FRANCESCO GRECO - APRICENA (FG) - “Facite l’alemosena a ‘stipezzente…”. Succede nelle contrade arse e sitibonde del Sud, dove si smarrisce la propria storia, identità, passato, cultura. Che compone il puzzle complesso del suo dna più intimo e vero. E non accade per caso: la società dello spettacolo, con i suoi fetidi feticci (tv spazzatura in primis), su quel vuoto depone il suo guano micidiale fatto di nichilismo e di apparenza. Poi i politici incolti e ciniciarriveranno per assoggettare le sue genti, rubare la loro vita, determinare, alienare i destini.
Succede che la damnatio memoriae sia toccata anche a un mito, Matteo Salvatore,onore e gloria di Puglia (Apricena, 16 giugno 1925 - Foggia 26 agosto 2005), il più grandecantastorie del Novecento, un poeta con la p maiuscola, per Italo Calvino “l’unica fonte di cultura popolare in Italia e nel mondo nel suo genere. Le parole che dice Matteo Salvatore noi le dobbiamo ancora inventare”.
Però accade pure che le nuove generazioni capiscano l’enormità e lo scandalo del “furto” identitario e decidano di farne uno spettacolo teatrale riportando in vita il poeta, le sue canzoni di rabbia e di lotta porgendolo ai territori con un’operazione culturale di altissimo spessore e grande dignità.
E’ il background di “Vita di Matteo Salvatore”, di e con Nazario Vasciarelli (attore-autore-regista) e con Roberta Palumbo (voce e tamburello) e Lorenzo Bonfitto (fisarmonica, voce e chitarra).
Due ore di spettacolo intense (prossima tappa Torremaggiore, 24 aprile), in cui chi non lo conosceva alla fine potrà dire di appartenere alla sua stessa cultura ed etnia.
Premette Vasciarelli: “Dopo l’edizione del 2021, realizzata grazie al contributo artistico del compianto Matteo Marolla, ecco un rinnovato spettacolo teatrale che vuole ripercorrere la vita travagliata, miserabile e avventurosa di colui che è stato definito l’ultimo dei cantastorie”.
Domanda: Dove nasce Salvatore?
Risposta: Ad Apricena, al centro della piana assolata del Tavoliere delle Puglie. Rimane ancora oggi un faro, uno dei punti di riferimento più vivi del panorama folk italiano.
Domanda: Una vita artistica e privata movimentata, si direbbe…
Risposta: Negli anni ’50 e negli anni ‘60 si fece conoscere per la sua personalità a metà tra genio naïf e sregolatezza, per cui, oltre all’artista e alla sua musica, si vuole andare a ricercare nella sua vita privata quel nesso tra l’uomo e il cantautore.
L’infanzia difficile, l’adolescenza, la giovinezza, le disavventure, l’emigrazione, la ricerca del successo; e poi le gioie del successo e i fallimenti privati vengono raccontati attraverso un viaggio di riscoperta ora divertente ora lirico e appassionato.
Domanda: Che password avete scelto per leggerlo e rappresentarlo?
Risposta: Attraverso mezzi di una semplicità unica, volutamente minimali, quali il semplice uso della fisarmonica, della chitarra e delle loro voci, “rivisitano” la vita del maestro con canzoni e racconti reinterpretando le sensazioni che Matteo Salvatore donava al pubblico con le sue canzoni e le sue narrazioni istrioniche.
Domanda: Trovate coreografiche?
Risposta: L’impianto scenico è realizzato su due livelli, uno sotto al palco – dove inizia e termina lo spettacolo- e uno sopra il palco, dove viene raccontato in terza persona il cantastorie il cui fantasma aleggia tra il pubblico e sopra il palco. Lo spettacolo è arricchito dai quadri del cantastorie di piazza, la qual cosa rende ancor più forte la carica emotiva che ha sempre caratterizzato questo straordinario personaggio pieno di ombre e sfumature.
Domanda: Altre note di regia?
Risposta: Sotto la spinta di un vecchio desiderio nato all’alba della conoscenza con Matteo Marolla nel 2002, ho deciso di riadattare uno spettacolo teatrale di “cunti” intorno alla figura del cantastorie di Apricena, come già nel 2008, nel 2014 e nel 2021.
Oggi con più maturità e consapevolezza affronto la rilettura di un mito della mia infanzia, grazie anche al contributo di un’artista eccezionale, Roberta Palumbo, che considero la Gabriella Ferri della canzone popolare del Tavoliere: la sua intensità è una un’esplosione di teatralità vissuta con gioia e sofferenza a seconda del brano che interpreta.
Domanda: Nonostante tutto, Salvatore è diffuso nella memoria popolare della Puglia?
Risposta: Nella casa di mio nonno, come si racconta in questo spettacolo e nel precedente “Osteria dei Ricordi”, la sua figura era nota e ascoltati erano i suoi dischi, come ad esempio “Le quattro stagioni del Gargano” di cui conservo ancora il 33 giri originale.
La sua voce in falsetto mi è sempre stata familiare, ma nella mia adolescenza non c’era posto per questo tipo di produzione musicale.
Domanda: E quindi?
Risposta: Con la maturità è avvenuta la riscoperta del personaggio partendo dalle parole amare di uno dei suoi brani più cantati e conosciuti:“Padrone mio”.
La durezza delle condizioni miserevoli delle vite dei braccianti pugliesi è riapparsa nella memoria appena i nuovi poveri provenienti dall’Africa hanno cominciato a farmi riflettere sulla condizione disperata che una parte dell’umanità continua ancora a vivere nei sobborghi e nelle baraccopoli che esistono nel Tavoliere delle Puglie come a Rosarno in Calabria.
Domanda: In sintonia con la sua idea di teatro impegnato, perché le diseguaglianze si riprongono anche oggi…
Risposta: Inseguo da anni un teatro civile e politico che attingendo molto spesso ai temi delle tradizioni popolari orali, ricerca la strada di una nuova e coraggiosa drammaturgia.
Il racconto delle miserie di un “passato mai veramente passato”, serve indubbiamente a raccontare le stesse miserie di oggi che si rinnovano e si ripetono in un incessante ciclo continuo che sembra non finire mai.