FRANCESCO GRECO - Di primo impatto il pensiero corre agli “Annali” con
cui Tacito storicizzò gli ultimi anni di Augusto fino
alla morte di Nerone. Ma anche allo “Zibaldone” di
Leopardi, colmo di intuizioni politiche dettate da un
afflato pregno di un Umanesimo che sarebbe stato
utile all’Italia per bypassare asprezze e tragedie degli
integralismi.
L’urgenza di afferrare il senso del tempo, i fatti, gli uomini, le cose prima che si eclissi per sempre. E il mood che ibrida poesia e prosa, con un uso minimo di punteggiatura, pare più che mai efficace e coinvolgente.
Scorre leggero e sapido, denso di illuminazioni e sentimento “Il giorno prima” (Pandemia e politica in poesia), Editrice Salentina, Galatina 2024, pp. 320, euro 15,00, bella prefazione di Paolo Rausa, il quarto lavoro di Luigi Cazzato da Corsano (Lecce), nei pressi di S. Maria di Leuca, come tiene a precisare, e non per caso, come volesse dare un retroterra mitico e contaminato al suo sguardo sospeso fra Oriente e Occidente.
L’attualità politica (da Conte a Draghi), l’emergenza sanitaria dettata dalla pandemia, che ha sconvolto società, famiglie, esistenze, sullo sfondo di una Natura che è madre e con la sua bellezza allevia ogni sofferenza, sono comunicate con uno stile nudo, didascalico, privo di malizia letteraria, e perciò ancor più efficace e denso di dialettica.
Cazzato chiama i suoi scritti “documenti”, e nemmeno questo è casuale: infatti si tratta di bozzetti proposti alla contemporaneità, ma che saranno utili a definire il Terzo Millennio alle generazioni future. Perché offrono tracce di decodificazione prive di militanze, di propaganda e opportunismi, e perciò credibili. Dettati dall’esigenza di dire qualcosa all’uomo, alla sua coscienza, appunto, l’Umanesimo leopardiano di cui si accennava prima, messo al centro dell’Universo.
Un’osmosi fra elementi reali imposti dalla quotidianità minuta e fantastici, ma anche sociologici attraverso la condivisione di vissuti quotidiani con la sua gente, le relazioni umane che addolciscono ogni asprezza e rendono la vita degna di essere vissuta, specie nei microcosmi esistenziali dei piccoli centri.
Cazzato condivide emozioni e stupori. Pare un filosofo che si aggira per le strade nell’Italia dei perché, a porre domande sul senso del vivere in un tempo in cui i valori della tradizione sono stati relativizzati e i nuovi restano alla fin fine in dote a nicchie di popolazione.
Su tali premesse, ci si aspetterebbe una chiusura fatalista, rassegnata e freddo cinismo. Come se l’uomo non volesse ancora sortire dalla grotta di Platone. E tuttavia, la speranza brilla qua e là nei versi e nella quotidianità.
E se è vero che il tempo scorre come sabbia fra le dita e tutto consuma, uomini e sentimenti, e si ha la sensazione che nulla resti se non un dolore senza eco, lo sguardo di Cazzato salva dal relativismo l’essenziale, è cosciente del “presagio di primavera”, ma soprattutto che l’uomo va rimesso al centro dell’Universo. Lascia i cuori e le menti aperte al futuro, perché “Le notti / anche quelle più buie, / termineranno sempre / con il riaffiorare / di una nuova alba / per un nuovo giorno”.
L’urgenza di afferrare il senso del tempo, i fatti, gli uomini, le cose prima che si eclissi per sempre. E il mood che ibrida poesia e prosa, con un uso minimo di punteggiatura, pare più che mai efficace e coinvolgente.
Scorre leggero e sapido, denso di illuminazioni e sentimento “Il giorno prima” (Pandemia e politica in poesia), Editrice Salentina, Galatina 2024, pp. 320, euro 15,00, bella prefazione di Paolo Rausa, il quarto lavoro di Luigi Cazzato da Corsano (Lecce), nei pressi di S. Maria di Leuca, come tiene a precisare, e non per caso, come volesse dare un retroterra mitico e contaminato al suo sguardo sospeso fra Oriente e Occidente.
L’attualità politica (da Conte a Draghi), l’emergenza sanitaria dettata dalla pandemia, che ha sconvolto società, famiglie, esistenze, sullo sfondo di una Natura che è madre e con la sua bellezza allevia ogni sofferenza, sono comunicate con uno stile nudo, didascalico, privo di malizia letteraria, e perciò ancor più efficace e denso di dialettica.
Cazzato chiama i suoi scritti “documenti”, e nemmeno questo è casuale: infatti si tratta di bozzetti proposti alla contemporaneità, ma che saranno utili a definire il Terzo Millennio alle generazioni future. Perché offrono tracce di decodificazione prive di militanze, di propaganda e opportunismi, e perciò credibili. Dettati dall’esigenza di dire qualcosa all’uomo, alla sua coscienza, appunto, l’Umanesimo leopardiano di cui si accennava prima, messo al centro dell’Universo.
Un’osmosi fra elementi reali imposti dalla quotidianità minuta e fantastici, ma anche sociologici attraverso la condivisione di vissuti quotidiani con la sua gente, le relazioni umane che addolciscono ogni asprezza e rendono la vita degna di essere vissuta, specie nei microcosmi esistenziali dei piccoli centri.
Cazzato condivide emozioni e stupori. Pare un filosofo che si aggira per le strade nell’Italia dei perché, a porre domande sul senso del vivere in un tempo in cui i valori della tradizione sono stati relativizzati e i nuovi restano alla fin fine in dote a nicchie di popolazione.
Su tali premesse, ci si aspetterebbe una chiusura fatalista, rassegnata e freddo cinismo. Come se l’uomo non volesse ancora sortire dalla grotta di Platone. E tuttavia, la speranza brilla qua e là nei versi e nella quotidianità.
E se è vero che il tempo scorre come sabbia fra le dita e tutto consuma, uomini e sentimenti, e si ha la sensazione che nulla resti se non un dolore senza eco, lo sguardo di Cazzato salva dal relativismo l’essenziale, è cosciente del “presagio di primavera”, ma soprattutto che l’uomo va rimesso al centro dell’Universo. Lascia i cuori e le menti aperte al futuro, perché “Le notti / anche quelle più buie, / termineranno sempre / con il riaffiorare / di una nuova alba / per un nuovo giorno”.