iindruch/pixabay |
SANTA FIZZAROTTI SELVAGGI - Si trova che la nozione del vero nasce, direttamente dai sensi e che ai sensi, non si può dare smentita. (Lucrezio).
In un momento così complesso che naviga sul virtuale e si interroga sulla cosiddetta “ intelligenza artificiale “ (invero mero strumento e non altro pur nella sua pericolosità tra le mani dalle intenzioni non buone), in un momento in cui il mercato è stato capace di mercificare finanche il drammatico episodio delle operaie dell'industria tessile Cotton di New York vittime dell'incendio all'interno dell'azienda dove erano state segregate dai datori di lavoro che si dovrebbe ricordare l’8 marzo mi sono venuti in mente studi e pensieri in vari ambiti dello scibile
Signori e Signore a volte ricordarsi delle “fonti del Clitumno“ (cit G. Carducci) quale metafora di bellezza, limpidezza, candore di anima forse può sostenerci nell’assistere a tante ipocrisie e talora manipolazioni. Le acque del Clitunno giungono da sorgenti sotterranee e sgorgano dalla roccia proprio come accade in noi : ciò che affiora all’esterno ha radici e si forma dentro di noi. Il fascino del De rerum natura , per esempio, consiste nella affermazione che esiste una sorta di "philia" universale che sottende il discorso della Natura e l'essenza delle cose. Lucrezio non vuole chiarire a nessuno la "verità" che si nasconde nell'universo, anche perché è ben consapevole della molteplicità della "verità". Egli tenta di utilizzare la conoscenza scientifica, e dunque il suo metodo, al fine di poter liberare l'uomo da quelle profonde e dolorose angosce che si annidano nel suo mondo fatto, in origine, soltanto dai sensi senza i quali non ci è dato di orientarci nello spazio e nel tempo. In tale percorso conoscitivo spera di affrancare l'umanità dall'idea "persecutoria" di un possibile intervento divino, quale causa di certi fenomeni naturali.
Lucrezio, in definitiva, coltiva la speranza di aiutare l'essere umano a raggiungere quella distanza emotiva dai problemi, tale da renderlo capace di gestire sentimenti e passioni, di sostenere la questione del senso che certo non appartiene se non come altre modalità al mondo virtuale… D’altra parte la Montessori, che certo non aveva bisogno di affermare uguaglianze o altro con il maschile, ha più volte affermato che “la mano è l’organo dell’intelligenza".
Così scrive il grande poeta latino nel libro II del De rerum natura: "Al buio pesto i bambini tremano e temon di tutto e noi talvolta alla luce temiam di cose che sono non più tremende di quelle che al buio temono i bimbi, e pensan stian per succedere loro. E' perciò necessario che non i raggi del sole, che non lucide frecce del giorno spazzino via questo terrore dell'animo con le sue tenebre, ma la razional conoscenza della natura". Si tratta di un invito alla razionalità, e dunque in altri termini, all'analisi delle ragioni della realtà naturale dell'essere umano. D'altra parte il filosofo spagnolo Miguel da Unamuno riesce a cogliere il conflitto centrale del grande poeta latino tanto da scrivere: "La ragione non è certamente una facoltà consolatrice. Quel terribile poeta latino - Lucrezio - sotto la cui apparente serenità ed atarassia epicurea si cela tanta disperazione, diceva che la pietà consiste nel poter contemplare tutto con animo sereno".
Lucrezio, infatti, nonostante il suo sapere di soffrire, e forse di risolvere il suo grande problema con la morte, attraverso un "lucido" delirio, riusciva a prendere quella minima distanza dal senso di vertigine che gli procurava la sua acuta sofferenza, tanto da desiderare di osservare, comunque, con "animo sereno" quelle parti di sé prigioniere del dolore. E la ragione, intesa probabilmente da Lucrezio come altra ragione, se per un verso può comprendere soltanto in parte il linguaggio dei sensi, assertori delle molteplici verità nascoste nelle diverse identità delle varie individualità, dall'altro, proprio in virtù della consapevolezza della natura delle cose, sicuramente non aiuta il genere umano a "sopportare troppa realtà". (T.S. Eliot).
Con differenti parole, ma per alcuni aspetti forse con un similare significato teso, però, ad un tentativo di lenimento effettivo delle sofferenze umane, così si esprime il grande psicoanalista M. Masud R. Khan relativamente alla realizzazione del Sé che sembra: "desiderata con forza, ma mai del tutto raggiunta, perché noi uomini siamo profondamente timorosi persino di ciò che può arricchirci. Perché viviamo nascosti e interiormente divisi, avvicinandoci talvolta all'"altro", ma molto più spesso rifugiandoci in noi stessi, vegliando e sognando ad un tempo". E così di seguito Masud Khan aggiunge che il lavoro clinico che egli descrive "non ha alcuna pretesa di fornire una spiegazione "scientifica" del malessere dell'Altro. "E' piuttosto un invito a partecipare al discorso tra me e l'altro, - Egli dice - cui ciascuno dei due ha contribuito ora con la propria disponibilità, ora con la propria reticenza". Ed è proprio in questi incontri, che per Masud Khan avvengono in uno "spazio analitico", in uno spazio, cioè, in cui le solitudini di ciascuno a tratti si toccano, che con molta gradualità ci si può muovere verso "la reciproca diffidenza, permettendo di tanto in tanto la condivisione dei propri Sé nascosti".
Nel rapporto con l'Altro si inscrive, dunque, quella imprevedibile crescita che "quando si realizza, si chiama - un pò impropriamente "guarigione".
Lucrezio parlava solo con se stesso scoprendo, volta per volta, quei nuclei silenziosi tormentati dal dolore e dalla ricerca dell'Altro da sé per poter condividere la realtà della natura umana. Il suicidio di Lucrezio rappresenta, in realtà, la testimonianza di una impossibilità di rapporto con l'Altro, tanto desiderato eppure tanto temuto, e pertanto l'impossibilità di un profondo rapporto con le sue parti "sconosciute ed inquiete". Sarebbe, infatti, stato l'Altro da sé a consentirgli di entrare e sostenere fino in fondo quelle sue parti interne di sé così estranee e, al medesimo tempo, estremamente presenti e pressanti. Lucrezio, allora, tentò di mantenere quella distanza emotiva che egli indica come possibilità di serena contemplazione della disperazione. Ma la serena "contemplazione", in verità, non può non stabilirsi se non all'interno di un polo dialettico che tenga conto della dimensione della "elaborazione", senza rischiare di assumere le valenze di una altrettanto disperata "difesa". In realtà in Lucrezio ebbe luogo l'esasperazione di un prepotente meccanismo di scissione, di divisione da sé e dall'Altro da sé, una divisione che, invece, Masud Khan, attraverso i suoi insegnamenti ed il suo lavoro clinico tenta di conoscere ed affrontare al fine di consentire una comprensione ed una accettazione, una sorta di pacificazione della molteplicità nascosta nella natura umana. L'accettazione delle proprie parti nascoste, di altri inaspettati luoghi del Sé, della consapevolezza del rapporto con l'Altro sempre dolorosamente "parziale" possono condurre l'essere umano, al di là di qualsiasi "spiegazione scientifica", alla conoscenza della sua più profonda irripetibile individualità con quel minimo di serenità che non si traduca in una "difesa", ma che consenta di accettare che il "vero", nella sua assolutezza, per alcuni aspetti, e nella sua relatività, per alcuni altri, è sempre in opera nel paradigma del "senso" e cioè della cosiddetta "verità".
In tale ottica non è casuale che Masud Khan inviti il lettore a riflettere intorno ad una affermazione di T.S. Eliot: "nel diciassettesimo secolo si è verificata una dissociazione della sensibilità, dalla quale non ci siamo più ripresi". Lentamente, infatti, l'umanità, con il sorgere del metodo scientifico galileiano e con l'avvento dell'età moderna, ebbe modo di disancorarsi, difensivamente, dal complesso mondo della "sensorialità", perdendo sia la capacità di cogliere pienamente le emozioni, sia di coniugare le stesse con la sfera della ragione, che, in definitiva, altri non è se non una "diversa" emozione. La centralità dell'uomo moderno rispetto alla natura, se per un verso lo illuse, dunque, di poter tutto comprendere, dall'altro divenne l'occasione per alienarlo da quel suo essere natura egli stesso, e cioè dalla sua più autentica "verità".
Eppure anche durante l'"avvio" dell'età moderna, alcuni letterati, come per esempio Roland F. de Chambray, notarono che l'uomo incominciava a non usare più "gli occhi" della mente per esprimere valutazioni e giudizi, ma iniziava ad utilizzare la "maschera dell'apparenza", cancellando, in tal modo, l'originarietà delle cose . Il rapporto con l'Altro, allora, non fu più occasione di conoscenza, crescita e confronto, poiché era germogliata, insieme alla modernità, alla tecnica, alla "macchina", e oggi al mondo virtuale, anche la pianta della "solitudine" più amara. In quel periodo, in Europa, scrive Masud Khan, l'uomo era ormai "il solo testimone di se stesso", alla ricerca inconsapevole, ma sempre più disperata di una parte di sé perduta nella storia e nel tempo. E se Lucrezio, consapevole del suo limite, desiderava un rapporto diverso nell'approccio gnoseologico della Natura al fine di poter "dissipare", ma non annientare, le angosce derivanti dalle ombre inquietanti della notte psichica, Cartesio credette veramente di poter governare la Natura e le sue imprevedibilità , soltanto per mezzo dell'intelletto e del pensiero. La scissione difensiva di Lucrezio si trasformò in una scissione "epocale", sulla cui base la nascita della psicoanalisi non poteva che essere necessaria. Una necessità certo , ma senza quella parcellizzazione come oggi ci par di vedere: l’interezza della persona va rispettata senza ma e senza se, sia essa di genere maschile o femminile o altro…
La psicoanalisi, infatti, si pose come elemento dialettizzante di sfere differenti, ma tutte presenti, se pure in misure diverse, all'interno della storia dell'uomo in generale e dell'individuo in particolare. In tal senso Freud fu un rivoluzionario, un "copernicano", in grado di superare i paradigmi del positivismo e di utilizzare un procedimento e cioè l'"analisi" per ritrovare, con fatica e con dolore, proprio quel mondo sommerso e perduto dei "sensi", senza il quale l'uomo assume le sembianze di una "macchina", di un " robot", di una " virtuale intelligenza" senza anima ed emozioni, di un consumatore di social... La consapevolezza della grande perdita della Natura, e del suo relativo recupero, ancora si aggira nel discorso contemporaneo della Scienza, una Natura che è, in ogni caso, inscritta in tutti gli uomini e che urge tentare di ritrovare.