CELESTE MAUROGIOVANNI - A un anno dalla scomparsa di Vannina Grilli
mi fa piacere parlare di Lei e delle sue creature, da amica ed estimatrice.
Ho conosciuto Vannina grazie a sua sorella Luisanna (anche mio padre Vito
l’apprezzava molto e ne raccontava spesso le sue doti) che con cura e affetto materno
più che fraterno ha amato e accompagnato Vannina nel suo quotidiano, nel suo
lavoro, insieme a Vincenzino e ai loro figli, Stefania e Arcangelo.
Luisanna, che compone versi tenerissimi, ha salutato Vannina anche con queste
parole: “Nata di marzo/ a marzo/ ci hai lasciato/ portando via con te/ la pioggia e il
sole.”
In Vannina Grilli tecnica e manualità diventano arte; passione, curiosità si traducono in professione e professionalità; sogni, desideri di bambina, ricordi, affetti, odori, suoni, immagini, visioni di realtà in cui è nata e in cui ha vissuto prendono corpo e anima in crete grezze, bianche, multicolori, in fischietti, alberi con frutti copiosi, soli di tutte le dimensioni, giochi per bambini e adulti, donne in bianco e spose di tutti i formati che indossano abiti ricercati in cui la terracotta, plasmata dalle sue mani, riesce ad evocare, anche grazie alle sapienti smaltature, materiali nobili e più preziosi. Un’antica tecnica - quella di Vannina praticata fin dal paleolitico che in genere è appartenuta agli uomini a cui si è accostata con umiltà, curiosità, andando ‘a bottega’ da grandi maestri come Raffaele Spizzico o frequentando Faenza - che ha reso ‘femminile’ imprimendole un gusto, un’eleganza e una sapienza che solo le donne possono e sanno dare alle loro creazioni. E ha contaminato l’esperienza del territorio con tecniche raffinate quali il Raku giapponese esplorate sempre con la stessa voglia di apprendere e di sperimentare.
Questo è stata Vannina, amica affettuosa e ironica, e questi sono i suoi ‘eserciti’ di donne, spose e crete che ci circondano e non ci inducono a ricordi tristi (anche se ci manca molto, e forte è la sua nostalgia) ma parlano un linguaggio di luce e di vita in cui c’è l’energia attraverso cui l’artista, con mani magiche, trasforma la materia e genera mondi, veri o incantati, quelli dei sogni, dei giochi delle fiabe impastati di colori naturali o smaltati di bianco, di figure femminili spesso senza volto, vestite con abiti leggiadri, ornati, ricamati. Il dettaglio delle acconciature o di tali vesti adorne ci ricordano le donzellette di leopardiano sapore, perché illuminano la grezza creta e le imprimono un tocco ‘di gentile’ candore, di arcaica profondità,di ricerca e rigore stilistico, da Vannina espresse anche in sculture in fil di ferro (con cui produsse opere originali e nuove), piegato alla sua volontà creativa. Tutto ciò - di antica cultura e tradizione - conserva l’impronta di una donna del Sud barese, Bari d’adozione che esprime in arte sentimenti e sensibilità universali. Come ebbe a dire Grazia Deledda, (quando parlava di Sud) …siamo spagnoli, africani, fenici, cartaginesi, romani, arabi, pisani, bizantini, piemontesi. Pugliesi aggiungerebbe, direbbe Vannina sorridendo.
Nasce - infatti - a Sassari, in Sardegna, la terra delle donne di coraggio, come la citata Grazia Deledda ola compianta Michela Murgia, e poi arriva con la sua famiglia prima a Foggia poi a Bari, dove si stabilisce in una casa impreziosita dalle sue opere e dalle sue numerose collezioni di vasi e oggetti.
Bella la storia di Vannina, che da piccola aveva un bambolotto a cui cuciva corredi splendenti, scarpine perfette e che, pertanto, con la sua abilissima manualità, diventava un giocattolo prezioso perché unico.
E la sua - come la mia - non era la generazione dell’acquisto e del consumo dei giocattoli e, con grande inventiva e leggerezza divenuta grande, lei li ha riprodotti per se stessa e gli altri, rifacendoli con la cura del particolare, del colore, della rifinitura di un’artista che nulla trascura e tutto governa.
Vannina ha dominato e plasmato una realtà che ora ci lascia non solo come eredità di affetti, ma come tangibile ricordo e ognuno di noi potrebbe o vorrebbe avere in casa, le sue opere, espressione di un mondo di donna che ha scelto la ‘bottega’, l’artigianato, per esprimere i suoi talenti, che ha dato vita ella stessa in tempi passati a una bottega, Il Forno rosso, per tramandarci un’arte in cui tutto è concreto, plastico, tangibile e insieme fragilissimo.
Con commozione e rispetto toccheremo ciò che Vannina ci ha lasciato e la sentiremo ancora tra noi, ricordando una storia di donna e di donne del sud quale lei era, portatrice e dispensatrice di valori veri, radiosi come i suoi soli e i suoi alberi della vita che illumineranno ancora i nostri giorni, anche quelli che spesso luce non hanno.
In Vannina Grilli tecnica e manualità diventano arte; passione, curiosità si traducono in professione e professionalità; sogni, desideri di bambina, ricordi, affetti, odori, suoni, immagini, visioni di realtà in cui è nata e in cui ha vissuto prendono corpo e anima in crete grezze, bianche, multicolori, in fischietti, alberi con frutti copiosi, soli di tutte le dimensioni, giochi per bambini e adulti, donne in bianco e spose di tutti i formati che indossano abiti ricercati in cui la terracotta, plasmata dalle sue mani, riesce ad evocare, anche grazie alle sapienti smaltature, materiali nobili e più preziosi. Un’antica tecnica - quella di Vannina praticata fin dal paleolitico che in genere è appartenuta agli uomini a cui si è accostata con umiltà, curiosità, andando ‘a bottega’ da grandi maestri come Raffaele Spizzico o frequentando Faenza - che ha reso ‘femminile’ imprimendole un gusto, un’eleganza e una sapienza che solo le donne possono e sanno dare alle loro creazioni. E ha contaminato l’esperienza del territorio con tecniche raffinate quali il Raku giapponese esplorate sempre con la stessa voglia di apprendere e di sperimentare.
Questo è stata Vannina, amica affettuosa e ironica, e questi sono i suoi ‘eserciti’ di donne, spose e crete che ci circondano e non ci inducono a ricordi tristi (anche se ci manca molto, e forte è la sua nostalgia) ma parlano un linguaggio di luce e di vita in cui c’è l’energia attraverso cui l’artista, con mani magiche, trasforma la materia e genera mondi, veri o incantati, quelli dei sogni, dei giochi delle fiabe impastati di colori naturali o smaltati di bianco, di figure femminili spesso senza volto, vestite con abiti leggiadri, ornati, ricamati. Il dettaglio delle acconciature o di tali vesti adorne ci ricordano le donzellette di leopardiano sapore, perché illuminano la grezza creta e le imprimono un tocco ‘di gentile’ candore, di arcaica profondità,di ricerca e rigore stilistico, da Vannina espresse anche in sculture in fil di ferro (con cui produsse opere originali e nuove), piegato alla sua volontà creativa. Tutto ciò - di antica cultura e tradizione - conserva l’impronta di una donna del Sud barese, Bari d’adozione che esprime in arte sentimenti e sensibilità universali. Come ebbe a dire Grazia Deledda, (quando parlava di Sud) …siamo spagnoli, africani, fenici, cartaginesi, romani, arabi, pisani, bizantini, piemontesi. Pugliesi aggiungerebbe, direbbe Vannina sorridendo.
Nasce - infatti - a Sassari, in Sardegna, la terra delle donne di coraggio, come la citata Grazia Deledda ola compianta Michela Murgia, e poi arriva con la sua famiglia prima a Foggia poi a Bari, dove si stabilisce in una casa impreziosita dalle sue opere e dalle sue numerose collezioni di vasi e oggetti.
Bella la storia di Vannina, che da piccola aveva un bambolotto a cui cuciva corredi splendenti, scarpine perfette e che, pertanto, con la sua abilissima manualità, diventava un giocattolo prezioso perché unico.
E la sua - come la mia - non era la generazione dell’acquisto e del consumo dei giocattoli e, con grande inventiva e leggerezza divenuta grande, lei li ha riprodotti per se stessa e gli altri, rifacendoli con la cura del particolare, del colore, della rifinitura di un’artista che nulla trascura e tutto governa.
Vannina ha dominato e plasmato una realtà che ora ci lascia non solo come eredità di affetti, ma come tangibile ricordo e ognuno di noi potrebbe o vorrebbe avere in casa, le sue opere, espressione di un mondo di donna che ha scelto la ‘bottega’, l’artigianato, per esprimere i suoi talenti, che ha dato vita ella stessa in tempi passati a una bottega, Il Forno rosso, per tramandarci un’arte in cui tutto è concreto, plastico, tangibile e insieme fragilissimo.
Con commozione e rispetto toccheremo ciò che Vannina ci ha lasciato e la sentiremo ancora tra noi, ricordando una storia di donna e di donne del sud quale lei era, portatrice e dispensatrice di valori veri, radiosi come i suoi soli e i suoi alberi della vita che illumineranno ancora i nostri giorni, anche quelli che spesso luce non hanno.