Sant’Antonio Abate tra storia e leggenda


VITTORIO POLITO –
Com’è noto il 17 gennaio, data di inizio del Carnevale, si celebra Sant’Antonio Abate, ‘Sand’Andè per i baresi’, che, a soli vent’anni, abbandonò ogni cosa per seguire il consiglio di Gesù: «Se vuoi essere perfetto, va’ vendi ciò che hai», rifugiandosi così in una zona deserta dell’Egitto tra antiche tombe abbandonate e successivamente sulle rive del Mar Rosso, dove visse per ottant’anni da eremita.

L’esperienza del “deserto”, in senso reale o figurato, è ormai un metodo di vita ascetica, fatto di austerità, di sacrificio e di estrema solitudine. Sant’Antonio ne fu l’esempio più insigne e stimolante. Infatti, pur senza alcuna regola monastica, esercitò un grande influsso dapprima sui suoi conterranei e poi su tutta la Chiesa.

A lui è associato il bastone a forma di T, tau, 19ª lettera dell’alfabeto greco, e un maiale. Cosa c’entra il maiale che per i cristiani era simbolo del male? Secondo gli studiosi all’inizio si trattava di un cinghiale, attributo del dio celtico Lug, dio del gioco e della divinazione, venerato in Gallia a cui erano consacrati cinghiali e maiali. Gli stessi sacerdoti venivano chiamati “Grandi Cinghiali Bianchi”, mentre il dio Lug regnava anche sugli inferi. L’emblema del cinghiale appariva anche sugli stendardi e sugli elmi dei celti. In realtà il maiale rappresenta simbolicamente il maligno e le seduzioni che i piaceri della carne provocano.

Vito Lozito (1943-2004), già docente nell’Università di Bari, nel suo volume “Agiografia, Magia, Superstizione” (Levante Editori), fa una esauriente descrizione del protettore degli animali, morto ultracentenario nel 356. Nel 561 fu scoperto il suo sepolcro e le reliquie cominciarono un lungo viaggio nel tempo, da Alessandria a Costantinopoli, fino in Francia nel XI secolo a Monte Saint-Didier, dove fu costruita una chiesa in suo onore. In questo luogo per venerarne le reliquie, affluivano folle di malati, soprattutto di ergotismo canceroso, causato dall’avvelenamento da un fungo presente nella segala, usata all’epoca per fare il pane. In epoche successive si adoperò il grasso di maiale che, posto sull’immaginetta del Santo, veniva portato dai monaci all’ammalato e usato per guarire le ferite del “fuoco sacro”. In questo modo era completa la figura di Sant’Antonio Abate, padrone del fuoco, vittorioso sulle tentazioni del demonio, del male e protettore del maiale.
Curiosità. 
In alcune località delle Marche, la festa di Sant’Antonio Abate si celebra anche con balli popolari, specie con il saltarello, accompagnato da corni e tamburi sino a tarda notte. Anche il fuoco è considerato parte integrante della festa. Secondo alcuni i riti attorno alla figura del Santo testimoniano un forte legame con le culture precristiane, soprattutto quella celtica e druidica. Una festa dunque di origini antiche finalizzata a sconfiggere il male e le malattie. A Novoli, in Puglia, viene accesa “la Fòcara”, una pira alta 25 metri per 20 metri di diametro, ed eretta con migliaia di fascine di tralci di vite arrivate da tutta la regione. Sul Gargano a San Marco in Lamis (FG), nel passato i bambini erano soliti scavare per terra con le mani alla ricerca di pezzi di carbone, mentre a Mattinata e Monte Sant’Angelo (FG) “usavasi mangiare pancotto con pane conservato a Natale”. A San Nicandro Garganico (FG), verso l’imbrunire si accendono “i fuochi” (falò), che saranno ripetuti la sera del 20 gennaio festa di San Sebastiano e il 3 febbraio, festa di San Biagio. Al termine della cerimonia ogni persona prende una pala di brace e la porta a casa in segno di devozione. La cenere sarà sparsa successivamente nei campi affinché siano preservati da intemperie di qualsiasi genere e produrre molti raccolti. Queste ultime notizie sono riprese dal volume di Grazia Galante “La religiosità popolare di San Marco in Lamis – Li còse de Ddì” (Levante editori).

A Bari Sant’Antonio Abate si festeggia con la benedizione degli animali che da qualche anno si svolge nel centro storico, presso la Chiesa di Sant’Anna in via Palazzo di Città.

Infine questa data è dedicata anche alla “Giornata Nazionale del Dialetto e delle lingue locali”, istituita dall’Unione Nazionale delle Pro Loco (Unpli) nel 2013 con il preciso intento di sensibilizzare istituzioni e comunità locali alla tutela  e valorizzazione di questi patrimoni culturali. Attività espletata in piena armonia con le direttive dell’UNESCO presso cui Unpli è accreditata dal 2012, nell’ambito della Convenzione per la salvaguardia dei patrimoni culturali immateriali.

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