BARI - Gli articoli 1 e 2 della legge regionale n. 6 del 2023 non violano la competenza legislativa statale esclusiva nella materia tutela dell'ambiente e dell’ecosistema. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale nella sentenza n. 16/2024 che ha dichiarato “non fondata” la questione di legittimità costituzionale sollevata dal governo italiano contro il provvedimento della Regione Puglia che istituisce il divieto triennale della pesca dei ricci di mare in Puglia.
“Gli uffici regionali e i Ministeri mi avevano scoraggiato tutti dal resistere davanti alla Corte Costituzionale a un ricorso del Governo Meloni che tutti giudicavano fondato – ha dichiarato il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano –. E invece, io e il consigliere regionale Paolo Pagliaro, ispiratore della legge, col quale l’avevo proposta, abbiamo deciso di resistere all'impugnativa del Governo ad ogni costo e abbiamo avuto ragione. Anche grazie al grande lavoro della Avvocatura Regionale guidata dall’avv. Rossana Lanza che ci ha rappresentato in questa vicenda insieme all'avvocato Carmela Capobianco. La Corte ha statuito per la prima volta un principio rivoluzionario, e cioè che le Regioni hanno il diritto/dovere di proteggere il mare e le sue risorse nella zona di loro competenza. Una strepitosa vittoria contro Calderoli, Ministro firmatario della impugnativa e contro il Consiglio dei Ministri di Giorgia Meloni che ci voleva negare il diritto di proteggere dall'estinzione i ricci di mare. Battersi per una giusta causa è sempre necessario, anche quando la vittoria è incerta o apparentemente impossibile. Chi non lotta infatti ha già perso”.
La legge regionale n. 6/2023 ha introdotto il blocco triennale della pesca dei ricci di mare in Puglia al fine di garantire un periodo di riposo della specie, preservando la risorsa ittica e scongiurando il rischio di estinzione dovuto ai massicci prelievi.
Il provvedimento era stato contestato davanti alla Corte Costituzionale dall'Avvocatura dello Stato in rappresentanza della Presidenza del Consiglio dei ministri. La Consulta ha rilevato che la disciplina regionale “si pone nel solco dell'esigenza di disciplinare la pesca in conformità a obiettivi che la stessa Unione europea” e, indubitabilmente, incide “in melius sulla tutela ambientale, e nello specifico sulla protezione del riccio di mare, che è parte dell'ecosistema marino, norme che indirettamente agevolano la riproduzione di tale specie animale".
Secondo la Corte Costituzionale, la Puglia ha messo in campo "una misura specifica, concernente un fermo pesca disposto una tantum, che si riverbera temporaneamente su un'attività che si svolge sui fondali posti a breve distanza dalle coste pugliesi e che riguarda una risorsa ittica, il cui consumo è strettamente correlato al territorio e alle tradizioni locali, tant'è che la misura è la conseguenza di un massiccio sovra-sfruttamento". Il fermo della pesca, pertanto, non è "incompatibile con una possibile modulazione di interventi legislativi regionali, mirati a risolvere specifiche criticità locali".
“Gli uffici regionali e i Ministeri mi avevano scoraggiato tutti dal resistere davanti alla Corte Costituzionale a un ricorso del Governo Meloni che tutti giudicavano fondato – ha dichiarato il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano –. E invece, io e il consigliere regionale Paolo Pagliaro, ispiratore della legge, col quale l’avevo proposta, abbiamo deciso di resistere all'impugnativa del Governo ad ogni costo e abbiamo avuto ragione. Anche grazie al grande lavoro della Avvocatura Regionale guidata dall’avv. Rossana Lanza che ci ha rappresentato in questa vicenda insieme all'avvocato Carmela Capobianco. La Corte ha statuito per la prima volta un principio rivoluzionario, e cioè che le Regioni hanno il diritto/dovere di proteggere il mare e le sue risorse nella zona di loro competenza. Una strepitosa vittoria contro Calderoli, Ministro firmatario della impugnativa e contro il Consiglio dei Ministri di Giorgia Meloni che ci voleva negare il diritto di proteggere dall'estinzione i ricci di mare. Battersi per una giusta causa è sempre necessario, anche quando la vittoria è incerta o apparentemente impossibile. Chi non lotta infatti ha già perso”.
La legge regionale n. 6/2023 ha introdotto il blocco triennale della pesca dei ricci di mare in Puglia al fine di garantire un periodo di riposo della specie, preservando la risorsa ittica e scongiurando il rischio di estinzione dovuto ai massicci prelievi.
Il provvedimento era stato contestato davanti alla Corte Costituzionale dall'Avvocatura dello Stato in rappresentanza della Presidenza del Consiglio dei ministri. La Consulta ha rilevato che la disciplina regionale “si pone nel solco dell'esigenza di disciplinare la pesca in conformità a obiettivi che la stessa Unione europea” e, indubitabilmente, incide “in melius sulla tutela ambientale, e nello specifico sulla protezione del riccio di mare, che è parte dell'ecosistema marino, norme che indirettamente agevolano la riproduzione di tale specie animale".
Secondo la Corte Costituzionale, la Puglia ha messo in campo "una misura specifica, concernente un fermo pesca disposto una tantum, che si riverbera temporaneamente su un'attività che si svolge sui fondali posti a breve distanza dalle coste pugliesi e che riguarda una risorsa ittica, il cui consumo è strettamente correlato al territorio e alle tradizioni locali, tant'è che la misura è la conseguenza di un massiccio sovra-sfruttamento". Il fermo della pesca, pertanto, non è "incompatibile con una possibile modulazione di interventi legislativi regionali, mirati a risolvere specifiche criticità locali".