FRANCESCO GRECO - I vincitori scrivono la Storia, ovviamente a modo
loro, ma non si fermano nemmeno a contare i
morti. Hanno fretta di avere celebrazioni,
monumenti, sfilate, onori, encomi, prebende.
E’ così dai tempi Cesare: non si è mai saputo quanti Galli rimasero nella terra fredda, vittime dell’imperialismo di Roma. Si sà che il Divo sottomise oltre 500 etnie.
E accadde con i Savoia quando, finanziati dalle massonerie europee, formattarono il Regno delle Due Sicilie. Oltre ad averla scritta a modo loro, gli storici hanno insudiciato una terra, il Sud e chi la difese, infamato chi si è immolato per un ideale: non si sà quanti morti è costata l’unità d’Italia.
Gli archivi sono stati bruciati. Proprio per creare un vuoto nella memoria. Atti giudiziari distrutti dalle forze di occupazione, gli invasori, le tracce dei massacri mai definiti tali. E quindi la vera storia del Risorgimento non si può scrivere. Passa la versione dei meridionali contenti di farsi colonizzare, massacrare, rapinare.
Ma non tutti gli Olocausti sono uguali. Funziona così: si crea una narrazione (l’Unità d’Italia) che, per quanto delirante e folle possa essere, troverà sempre poeti a cantarla, filosofi a specularla, economisti a teorizzarla, professori a spargerla sulle cattedre, fanatici che la faranno propria, traditori pronti a perseguirla, dopo l’incasso.
Alla fine anche i popoli la vedranno come la sola strada percorribile, anzi, il sol dell’avvenire e le menti sedotte e corrotte la faranno propria. E’ quello che è accaduto col Risorgimento e l’unità d’Italia.
Il 13 febbraio 1861 si estingueva il Regno delle Due Sicilie. Ed è anche il Giorno della Memoria per la Shoah dei Meridionali che la pagarono in vite umane. I partigiani, i martiri, i briganti che sono morti per difendere la loro terra, quelli dei padri e gli avi. I suoi massacratori oggi hanno vie intitolate in tutto il Sud. Basti citare il boia massimo, il generale sabaudo Enrico Cialdini. Non così per i partigiani, esclusi dalla toponomastica. Per loro non c’è memoria, un fiore, una lapide, un monumento, una giornata. Solo la damnatio memoriae.
Per cui, i fischi all’ultimo Festival di Sanremo al rapper napoletano Geolier hanno un background, vengono da molto lontano, perché l’unità non è mai stata metabolizzata dagli italiani, mai divenuta cultura condivisa. E la riforma Calderoli (autonomia differenziata) dà il colpo di grazia a tale percezione.
Ogni volta che si parla di questi argomenti, scattano i riflessi pavloviani: ti sbattono in faccia l’alibi dell’arretratezza del Sud. Falsa, era lo Stato col pil più alto in Europa. Ma, ammesso che sia vero, e non propaganda borbonica, gli altri Stati italiani erano più avanzati? Stato Pontificio, Repubblica di Venezia, Repubblica di Firenze, etc., erano più sviluppati? E quelli europei?
E’ un caso che a partire proprio dal 1861 iniziano i grandi flussi migratori, che somigliano a vere e proprie deportazioni, verso le Americhe?
Che continuano ancora oggi: il Sud ha politici al servizio dei poteri forti e degli oligarchi del Nord e vive un vuoto demografico spaventoso: a migliaia vanno via, l’80% laureati e diplomati. Le energie migliori. Il Sud è oggi una Rsa sotto il cielo. Case e terre in s/vendita.
Non bastava l’espropriazione, anche l’umiliazione. Il brigantaggio è stata una Resistenza. Ma i briganti sono assimilati a delinquenti comuni. Forse li confondono con quelli che portò Garibaldi, pendagli da forca, che magari infettarono il tessuto sociale della Sicilia?
Durò circa 5 anni, in Puglia, Lucania, Campania, Molise, Calabria, Sicilia. Essendo dettato da spontaneismo, senza cioè strategie, né politiche né militari, questa Resistenza non poteva che fallire.
Disse bene il Principe di Salina (Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa fu pubblicato postumo perché fuori mainstream) che definiva tramontata l’epoca dei gattopardi e partiva quella degli sciacalli e delle jene.
Ci siamo dentro. Sono i politici del Sud che vediamo ai tg, ciarlatani, demagoghi spacciati per statisti da falangi di cronisti che mai fanno una vera domanda, tutti saliva e turiboli, veline e marchette.
Gli sciacalli annunciano sempre finanziamenti, che però non hanno alcuna ricaduta sui territori, non creano un solo posto di lavoro. Perché servono solo a foraggiare i mega-apparati parassitari che procurano consenso, per farsi rieleggere e occupare le istituzioni.
Oggi 13 febbraio i Meridionali sono in lutto. Il triste ricordo va ai patrioti e ai martiri che si sono immolati per amore della loro patria, il Regno delle Due Sicilie.
E’ così dai tempi Cesare: non si è mai saputo quanti Galli rimasero nella terra fredda, vittime dell’imperialismo di Roma. Si sà che il Divo sottomise oltre 500 etnie.
E accadde con i Savoia quando, finanziati dalle massonerie europee, formattarono il Regno delle Due Sicilie. Oltre ad averla scritta a modo loro, gli storici hanno insudiciato una terra, il Sud e chi la difese, infamato chi si è immolato per un ideale: non si sà quanti morti è costata l’unità d’Italia.
Gli archivi sono stati bruciati. Proprio per creare un vuoto nella memoria. Atti giudiziari distrutti dalle forze di occupazione, gli invasori, le tracce dei massacri mai definiti tali. E quindi la vera storia del Risorgimento non si può scrivere. Passa la versione dei meridionali contenti di farsi colonizzare, massacrare, rapinare.
Ma non tutti gli Olocausti sono uguali. Funziona così: si crea una narrazione (l’Unità d’Italia) che, per quanto delirante e folle possa essere, troverà sempre poeti a cantarla, filosofi a specularla, economisti a teorizzarla, professori a spargerla sulle cattedre, fanatici che la faranno propria, traditori pronti a perseguirla, dopo l’incasso.
Alla fine anche i popoli la vedranno come la sola strada percorribile, anzi, il sol dell’avvenire e le menti sedotte e corrotte la faranno propria. E’ quello che è accaduto col Risorgimento e l’unità d’Italia.
Il 13 febbraio 1861 si estingueva il Regno delle Due Sicilie. Ed è anche il Giorno della Memoria per la Shoah dei Meridionali che la pagarono in vite umane. I partigiani, i martiri, i briganti che sono morti per difendere la loro terra, quelli dei padri e gli avi. I suoi massacratori oggi hanno vie intitolate in tutto il Sud. Basti citare il boia massimo, il generale sabaudo Enrico Cialdini. Non così per i partigiani, esclusi dalla toponomastica. Per loro non c’è memoria, un fiore, una lapide, un monumento, una giornata. Solo la damnatio memoriae.
Per cui, i fischi all’ultimo Festival di Sanremo al rapper napoletano Geolier hanno un background, vengono da molto lontano, perché l’unità non è mai stata metabolizzata dagli italiani, mai divenuta cultura condivisa. E la riforma Calderoli (autonomia differenziata) dà il colpo di grazia a tale percezione.
Ogni volta che si parla di questi argomenti, scattano i riflessi pavloviani: ti sbattono in faccia l’alibi dell’arretratezza del Sud. Falsa, era lo Stato col pil più alto in Europa. Ma, ammesso che sia vero, e non propaganda borbonica, gli altri Stati italiani erano più avanzati? Stato Pontificio, Repubblica di Venezia, Repubblica di Firenze, etc., erano più sviluppati? E quelli europei?
E’ un caso che a partire proprio dal 1861 iniziano i grandi flussi migratori, che somigliano a vere e proprie deportazioni, verso le Americhe?
Che continuano ancora oggi: il Sud ha politici al servizio dei poteri forti e degli oligarchi del Nord e vive un vuoto demografico spaventoso: a migliaia vanno via, l’80% laureati e diplomati. Le energie migliori. Il Sud è oggi una Rsa sotto il cielo. Case e terre in s/vendita.
Non bastava l’espropriazione, anche l’umiliazione. Il brigantaggio è stata una Resistenza. Ma i briganti sono assimilati a delinquenti comuni. Forse li confondono con quelli che portò Garibaldi, pendagli da forca, che magari infettarono il tessuto sociale della Sicilia?
Durò circa 5 anni, in Puglia, Lucania, Campania, Molise, Calabria, Sicilia. Essendo dettato da spontaneismo, senza cioè strategie, né politiche né militari, questa Resistenza non poteva che fallire.
Disse bene il Principe di Salina (Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa fu pubblicato postumo perché fuori mainstream) che definiva tramontata l’epoca dei gattopardi e partiva quella degli sciacalli e delle jene.
Ci siamo dentro. Sono i politici del Sud che vediamo ai tg, ciarlatani, demagoghi spacciati per statisti da falangi di cronisti che mai fanno una vera domanda, tutti saliva e turiboli, veline e marchette.
Gli sciacalli annunciano sempre finanziamenti, che però non hanno alcuna ricaduta sui territori, non creano un solo posto di lavoro. Perché servono solo a foraggiare i mega-apparati parassitari che procurano consenso, per farsi rieleggere e occupare le istituzioni.
Oggi 13 febbraio i Meridionali sono in lutto. Il triste ricordo va ai patrioti e ai martiri che si sono immolati per amore della loro patria, il Regno delle Due Sicilie.