Dopo 18 opere ambientate in Sicilia, Domenico Cacopardo porta la sua narrazione al Nord, nella pianura padana (terra della famiglia materna), luogo di piacevoli soggiorni, di incontri formativi e poi di un impegnativo lavoro, mentre la Sicilia (terra paterna e alma mater) era ed è il mondo della sua fondamentale identità. Uno scrittore fedele alle radici e grato a queste due generose fonti per ciò che gli hanno dato, sia attraverso l’esempio e l’educazione familiare, che nel contatto con la gente. Due contesti di cui l’autore conosce perfettamente usi, costumi, modi di pensare, ma soprattutto fisionomia umana, elemento che più di ogni altro emerge negli scritti.
Il genere è il giallo, non quello classico della sequenza lineare odio, vendetta, delitto, indagine e sanzione; piuttosto quello che trova spunto narrativo nelle segrete dell’animo umano, nelle storture interne alla psiche dell’individuo, con i suoi drammi inconfessabili, le vicende passate irrisolte, che puntualmente riemergono chiedendo la definitiva soluzione; e nella storia patria con l’ingiustificabile, criminale capitolo delle persecuzioni ebraiche.
Il senso della Storia:
La trama propone una “storia nella Storia”, e non è un caso, bensì - come sostiene l’autore - una premonizione, che abbia iniziato a scrivere questo romanzo proprio il 27 gennaio, Giorno della Memoria, nel quale il mondo ricorda i martiri della Shoah. Uno dei più feroci delitti contro l’umanità, una ferita nella Storia, che l’autore sembra sentire sulla propria pelle, come tutti coloro che vivono la tolleranza e il rispetto dell’altro nella comune pratica quotidiana. Scorre lungo il romanzo la severa condanna dell’umana miseria, insensata e crudele, capace dei delitti più deprecabili; mentre parallelamente si fa strada una concezione di giustizia che va oltre i precetti dell’oggettiva legalità, per approdare ad una legalità di matrice kantiana, come imperativo interno, premessa di lealtà e rispetto verso il prossimo. Io narrante dell’opera, Cacopardo ripercorre attraverso le vicende dei suoi personaggi uno dei periodi più bui della nostra Storia, facendo toccare con mano le conseguenze di quel male serpeggiante rappresentato dalle leggi razziali del 1938 che hanno portato alla confisca dei beni alle comunità ebraiche, con la finalità di distruggere l’identità di un popolo in ogni suo aspetto. Un patrimonio immenso di arte e cultura mai restituito ai legittimi proprietari. E sebbene chi scrive non indugi nella minuziosa descrizione del dramma, esso diventa palpabile attraverso l’efficace comunicazione emotiva, che a tratti abbraccia quella sottile amara ironia che condanna l’assurdo senza direttamente menzionarlo. Perché spesso le parole non bastano per descrivere il male nelle sue peggiori manifestazioni, ma, se efficaci, lo fanno avvertire da dentro.
Nello scritto, non solo brama di potere e controllo sociale, quindi, ma il senso tangibile dell’umana perfidia e del tradimento, anticamera del crimine, di cui la Shoah è l’esempio più drammatico.
La vicenda principale della trama:
Accantonato Italo Agrò dei precedenti scritti, il ruolo da protagonista passa al magistrato in pensione Domenico Palardo, alter ego dello stesso autore, che da insigne uomo di legge si trasformerà in scrittore detective animato da un’incrollabile passione per la verità. Incaricato dal Comune di Candora (evocativo del candore dei suoi abitanti) di coordinare il volume celebrativo per i cento anni della Costituzione del Comune stesso e scrivere il saggio di apertura su Siro Sieroni - personaggio che ha favorito lo sviluppo economico del paese attraverso le aziende da lui fondate – l’uomo si imbatterà in segreti inconfessabili e vicende irrisolte inerenti la famiglia dell’imprenditore, che diverranno spunto per un’indagine serrata, in cui verrà coinvolta l’intera comunità paesana e un figlio illegittimo di Sieroni. Indagando su colui che dovrebbe omaggiare, Palardo ne apprende infatti la pochezza e la falsità; ma per smascherarle deve comporre un nuovo puzzle. Un delitto inaspettato, infine, costituirà ulteriore tassello d’indagine da inscrivere nel quadro già intricato degli eventi. Ma l’obiettivo del magistrato è quello della verità a qualsiasi costo, oltre ogni intimidazione o ricatto, per restituire senso alla storia, quella del singolo nel caso di Candora. Rispetto alla Storia dell’umanità la condanna è ideale ma senza appello, necessaria tuttavia per non perdere il senso del passato e di ciò che siamo oggi, nel ricordo delle tante vittime dell’odio e dell’umana insensatezza.
Dialettica narrativa:Nello sviluppo della narrazione costante è la dialettica tra privato e pubblico, con un rimando dall’uno all’altro, spesso mediato dal ricordo, ma non per questo meno presente alla mente dell’uomo di legge, che trova nella giusta sanzione il mezzo per ristabilire l’equilibrio nel caos di sentimenti più deprecabili.
Di fondo, serpeggia evidente l’amara ironia per il passato e per il presente che ripropongono entrambi alcuni evidenti vizi nazionali, come l’ipocrisia, l’adulazione dei forti e dei potenti e soprattutto il conformismo.
Pluridimensionalità del genere e scrittura
''Pas de Sicile” è quindi uno scritto a più dimensioni, anche nel genere, perché non indugia in scene macabre e non stimola volutamente il seme del brutto che alberga nell’animo umano; piuttosto indugia nella puntuale caratterizzazione di luoghi e personaggi, di atmosfere, per offrire al lettore elementi di giudizio, oltre che un ancoraggio reale e quotidiano alla sua fantasia, stimolando gli archetipi profondi della coscienza.
Ulteriore valore del romanzo - di sicuro teatrabile - risiede nella scrittura colta, caratterizzata da preciso realismo immerso in una moderata, appena percettibile ironia, nei confronti dei vari autori di soperchierie e di abusi di potere. In questo approccio e in questa capacità descrittive emergono le anime dello scrittore.