VITTORIO POLITO - Si sta facendo un gran parlare a proposito
della pizza all’ananas del pizzaiolo napoletano Gino Sorbillo. In
realtà tutti mangiano la pizza ma pochi conoscono la storia o le
numerose varietà che le pizzerie dispongono per le “esigenze”dei
propri clienti.
Ai primi del Novecento la pizza esce dai confini di Napoli e sbarca in grande stile in America, conquistando l’intero continente, espandendosi pure nel meridione d’Italia. La seconda espansione avviene dopo la seconda guerra mondiale. In quel periodo la pizza esce dai confini del meridione d’Italia attraverso le migliaia di emigranti che si spostano al Nord con le loro famiglie con gli usi e i costumi dei loro paesi. Con la caduta del muro di Berlino, si assiste ad una nuova migrazione della pizza verso i paesi dell’Est, raggiungendo anche la Cina.
Intorno al 1700 la pizza, che già aveva acquisito una sua tradizione nella cucina napoletana, veniva cotta in forni che potevano essere a legna o a paglia e poi messi in contenitori chiamati ‘stufe’ con cui venivano trasportate per essere vendute per strada. Alla stessa epoca risalgono le notizie sulle prime pizze “al pomodoro”, un alimento esotico importato dal Perù, dopo la scoperta dell’America, dapprima usato in cucina come salsa cotta con un po’ di sale e basilico, e solo più tardi, a qualcuno venne l’idea di metterlo sulla pizza. Inventando così, senza volerlo, la vera pizza.
La coltivazione della pianta del pomodoro, diffusa già in epoca precolombiana in Messico e Perù, fu poi introdotta in Europa dagli Spagnoli nel XVI secolo, ma non come ortaggio commestibile, bensì come pianta ornamentale, ritenuta addirittura velenosa per il suo alto contenuto di ‘solanina’, sostanza considerata a quell’epoca dannosa per l’uomo. Infatti, nel 1544 l’erborista italiano Pietro Andrea Mattioli (1501-1578) classificò la pianta del pomodoro fra le specie velenose, anche se ammise di aver sentito voci secondo le quali in alcune regioni il suo frutto veniva mangiato fritto nell’olio. Negli Stati Uniti il pomodoro, come ortaggio commestibile, trovò molte più difficoltà per la diffusa convinzione dei suoi poteri tossici.
Nel 1820 il colonnello statunitense Robert Gibbon Johnson decise di mangiare, provocatoriamente, davanti ad una folla prevenuta e sorpresa, un pomodoro senza per questo morirne. Addirittura, si narra, che alcuni avversari politici del Presidente americano Abraham Lincoln convinsero il cuoco della Casa Bianca a preparare una pietanza a base di pomodoro per avvelenarlo. Ovviamente, dopo la cena, la congiura fu scoperta, anzi l’episodio contribuì a rendere popolare il pomodoro, poiché lo stesso Lincoln ne divenne un appassionato consumatore.
L’uso della mozzarella sulla pizza napoletana è recente. Il “matrimonio storico” della pizza tradizionale con la mozzarella avviene per iniziativa di un pizzaiolo napoletano, tale Raffaele Esposito, che insieme a sua moglie la prepararono in onore della regina Margherita, moglie di Umberto I re d’Italia. Infatti, i regnanti, che si trovavano alla reggia di Capodimonte a Napoli, sentendo parlare della pizza, convocarono a corte il pizzaiolo e la moglie per farsela preparare. Il pizzaiolo e la consorte si recarono nelle cucine reali e prepararono tre pizze: una alla “mastunicola”, una alla marinara e una pizza con il pomodoro, la mozzarella e il basilico, pensando al tricolore italiano. Alla regina piacque quest’ultima ed il pizzaiolo per questo motivo la chiamò con il nome della regina. Da allora la pizza “Margherita” si impose ovunque nel mondo. È considerata, infatti, la pizza classica per eccellenza.
Nello scorso giugno si è parlato di un affresco scoperto a Pompei nel quale si nota una specie di pizza che invece corrisponde più a un “ciccio”, che è una base di pizza diffusa in Puglia, da non confondersi con la pizza vera e propria. Il “ciccio” è simile alla pizza solo per la forma circolare e in alcune pizzerie viene servito come antipasto, con l’aggiunta di qualche ingrediente (olio, origano, ecc.) o senza alcun condimento. Ma questa è un’altra storia.
Ma quante e quali sono le varietà della pizza? Oggi si contano a migliaia con tutte le diversità possibili e immaginabili tra invenzioni dei pizzaioli e richieste dei clienti: si va dalla classica margherita, a quella alla romana, ai formaggi, al prosciutto, al salmone e rucola, ai frutti di mare, ai funghi, alla crudaiola, alla messicana, a quella taxi (mozzarella, pomodoro e 7 tipi di funghi), casereccia (con pomodoro, olive greche snocciolate, cipolla rossa imbiondita in padella ed a fine cottura condita con fettine di salame dolce e scaglie di grana), alla diavola (pomodoro, mozzarella, salame piccante, peperoncino, basilico, olio), e così per un lunghissimo e vario assortimento. Insomma la pizza non è più napoletana ma è diventata mondiale e perché no, “a modo tuo”, dal momento che oggi tutto è permesso e tutti si possono gustare una pizza condita secondo le proprie preferenze, anche con l’ananas o la nutella. Curiosità: il 17 gennaio ricorre la Giornata Mondiale della Pizza, uno dei cibi più graditi al mondo.
Ai primi del Novecento la pizza esce dai confini di Napoli e sbarca in grande stile in America, conquistando l’intero continente, espandendosi pure nel meridione d’Italia. La seconda espansione avviene dopo la seconda guerra mondiale. In quel periodo la pizza esce dai confini del meridione d’Italia attraverso le migliaia di emigranti che si spostano al Nord con le loro famiglie con gli usi e i costumi dei loro paesi. Con la caduta del muro di Berlino, si assiste ad una nuova migrazione della pizza verso i paesi dell’Est, raggiungendo anche la Cina.
Intorno al 1700 la pizza, che già aveva acquisito una sua tradizione nella cucina napoletana, veniva cotta in forni che potevano essere a legna o a paglia e poi messi in contenitori chiamati ‘stufe’ con cui venivano trasportate per essere vendute per strada. Alla stessa epoca risalgono le notizie sulle prime pizze “al pomodoro”, un alimento esotico importato dal Perù, dopo la scoperta dell’America, dapprima usato in cucina come salsa cotta con un po’ di sale e basilico, e solo più tardi, a qualcuno venne l’idea di metterlo sulla pizza. Inventando così, senza volerlo, la vera pizza.
La coltivazione della pianta del pomodoro, diffusa già in epoca precolombiana in Messico e Perù, fu poi introdotta in Europa dagli Spagnoli nel XVI secolo, ma non come ortaggio commestibile, bensì come pianta ornamentale, ritenuta addirittura velenosa per il suo alto contenuto di ‘solanina’, sostanza considerata a quell’epoca dannosa per l’uomo. Infatti, nel 1544 l’erborista italiano Pietro Andrea Mattioli (1501-1578) classificò la pianta del pomodoro fra le specie velenose, anche se ammise di aver sentito voci secondo le quali in alcune regioni il suo frutto veniva mangiato fritto nell’olio. Negli Stati Uniti il pomodoro, come ortaggio commestibile, trovò molte più difficoltà per la diffusa convinzione dei suoi poteri tossici.
Nel 1820 il colonnello statunitense Robert Gibbon Johnson decise di mangiare, provocatoriamente, davanti ad una folla prevenuta e sorpresa, un pomodoro senza per questo morirne. Addirittura, si narra, che alcuni avversari politici del Presidente americano Abraham Lincoln convinsero il cuoco della Casa Bianca a preparare una pietanza a base di pomodoro per avvelenarlo. Ovviamente, dopo la cena, la congiura fu scoperta, anzi l’episodio contribuì a rendere popolare il pomodoro, poiché lo stesso Lincoln ne divenne un appassionato consumatore.
L’uso della mozzarella sulla pizza napoletana è recente. Il “matrimonio storico” della pizza tradizionale con la mozzarella avviene per iniziativa di un pizzaiolo napoletano, tale Raffaele Esposito, che insieme a sua moglie la prepararono in onore della regina Margherita, moglie di Umberto I re d’Italia. Infatti, i regnanti, che si trovavano alla reggia di Capodimonte a Napoli, sentendo parlare della pizza, convocarono a corte il pizzaiolo e la moglie per farsela preparare. Il pizzaiolo e la consorte si recarono nelle cucine reali e prepararono tre pizze: una alla “mastunicola”, una alla marinara e una pizza con il pomodoro, la mozzarella e il basilico, pensando al tricolore italiano. Alla regina piacque quest’ultima ed il pizzaiolo per questo motivo la chiamò con il nome della regina. Da allora la pizza “Margherita” si impose ovunque nel mondo. È considerata, infatti, la pizza classica per eccellenza.
Nello scorso giugno si è parlato di un affresco scoperto a Pompei nel quale si nota una specie di pizza che invece corrisponde più a un “ciccio”, che è una base di pizza diffusa in Puglia, da non confondersi con la pizza vera e propria. Il “ciccio” è simile alla pizza solo per la forma circolare e in alcune pizzerie viene servito come antipasto, con l’aggiunta di qualche ingrediente (olio, origano, ecc.) o senza alcun condimento. Ma questa è un’altra storia.
Ma quante e quali sono le varietà della pizza? Oggi si contano a migliaia con tutte le diversità possibili e immaginabili tra invenzioni dei pizzaioli e richieste dei clienti: si va dalla classica margherita, a quella alla romana, ai formaggi, al prosciutto, al salmone e rucola, ai frutti di mare, ai funghi, alla crudaiola, alla messicana, a quella taxi (mozzarella, pomodoro e 7 tipi di funghi), casereccia (con pomodoro, olive greche snocciolate, cipolla rossa imbiondita in padella ed a fine cottura condita con fettine di salame dolce e scaglie di grana), alla diavola (pomodoro, mozzarella, salame piccante, peperoncino, basilico, olio), e così per un lunghissimo e vario assortimento. Insomma la pizza non è più napoletana ma è diventata mondiale e perché no, “a modo tuo”, dal momento che oggi tutto è permesso e tutti si possono gustare una pizza condita secondo le proprie preferenze, anche con l’ananas o la nutella. Curiosità: il 17 gennaio ricorre la Giornata Mondiale della Pizza, uno dei cibi più graditi al mondo.