Il contributo barese alla diffusione del dialetto
VITTORIO POLITO - Il dialetto, sistema linguistico d’ambito geografico e
culturale, rappresenta, per molti, un differente mezzo di comunicazione.
In altre parole, una seconda lingua per potersi intendere fra gente dello
stesso paese o della stessa città o regione. Esso può considerarsi
messaggero di tradizione e sinonimo di cultura, anche se in alcuni
ambienti è considerato, a torto, volgare.
Secondo Armando Perotti (1865-1924), «Chi predica la prossima sparizione dei dialetti, invocando il giorno felice, in cui tutti gli italiani parleranno, come insegna la Crusca 1 , è un illuso, per non dir peggio, chi crede alle generalizzazioni e non sa che la forza della vita sta nella individualizzazione». D’altro canto l’interesse e il desiderio di conoscere le origini e il significato dei nostri vocaboli dialettali induce a trattare l’argomento sempre più diffusamente da parte degli esperti.
1. Accademia sorta a Firenze nel 1583 con lo scopo di vigilare sul buon uso della lingua italiana.
Il dialetto, si parla ancora? Certamente, anzi interessa sempre più ed il proliferare di pubblicazioni, di teatri che rappresentano commedie e rassegne in vernacolo, la diffusione di dizionari, sono la dimostrazione della sete di sapere e di conoscenza del pubblico.
Franco Noviello (1924-2011) pubblicò qualche decennio fa “Canti popolari della Puglia”, una corposa raccolta in tre volumi, nella quale ciascun canto è presentato nella sua lingua dialettale e nella traduzione italiana, «perché la poesia popolare è propria di una “civiltà della voce” e, come tale, si esprime in una lingua propria, che è altro da quella nazionale, spesso molto più pregnante e densa di messaggi significanti. La rassegna è amplissima: canti religiosi, canti di lavoro, canti sociali, ninne nanne, brindisi, canti funebri, villanelle, canti d’amore e di dispetto, canti epico-lirici. E attraverso di essi emergono la vita e l’anima del popolo pugliese, l’illimitata fiducia nel sacro, la dipendenza dai fenomeni atmosferici, i rapporti di vicinato e di comparatico, il senso della festa e del rito, la fatalità propria della gente che affida il suo destino alla terra o al mare, definita da qualcuno «simbologia del destino».
Dello stesso parere è Stefano Imperio, che nella premessa alla sua pubblicazione “Alle origini del dialetto pugliese” (Schena), sostiene che «La diffidenza verso i dialetti è che non tutti hanno la facoltà di intenderli, e ciò limita la diffusione di opere che andrebbero invece estesamente conosciute da un pubblico numeroso ed eterogeneo»”. Inoltre rammenta che «…al dialetto sia lasciata la dignità di lingua popolare… con la ricchezza di un’arguzia spontanea, impossibile a riprodurre con la lingua letteraria».
Oronzo Parlangeli (1923-1969), lo studioso che progettò e diresse la “Carta dei dialetti Italiani” per il Consiglio Nazionale delle Ricerche, sosteneva che «Da un lato la storia si ripercuote viva nel dialetto, dall’altro la storia apre il dialetto verso la comunità nazionale più vasta di cui ogni dialetto fa parte».
Secondo Tonino Guerra (1929-2012), un intellettuale, autore di molte sceneggiature per importanti registi (Fellini, Antonioni, Rosi, Tarkowskij, Angelopulos), e anche di molte belle poesie in dialetto romagnolo, «Il dialetto è una lingua. Prima c’era il latino; il latino si è squagliato e sono nate tante altre lingue. In Italia così abbiamo un plurilinguismo nazionale. L’importanza è che si scrivano cose belle».
Vito Maurogiovanni (1924-2009), barese, giornalista, scrittore ed insigne commediografo di cultura popolare, ha scritto diverse farse in dialetto come ‘Aminueamare’,’ Chidde dì du 188’, ’U café antiche’ (Levante). Quest’ultimo, unico dramma dialettale barese e prima opera teatrale dell’autore. Dello stesso autore ‘Jarche vasce’, che rappresenta una ricostruzione dei cicli della vita e dell’anno secondo la cultura della tradizione, ha avuto un grandissimo successo, superando le 3000 repliche, essendo in cartellone da oltre venticinque anni, raggiungendo così un primato nella storia del teatro barese. Il dramma teatrale ‘La passione de Criste’, sempre di Maurogiovanni è, in sostanza, un altro grande lavoro in dialetto, del quale è stato anche pubblicato un volume. Replicata oltre cento volte in teatro e stata anche trasmessa da Raitre. Lo stesso Maurogiovanni sosteneva che «Il rapporto società-dialetto ha dietro di sé una lunga storia; anzi una storia infinita, auspicando, di «poter ancora parlare della dignità e della nobiltà del dialetto nelle società di tutti i tempi».
Anche Vito Signorile, direttore artistico del Teatro Abeliano di Bari, ha contribuito con “Storie e pàtorie – La Uècchinera” (Edizioni del Gruppo Abeliano), che Raffaele Nigro definisce «Due quadri scenici per raccontare la cultura della tradizione barese e del suo dialetto».
Giovanni Panza (1916-1994), appassionato esperto di dialetto, gastronomia e tradizioni locali, ha lasciato, pregevoli pubblicazioni dialettali baresi bilingue, (italiano e dialetto), di altissimo livello, opere che hanno avuto notevole e meritato successo, soprattutto ‘La checine de nononne’(Schena), che rappresenta l’inventiva, la fantasia, l’amore dei baresi per la cucina, intesa sia come modo di preparare le vivande, che come centro materiale e spirituale al cui calore si forma, vive e progredisce la famiglia. Un commento alla prima edizione del libro così recita: «Il libro rappresenta un valido contributo alla storia ed alla civiltà della nostra Bari e fa rivivere ricordi che sembravano irrimediabilmente perduti». Non va dimenticato che anche la cucina è un complemento della realtà dialettale, e quella barese, è di antica nobiltà. La ‘làghene’ non è forse il ‘làganum’ dei latini?
Anche la medicina ha dato una mano a dare importanza universale al dialetto. Infatti nel 1513 fu pubblicato a Strasburgo un libro che si rivelò un best seller. Era intitolato, ‘Il Roseto delle donne incinte e delle levatrici’. L’autore Eucario Roesslin, medico a Worms e Francoforte, non diceva nulla di originale però lo scriveva in volgare e non in latino e la pubblicazione divenne il primo manuale per levatrici ed ebbe larghissima diffusione.
Tra le ultime pubblicazioni in dialetto barese, mi piace ricordare il Dizionario Barese/Italiano e Italiano/Barese (WIP Edizioni) “Per non dimenticare” di Giuseppe Gioia (1937-2020), Gaetano Mele e Francesco Signorile, quelle di Luigi Canonico, noto poeta dialettale, con “U Vangèle - Chendate da le quatte Vangeliste: Matté, Marche, Luche Giuanne” (Stampa Pressup), “U tèstamènde nève – Le saggre scretture grèche- crestiane de la Bibbie”(Independently Ed) e, infine, la riedizione de “La chemmedie de Dande veldat’a la barese”, di Gaetano Savelli (1896- 1977), curata da Vito Signorile, corredata anche con la versione originale, e illustrata da Michele Damiani (Gelsorosso), “U Vangele alla manere de Marche veldate alla barese” di Augusto Carbonara (WIP Edizioni), le commedie di Domenico Triggiani, ecc. Solo lo spazio limita la citazione di tanti altri autori, tutti meritevoli, che arricchiscono il panorama dialettale barese.
Chi scrive, qualche anno fa, curò il saggio “San Nicola, il dialetto barese e…” (Levante), contribuendo così all’universalità del dialetto anche attraverso il culto verso il nostro ecumenico Santo Patrono. Lasciamo quindi che ognuno si esprima nella propria lingua, dal momento che il vernacolo resiste contro l’assalto dei mezzi di comunicazione e costituisce un ponte verso il passato e rappresenta la vera espressione dei sentimenti. Infatti, con il dialetto si può ridere, piangere, pregare, ecc.
«Ben vengano dunque gli studi e le opere sul dialetto il cui valore culturale è degno di plauso in quanto costituisce la concretizzazione di uno sforzo volto al bene, eticamente orientato a quella eco- comunicazione fra esseri umani non mediata da artefatti linguistici o tecnologici e quindi naturale» (Attilio Alto 1937-1999, presidente Caripuglia e Magnifico Rettore Università di San Marino).
Per cui esprimiamoci liberamente nel nostro dialetto, che rappresenta anche un ulteriore mezzo per abbattere le barriere della comunicazione e, soprattutto, insegniamolo ai nostri figli per conservare nel tempo la memoria storica da tramandare alle generazioni future. (Da “Il dialetto, dignità di comunicazione dignità sociale” – AIERRE).
Secondo Armando Perotti (1865-1924), «Chi predica la prossima sparizione dei dialetti, invocando il giorno felice, in cui tutti gli italiani parleranno, come insegna la Crusca 1 , è un illuso, per non dir peggio, chi crede alle generalizzazioni e non sa che la forza della vita sta nella individualizzazione». D’altro canto l’interesse e il desiderio di conoscere le origini e il significato dei nostri vocaboli dialettali induce a trattare l’argomento sempre più diffusamente da parte degli esperti.
1. Accademia sorta a Firenze nel 1583 con lo scopo di vigilare sul buon uso della lingua italiana.
Il dialetto, si parla ancora? Certamente, anzi interessa sempre più ed il proliferare di pubblicazioni, di teatri che rappresentano commedie e rassegne in vernacolo, la diffusione di dizionari, sono la dimostrazione della sete di sapere e di conoscenza del pubblico.
Franco Noviello (1924-2011) pubblicò qualche decennio fa “Canti popolari della Puglia”, una corposa raccolta in tre volumi, nella quale ciascun canto è presentato nella sua lingua dialettale e nella traduzione italiana, «perché la poesia popolare è propria di una “civiltà della voce” e, come tale, si esprime in una lingua propria, che è altro da quella nazionale, spesso molto più pregnante e densa di messaggi significanti. La rassegna è amplissima: canti religiosi, canti di lavoro, canti sociali, ninne nanne, brindisi, canti funebri, villanelle, canti d’amore e di dispetto, canti epico-lirici. E attraverso di essi emergono la vita e l’anima del popolo pugliese, l’illimitata fiducia nel sacro, la dipendenza dai fenomeni atmosferici, i rapporti di vicinato e di comparatico, il senso della festa e del rito, la fatalità propria della gente che affida il suo destino alla terra o al mare, definita da qualcuno «simbologia del destino».
Dello stesso parere è Stefano Imperio, che nella premessa alla sua pubblicazione “Alle origini del dialetto pugliese” (Schena), sostiene che «La diffidenza verso i dialetti è che non tutti hanno la facoltà di intenderli, e ciò limita la diffusione di opere che andrebbero invece estesamente conosciute da un pubblico numeroso ed eterogeneo»”. Inoltre rammenta che «…al dialetto sia lasciata la dignità di lingua popolare… con la ricchezza di un’arguzia spontanea, impossibile a riprodurre con la lingua letteraria».
Oronzo Parlangeli (1923-1969), lo studioso che progettò e diresse la “Carta dei dialetti Italiani” per il Consiglio Nazionale delle Ricerche, sosteneva che «Da un lato la storia si ripercuote viva nel dialetto, dall’altro la storia apre il dialetto verso la comunità nazionale più vasta di cui ogni dialetto fa parte».
Secondo Tonino Guerra (1929-2012), un intellettuale, autore di molte sceneggiature per importanti registi (Fellini, Antonioni, Rosi, Tarkowskij, Angelopulos), e anche di molte belle poesie in dialetto romagnolo, «Il dialetto è una lingua. Prima c’era il latino; il latino si è squagliato e sono nate tante altre lingue. In Italia così abbiamo un plurilinguismo nazionale. L’importanza è che si scrivano cose belle».
Vito Maurogiovanni (1924-2009), barese, giornalista, scrittore ed insigne commediografo di cultura popolare, ha scritto diverse farse in dialetto come ‘Aminueamare’,’ Chidde dì du 188’, ’U café antiche’ (Levante). Quest’ultimo, unico dramma dialettale barese e prima opera teatrale dell’autore. Dello stesso autore ‘Jarche vasce’, che rappresenta una ricostruzione dei cicli della vita e dell’anno secondo la cultura della tradizione, ha avuto un grandissimo successo, superando le 3000 repliche, essendo in cartellone da oltre venticinque anni, raggiungendo così un primato nella storia del teatro barese. Il dramma teatrale ‘La passione de Criste’, sempre di Maurogiovanni è, in sostanza, un altro grande lavoro in dialetto, del quale è stato anche pubblicato un volume. Replicata oltre cento volte in teatro e stata anche trasmessa da Raitre. Lo stesso Maurogiovanni sosteneva che «Il rapporto società-dialetto ha dietro di sé una lunga storia; anzi una storia infinita, auspicando, di «poter ancora parlare della dignità e della nobiltà del dialetto nelle società di tutti i tempi».
Anche Vito Signorile, direttore artistico del Teatro Abeliano di Bari, ha contribuito con “Storie e pàtorie – La Uècchinera” (Edizioni del Gruppo Abeliano), che Raffaele Nigro definisce «Due quadri scenici per raccontare la cultura della tradizione barese e del suo dialetto».
Giovanni Panza (1916-1994), appassionato esperto di dialetto, gastronomia e tradizioni locali, ha lasciato, pregevoli pubblicazioni dialettali baresi bilingue, (italiano e dialetto), di altissimo livello, opere che hanno avuto notevole e meritato successo, soprattutto ‘La checine de nononne’(Schena), che rappresenta l’inventiva, la fantasia, l’amore dei baresi per la cucina, intesa sia come modo di preparare le vivande, che come centro materiale e spirituale al cui calore si forma, vive e progredisce la famiglia. Un commento alla prima edizione del libro così recita: «Il libro rappresenta un valido contributo alla storia ed alla civiltà della nostra Bari e fa rivivere ricordi che sembravano irrimediabilmente perduti». Non va dimenticato che anche la cucina è un complemento della realtà dialettale, e quella barese, è di antica nobiltà. La ‘làghene’ non è forse il ‘làganum’ dei latini?
Anche la medicina ha dato una mano a dare importanza universale al dialetto. Infatti nel 1513 fu pubblicato a Strasburgo un libro che si rivelò un best seller. Era intitolato, ‘Il Roseto delle donne incinte e delle levatrici’. L’autore Eucario Roesslin, medico a Worms e Francoforte, non diceva nulla di originale però lo scriveva in volgare e non in latino e la pubblicazione divenne il primo manuale per levatrici ed ebbe larghissima diffusione.
Tra le ultime pubblicazioni in dialetto barese, mi piace ricordare il Dizionario Barese/Italiano e Italiano/Barese (WIP Edizioni) “Per non dimenticare” di Giuseppe Gioia (1937-2020), Gaetano Mele e Francesco Signorile, quelle di Luigi Canonico, noto poeta dialettale, con “U Vangèle - Chendate da le quatte Vangeliste: Matté, Marche, Luche Giuanne” (Stampa Pressup), “U tèstamènde nève – Le saggre scretture grèche- crestiane de la Bibbie”(Independently Ed) e, infine, la riedizione de “La chemmedie de Dande veldat’a la barese”, di Gaetano Savelli (1896- 1977), curata da Vito Signorile, corredata anche con la versione originale, e illustrata da Michele Damiani (Gelsorosso), “U Vangele alla manere de Marche veldate alla barese” di Augusto Carbonara (WIP Edizioni), le commedie di Domenico Triggiani, ecc. Solo lo spazio limita la citazione di tanti altri autori, tutti meritevoli, che arricchiscono il panorama dialettale barese.
Chi scrive, qualche anno fa, curò il saggio “San Nicola, il dialetto barese e…” (Levante), contribuendo così all’universalità del dialetto anche attraverso il culto verso il nostro ecumenico Santo Patrono. Lasciamo quindi che ognuno si esprima nella propria lingua, dal momento che il vernacolo resiste contro l’assalto dei mezzi di comunicazione e costituisce un ponte verso il passato e rappresenta la vera espressione dei sentimenti. Infatti, con il dialetto si può ridere, piangere, pregare, ecc.
«Ben vengano dunque gli studi e le opere sul dialetto il cui valore culturale è degno di plauso in quanto costituisce la concretizzazione di uno sforzo volto al bene, eticamente orientato a quella eco- comunicazione fra esseri umani non mediata da artefatti linguistici o tecnologici e quindi naturale» (Attilio Alto 1937-1999, presidente Caripuglia e Magnifico Rettore Università di San Marino).
Per cui esprimiamoci liberamente nel nostro dialetto, che rappresenta anche un ulteriore mezzo per abbattere le barriere della comunicazione e, soprattutto, insegniamolo ai nostri figli per conservare nel tempo la memoria storica da tramandare alle generazioni future. (Da “Il dialetto, dignità di comunicazione dignità sociale” – AIERRE).