua vita senza un testo predefinito da subito, il testo o copione si è andato mano a mano formando durante le intense prove anche con loro, così come le scene e i costumi di cui mi sono occupata erano funzionali a farli sentire sempre più dentro la storia di Giò. Mi piace qui ricordare Joyce Conte che interpreta in modo incredibile Giò, Marta Bifano alla cui grande sensibilità artistica ho affidato la figura di mia nonna Fanny Starace, Sara Pallini una grande Madre Maria Eugenia, alla versatilità attoriale invece di Gabriele Sisci ho affidato Don Salvatore Cipressa e altri personaggi chiave nella vita di Giò, a Isabella Deiana il compito di far rivivere Anita Ekberg e la sua selvaggia dolcezza e a Nino Mallia poi spetterà di cucire tutto in un meraviglioso mosaico attraverso la sua arte di movimento scenico, il tutto illuminato e reso musicale da Max Di Grazia, con luci e fonica di Paolo Sbroglio. Dimenticavo: per me ho lasciato un posto libero per riportare al pubblico romano l’ indimenticabile Novella Parigini. Il mio modo di fare teatro e di dirigere gli attori farà sentire lo spettatore come qualcuno che spia dal buco della serratura, qualcosa che sta realmente accadendo, in quella camera che molti chiamano palcoscenico".
Dalla “Dolce Vita” al convento che la ospitò da suora laica al crepuscolo della sua intensa, straordinaria parabola: cos’è rimasto di Giò nel costume di oggi, nella Babele di linguaggi del III Millennio?
"Uno dei motivi che mi hanno spinta a pensare questo spettacolo su mia zia è una cosa che lei mi disse qualche anno prima di lasciarci: “Vedi Chicca, sono sicura che tutti mi ricorderanno soltanto per i miei scandali e per le mie battute e non per la mia fede nel Signore, per la mia conversione. Un giorno, quando non ci sarò più, parlane e fa in modo che si conosca anche questo della mia vita e come ci sono arrivata”. Per molti anni non sono riuscita a fare nulla, il dolore per la sua perdita era troppo forte, ma sentivo dentro di me che stavo mancando in qualcosa verso di lei, era un sottile tormento. Ora sento che è arrivato il momento di esaudire il suo ultimo desiderio, è per questo che è nato “Polvere di Giò” , e proprio come polvere di una stella, mi piacerebbe si posasse su ognuno di noi e che chiunque possa prendere da essa quello che gli serve per andare avanti nel proprio cammino, restando solo fedele a se stesso contro tutto e contro tutti".
"In una Italia bigotta del dopoguerra, Giò abbandona la sua terra, il Salento, per arrivare a Roma, città in pieno fermento artistico. Si dichiara apertamente omosessuale o frocio, come lo chiamavano i romani, scrive il primo romanzo interamente sul tema Roma capovolta che verrà sequestrato dalla Buoncostume dopo aver venduto diverse copie e aver sollevato il velo su una Roma nascosta e oscura, quella dei capovolti appunto, chiamati così perché nel Medioevo gli omosessuali venivano appesi a testa in giù e squartati vivi dal clero. Tutta pubblicità per lui che diventa un simbolo del nuovo che avanza, della libertà di essere se stessi contro tutto e tutti. Partecipe di diversi movimenti culturali e artistici dell’ epoca, aprirà la strada a tutti quei movimenti di rivendicazione e affermazione di libera scelta in materia di sesso e identità, movimenti che mai come oggi rischiano la repressione e il sopruso, riportandoci indietro a quell’Italia in cui sembrava che solo Giò fosse omosessuale".
Si può affermare che, nel suo essere poliedrica, la sua figura oggi è sempre attuale?
"Certamente. La sua figura è sempre attuale perché Giò era avanti nel tempo e forse non siamo ancora veramente arrivati nell’era di Giò, ma ci stiamo soltanto avvicinando".
Quali password in chiave estetica e artistica, oltre che umana, ha usato per decodificare un personaggio così barocco?
"Tutte le chiavi possibili e inimmaginabili, oltre al grande affetto che mi lega a lei. Durante le prove ho parlato molto con gli attori della vita di Giò, di quello che pensava, delle sue rocambolesche avventure, del suo spirito indomito e della sua ironia, il tutto nato in un contesto sociale fatto di doveri e obblighi di nascita. Giò nasce nel 1931 a Gallipoli nel palazzo di famiglia, era il figlio primogenito di un conte salentino, proprietario terriero e molto conosciuto nella buona società leccese, nonché nipote di Achille Starace Segretario del P.N.F. Avrebbe dovuto seguire delle orme precise e già tracciate per lui, studi al Mondragone dai Gesuiti, matrimonio con una ricca e magari anche nobile giovane e vergine ragazza, auguri e figli maschi dopo un sontuoso ricevimento con tutta la suddetta buona società dell’epoca. Gli attori in questo spettacolo dunque sono stati da me trascinati nella sua vita senza un testo predefinito da subito, il testo o copione si è andato mano a mano formando durante le intense prove anche con loro, così come le scene e i costumi di cui mi sono occupata erano funzionali a farli sentire sempre più dentro la storia di Giò. Mi piace qui ricordare Joyce Conte che interpreta in modo incredibile Giò, Marta Bifano alla cui grande sensibilità artistica ho affidato la figura di mia nonna Fanny Starace, Sara Pallini una grande Madre Maria Eugenia, alla versatilità attoriale invece di Gabriele Sisci ho affidato Don Salvatore Cipressa e altri personaggi chiave nella vita di Giò, a Isabella Deiana il compito di far rivivere Anita Ekberg e la sua selvaggia dolcezza e a Nino Mallia poi spetterà di cucire tutto in un meraviglioso mosaico attraverso la sua arte di movimento scenico, il tutto illuminato e reso musicale da Max Di Grazia, con luci e fonica di Paolo Sbroglio. Dimenticavo: per me ho lasciato un posto libero per riportare al pubblico romano l’ indimenticabile Novella Parigini. Il mio modo di fare teatro e di dirigere gli attori farà sentire lo spettatore come qualcuno che spia dal buco della serratura, qualcosa che sta realmente accadendo, in quella camera che molti chiamano palcoscenico".
Dalla “Dolce Vita” al convento che la ospitò da suora laica al crepuscolo della sua intensa, straordinaria parabola: cos’è rimasto di Giò nel costume di oggi, nella Babele di linguaggi del III Millennio?
"Uno dei motivi che mi hanno spinta a pensare questo spettacolo su mia zia è una cosa che lei mi disse qualche anno prima di lasciarci: “Vedi Chicca, sono sicura che tutti mi ricorderanno soltanto per i miei scandali e per le mie battute e non per la mia fede nel Signore, per la mia conversione. Un giorno, quando non ci sarò più, parlane e fa in modo che si conosca anche questo della mia vita e come ci sono arrivata”. Per molti anni non sono riuscita a fare nulla, il dolore per la sua perdita era troppo forte, ma sentivo dentro di me che stavo mancando in qualcosa verso di lei, era un sottile tormento. Ora sento che è arrivato il momento di esaudire il suo ultimo desiderio, è per questo che è nato “Polvere di Giò” , e proprio come polvere di una stella, mi piacerebbe si posasse su ognuno di noi e che chiunque possa prendere da essa quello che gli serve per andare avanti nel proprio cammino, restando solo fedele a se stesso contro tutto e contro tutti".