'Caro diario...', i versi di Maria per 'l’Italia patria antica'

FRANCESCO GRECO - Cos’è mai la Storia se non un mare che riceve di continuo dagli affluenti, i fiumi, i ruscelli nuova linfa vitale che ne ampliano e rafforzano la memoria?

Micro, meso, macro: infinite sono le sue scansioni e sedimentazioni. Così si riscrive di continuo non appena giungono nuovi rivoli di memoria che ne arricchiscono il corpus, la visione, la credibilità in una riscrittura continua in un gioco di specchi, echi, risonanze.

E vale soprattutto per i contributi portati dalla quotidianità e dai suoi mentori, perché non “corrotti” da visuali parziali, militanze, opportunismi, propaganda, militanze, che danno enfasi a taluni elementi per derubricarne, talvolta formattarne altri.

“Il diario di Maria De Marco. Gennaio-Agosto 1943”, curatela polisemica di Cristina Martinelli, Edizioni Esperidi, Monteroni di Lecce. 2024, pp. 100, euro 13.00 appartiene a questa categoria di storici inconsapevoli, i cui scritti magari non avrebbero voluto che vedessero la luce.

Giunti a noi solo alcuni frammento di materiali ben più vasti, per vie indirette quanto avventurose (nel caso specifico, carte conservate dal pronipote Mario Rizzo e sulle cui tracce era presente anche Anna Lucia Calsolaro), illuminano un periodo della storia d’Italia più recente su cui purtroppo sta calando inesorabile la damnatio memorie, come acutamente osserva la Martinelli (“Con la scomparsa della generazione della II Guerra Mondiale, stiamo diventando indifferenti di fronte alle guerre che pure ci sono e, benché lontane, ci rimandano immagini orrende...”).

Dal privato al pubblico, in una continua osmosi, Maria De Marco (“ragazza del popolo” nata a Lecce, ironia della sorte, l’8 settembre 19154, studi presso le Suore Marcelline e una predisposizione per le Lettere che coltiva già da piccola), scrive i suoi componimenti durante il fascismo, ma la sia voce si fa lacerata e insonne quando “implode... e per molti italiani arriva il risveglio dal ventennale incantesimo” (Martinelli). La sua famiglia è costretta a scappare da Palermo ad Alessano (Lecce) perché la città è bombardata a tappeto. E dopo l’8 settembre tutta l’Italia lo sarà al contempo da alleati e tedeschi che si sentiranno “traditi”.

L’intreccio fra storia e microstoria, in queste pagine è indissolubile, come sempre, del resto e la forma poetica prescelta da Maria, che ormai è una donna, declinata con toni accademici, rende il suo grido ancora più forte e vibrante.

Vi si coglie il dramma di un popolo precipitato nella tragedia quasi a sua insaputa, e delle povere famiglie all’improvviso smembrate. Il dramma di Maria è anche individuale: il fratello Gianni, nato il 24 giugno 1917, cade infatti a Nicosia.

Le pagine sono attraversate da un sentimento civile che a tratti si fa denuncia anche inconscia. Le forze si indeboliscono, ma tuttavia la fiamma della speranza in una vita più degna è alimentata da una forza viva e ancestrale che non si spegne nonostante tutto neanche nella notte più scura. Sostenuta da una spiritualità vissuta intensamente e da una solidarietà forte condivisa con le altre donne della famiglia e oltre (Lidia Jole, Ina, Olga, Fidelina).

Il lavoro è dedicato allo studioso Antonio Caloro, cultore di Storia Patria per la Puglia (ha la Biblioteca Comunale intestata), che ha proceduto alla ricognizione dei materiali, intuendone il potenziale valore di testimonianza e memoria, specie in un Paese dove non è ancora condivisa ed è parcellizzata, usata a seconda degli opportunismi offerti dalla battaglia politica quotidiana.

Maria De Marco è morta a Palermo il primo aprile 1999. Il volume sarà presentato il 7 marzo, ad Alessano, nella biblioteca Caloro, alla presenza del sindaco Osvaldo Stendardo.

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