VITTORIO POLITO - Leggo sulla “Gazzetta del Mezzogiorno” (Basilicata) la
nota di Nico Basile “Salvaguardare il dialetto e non solo per la tradizione”:
L’autore sottolinea come «In Basilicata esistono dialetti incredibili, tasselli di
un mosaico unico e prezioso. Su 131 comuni ci sono almeno 140 lingue. Tra
queste, il potentino, è quella più a rischio: il capoluogo di Regione, infatti, nel
corso degli anni ha visto aumentare in modo esponenziale la sua popolazione
con annesse provenienze». Per questi motivi il Centro Internazionale di
Dialettologia (CID) presso l’Università degli Studi della Basilicata ha aperto le
porte al primo corso di Dialetto Potentino rivolto a chiunque fosse interessato.
Iniziativa meritoria se si considera che l’utilizzo del dialetto dà una maggiore
vivacità e spontaneità , non solo al dialogo, ma anche all’opera letteraria e,
spesso, molti scrittori e poeti rivalutano il dialetto per la sua vicinanza al
popolo.
Il dialetto, quindi, rappresenta un patrimonio da non disperdere in quanto strumento di comunicazione, di cultura, ma anche di tradizioni, usi e costumi. Il dialetto è anche una forma di linguaggio verbale più immediata e nello stesso tempo più sofisticata, in quanto riesce ad imprimere quel tanto di drammatizzazione al nostro parlare, funzionando l’espressione dialettale come efficace rafforzamento del nostro eloquio.
È il caso di ricordare che anche Gesù parlava una varietà dialettale dell’aramaico, una lingua appartenente al gruppo occidentale delle lingue semitiche. Lo stesso Vangelo è stato scritto in aramaico, mentre San Francesco, un anno prima di morire, completamente cieco, ma fortemente illuminato, cantò il “Cantico delle Creature” scritto in “volgare”, per non parlare di Carlo Goldoni, Edoardo De Filippo, Totò, Gilberto Govi, Trilussa, tanto per citare i più noti.
In riferimento poi al dialetto barese l’elenco di scrittori, commediografi e poeti dialettali è abbastanza lungo e lo spazio non consente di citarli tutti. Ne ricorderò qualcuno, solo a mo’ di esempio: Francesco Saverio Abbrescia, primo poeta dialettale; Alfredo Giovine, con le sue numerose pubblicazioni; Giovanni Panza con il suo libro “La checine de nononne” (Schena), una sorta di bibbia bilingue (italiano e dialetto) della cucina barese; Vito Maurogiovanni, giornalista, scrittore e commediografo di cultura popolare con il “Il Teatro” e “U Café antiche” (Levante), per non parlare dei suoi capolavori dialettali, “Jarche vasce”, replicati oltre tremila volte, le cui recite si protraggono da oltre trent’anni, e del dramma teatrale “La passione de Criste”, trasmesso anche da Raitre; Domenico Triggiani, le cui commedie in vernacolo costituiscono un importante contributo teso a recuperare la memoria storica del territorio con i suoi tre volumi di teatro dialettale editi da Levante, Capone ed Editrice Tipografica. Triggiani è altresì autore, insieme alla moglie Rosa Lettini, del primo romanzo storico-satirico in vernacolo barese, “Da Adame ad Andriotte” (Schena), con la presentazione di Vito Antonio Melchiorre. Grazie a Triggiani, il dialetto barese ha varcato non solo i confini regionali, ma anche quelli nazionali, raggiungendo praticamente tutto il mondo.
I poeti dialettali baresi non si contano: da Francesco Saverio Abbrescia, canonico e primo poeta dialettale barese, a Gaetano Granieri, Giovanni Laricchia, Giuseppe Capriati, Gaetano Savelli, quest’ultimo ha tradotto la Divina Commedia in dialetto barese, edizione rivista da Vito Signorile (Gelsorosso Editore). Michele Bellomo, Nicola Macina, Onofrio Gonnella (Ogon), Giuseppe Romito, Arturo Santoro, Francesco Lopez, Vito De Fano, Giovanni Panza, Marcello Catinella, Maria D’Apolito Conese, Ettore De Nobili, Giuseppe De Benedictis (Giudebbe), Agnese Palummo, Giuseppe Gioia, Peppino Franco, Lorenzo Gentile, Franca Fabris Angelillo, Luigi Canonico (quest’ultimo ha tradotto i Vangeli e il Nuovo testamento in dialetto barese), Santa Vetturi, Peppino Zaccaro, Felice Alloggio, Emanuele Battista, i quali ultimi hanno scritto anche commedie dialettali rappresentate con successo. Chi scrive ha tradotto con Rosa Lettini Triggiani le comuni preghiere del cristiano (Pregáme a la barése – Levante). Anche Augusto Carbonara ha contribuito con il suo “U Vangele alla manere de Marche veldate alla barese” (WIP Edizioni). Ultimo in ordine di tempo il testo di Cosimo Ventrella “Canti popolari, canzonette e folklore in Terra di Bari” con Canzoniere barese (Garribba Alfredo editore). Citati o non citati l’applauso va a tutti.
Il dialetto, in conclusione, è anche un universo verbale a suo modo “colto”, più colto dell'italiano piatto e banale imposto dai mezzi di comunicazione e degradato dall’uso che ne fanno i giovani attraverso i loro messaggi criptati. Esprimiamoci quindi liberamente nel nostro dialetto, che rappresenta anche un ulteriore mezzo per abbattere le barriere della comunicazione e, soprattutto, insegniamolo ai nostri figli per conservare nel tempo la memoria storica da tramandare alle generazioni future.
Il dialetto, quindi, rappresenta un patrimonio da non disperdere in quanto strumento di comunicazione, di cultura, ma anche di tradizioni, usi e costumi. Il dialetto è anche una forma di linguaggio verbale più immediata e nello stesso tempo più sofisticata, in quanto riesce ad imprimere quel tanto di drammatizzazione al nostro parlare, funzionando l’espressione dialettale come efficace rafforzamento del nostro eloquio.
È il caso di ricordare che anche Gesù parlava una varietà dialettale dell’aramaico, una lingua appartenente al gruppo occidentale delle lingue semitiche. Lo stesso Vangelo è stato scritto in aramaico, mentre San Francesco, un anno prima di morire, completamente cieco, ma fortemente illuminato, cantò il “Cantico delle Creature” scritto in “volgare”, per non parlare di Carlo Goldoni, Edoardo De Filippo, Totò, Gilberto Govi, Trilussa, tanto per citare i più noti.
In riferimento poi al dialetto barese l’elenco di scrittori, commediografi e poeti dialettali è abbastanza lungo e lo spazio non consente di citarli tutti. Ne ricorderò qualcuno, solo a mo’ di esempio: Francesco Saverio Abbrescia, primo poeta dialettale; Alfredo Giovine, con le sue numerose pubblicazioni; Giovanni Panza con il suo libro “La checine de nononne” (Schena), una sorta di bibbia bilingue (italiano e dialetto) della cucina barese; Vito Maurogiovanni, giornalista, scrittore e commediografo di cultura popolare con il “Il Teatro” e “U Café antiche” (Levante), per non parlare dei suoi capolavori dialettali, “Jarche vasce”, replicati oltre tremila volte, le cui recite si protraggono da oltre trent’anni, e del dramma teatrale “La passione de Criste”, trasmesso anche da Raitre; Domenico Triggiani, le cui commedie in vernacolo costituiscono un importante contributo teso a recuperare la memoria storica del territorio con i suoi tre volumi di teatro dialettale editi da Levante, Capone ed Editrice Tipografica. Triggiani è altresì autore, insieme alla moglie Rosa Lettini, del primo romanzo storico-satirico in vernacolo barese, “Da Adame ad Andriotte” (Schena), con la presentazione di Vito Antonio Melchiorre. Grazie a Triggiani, il dialetto barese ha varcato non solo i confini regionali, ma anche quelli nazionali, raggiungendo praticamente tutto il mondo.
I poeti dialettali baresi non si contano: da Francesco Saverio Abbrescia, canonico e primo poeta dialettale barese, a Gaetano Granieri, Giovanni Laricchia, Giuseppe Capriati, Gaetano Savelli, quest’ultimo ha tradotto la Divina Commedia in dialetto barese, edizione rivista da Vito Signorile (Gelsorosso Editore). Michele Bellomo, Nicola Macina, Onofrio Gonnella (Ogon), Giuseppe Romito, Arturo Santoro, Francesco Lopez, Vito De Fano, Giovanni Panza, Marcello Catinella, Maria D’Apolito Conese, Ettore De Nobili, Giuseppe De Benedictis (Giudebbe), Agnese Palummo, Giuseppe Gioia, Peppino Franco, Lorenzo Gentile, Franca Fabris Angelillo, Luigi Canonico (quest’ultimo ha tradotto i Vangeli e il Nuovo testamento in dialetto barese), Santa Vetturi, Peppino Zaccaro, Felice Alloggio, Emanuele Battista, i quali ultimi hanno scritto anche commedie dialettali rappresentate con successo. Chi scrive ha tradotto con Rosa Lettini Triggiani le comuni preghiere del cristiano (Pregáme a la barése – Levante). Anche Augusto Carbonara ha contribuito con il suo “U Vangele alla manere de Marche veldate alla barese” (WIP Edizioni). Ultimo in ordine di tempo il testo di Cosimo Ventrella “Canti popolari, canzonette e folklore in Terra di Bari” con Canzoniere barese (Garribba Alfredo editore). Citati o non citati l’applauso va a tutti.
Il dialetto, in conclusione, è anche un universo verbale a suo modo “colto”, più colto dell'italiano piatto e banale imposto dai mezzi di comunicazione e degradato dall’uso che ne fanno i giovani attraverso i loro messaggi criptati. Esprimiamoci quindi liberamente nel nostro dialetto, che rappresenta anche un ulteriore mezzo per abbattere le barriere della comunicazione e, soprattutto, insegniamolo ai nostri figli per conservare nel tempo la memoria storica da tramandare alle generazioni future.