FELICE ALLOGGIO - Di solito sono io sul palco di fronte agli spettatori fra i quali c’è quasi sempre il critico teatrale con il suo block notes fra le mani per elaborare la recensione dello spettacolo; oggi invece è toccato a me cimentarmi, quasi fosse una prova attoriale, nel ruolo del critico teatrale e assistere allo spettacolo “Visionari”, organizzato dalla Cooperativa C.R.I.S.I. rappresentata dalla dr.ssa Ilaria De Vanna.
Hanno collaborato all’evento l’Associazione Culturale “Senza Piume” con
il Patrocinio della Città Metropolitana di Bari. In scena presso il Teatro Kismet di
Bari, c’erano i ragazzi del Centro Messeni Localzo e della 3^ A del Liceo Alpi-
Montale di Rutigliano. Prima ho ritenuto opportuno intervistare la dott.ssa Ilaria De
Vanna, vice presidente della Cooperativa C.R.I.S.I, e il dr. Antonio Giampietro,
garante dei diritti delle Persone con Disabilità della Regione Puglia, di cui vi riporto
integralmente il testo.
Si dice che il teatro per non vedenti e diversamente abili rappresenta la messa in scena dei propri vissuti all’interno di un gruppo, in quanto teatro/terapia. È d’accordo con questo assunto e perché?
De Vanna - Sono d’accordo e aggiungerei non solo per i non vedenti ma per tutti quanti si approcciano al teatro in quanto raccontano se stessi, esplorano e sentono se stessi e altri mondi paralleli che sono quelli delle relazioni. Giampietro - Anzitutto io penso che il teatro sia una forma d’arte speciale in quanto permette a tutti di poter vivere un’emozione tradotta in una maniera particolare, come quella di un’arte in movimento sia visiva che uditiva, perché le parole rendono tanto. Il teatro per i non vedenti è, quindi, sicuramente un’arte importante, ed è bene che i ragazzi la pratichino assieme alle persone che ci vedono. É simbolo di ciò che si può fare come forma d’arte per tutti.
Nel lavoro artistico, in che modo l’attore/interprete non vedente può rappresentare questa conoscenza e consapevolezza?
De Vanna - Siamo partiti dall’assunto che non ci sono persone diverse dalle altre, ma che ci sono persone tutte diverse tra loro, e quindi ciascuno di noi ha un’abilità in qualcosa e non le ha in altre. La possibilità di ricercare il modo di esprimere se stessi, a prescindere, è stato l’obiettivo di questo percorso per cui, chiunque, indipendentemente dal punto di partenza della propria identità specifica, riesce a trovare un modo per esprimersi, perché di modi ce ne sono tanti, quali la gestualità, il movimento del corpo, l’espressività, le emozioni.
Giampietro - Anzitutto io penso che il non vedente possa cercare dentro se stesso le parole migliori ed esprimerle; il non vedente che fa teatro, che parla, che esprime se stesso, riesce anche a fare un’indagine catarchica su se stesso e a restituire se stesso agli altri.
Con l’attività teatrale si sfruttano le potenzialità delle nuove tecnologie digitali e si promuove in questo modo il diritto alla partecipazione attiva del cittadino non vedente alla vita culturale del territorio?
De Vanna - E’ assolutamente così, anche se la tecnologia senza cuore non rende al massimo. Ciò che appartiene a questo spettacolo, che per il 99% è fatto in modo artigianale, nasce da un incontro tra ragazzi, tra pari adolescenti, che si sono messi in gioco. Per cui quello che la tecnologia oggi fa, è sottolineare i passaggi che aiutano ad abbattere le barriere.
Giampietro - Si, la risposta è si! Le tecnologie oggi ci permettono di utilizzare tanti strumenti rispetto ad un tempo, usufruendo così di applicazioni per i non vedenti e anche per gli altri tipi di disabilità.
Quali sono le fasi dell’allestimento di uno spettacolo teatrale dalla ideazione alla messa in scena? Quanto lavoro, disciplina, sacrificio c’è dietro una messa in scena?
De Vanna - Tantissimi! Ad onor del vero devo dire che questo spettacolo è una narrazione. Ciò che vuole rappresentare sono le fasi, anche quelle del laboratorio che abbiamo fatto per l’azione dell’emozione del ragazzo. E’ stata una costruzione originale, con un testo scritto dai ragazzi con l’aiuto di Rossana Pugliese e Alessandro Schino che hanno messo il testo in una forma unica, nel senso di dargli un corpo dall’inizio alla fine.
Giampietro - E beh, tantissimo lavoro, tant’è che devo ringraziare il Centro Messeni, Localzo, la Città Metropolitana di Bari, la Scuola di Rutigliano che hanno collaborato con i Messeni e l’Associazione Culturale “Senza Piume”. Ci sono voluti mesi di lavoro con i ragazzi per costruire e allestire lo spettacolo. Quindi il lavoro è tanto ma con la sinergia di più istituzioni, si riesce più facilmente a costruire percorsi culturali.
Gli spettatori come si pongono di fronte a quest’attività teatrale, sono partecipi? Si emozionano? Offrono suggerimenti?
De Vanna - Abbiamo fatto sempre delle esperienze meravigliose. La Cooperativa C.R.I.S.I. con la collaborazione di “Senza Piume Teatro” con cui lavoriamo insieme da oltre vent’anni, ha sempre un folto pubblico che la segue e si emoziona molto. L’obiettivo è quello di manifestare tutta l’umanità possibile.
Giampietro - Vedendo la risposta che c’è oggi penso che gli spettatori siano curiosi e partecipi; dobbiamo fare sempre più eventi, più rappresentazioni, per trasformare il teatro in visione di mondi e ricchezze differenti. Come dicevo la risposta di oggi è decisamente importante e positiva.
Prima di darvi brevi notizie sullo spettacolo di ieri devo riferirvi che Vito Mancini, presidente territoriale dell’Unione Italiana Ciechi ed Ipovedenti, ha trascritto tutto il copione in braille: questo mi permette di ‘regalarvi’ una frase che circola abitualmente su tutti i palcoscenici in cui si cerca di fare teatro che vi riassumo: “L’amore è una forma di poesia, per cui esiste solo se vi è…AMORE”:
VISIONARI
Emozione alle stelle, spettacolo poetico e non solo perché è presente nella narrazione, illuminata in alto sulla scena, uno dei simboli poetici per antonomasia, la Luna, ma soprattutto perché poesia è tutto il racconto. La narratrice, con un quaderno sul grembo e la fioca luce di un antico abat-jour al lato, legge tastando con le sue delicate dita le lettere in rilievo della lingua braille. È seduta ad un angolo della scena, quasi in proscenio, mentre tutt’intorno fino in fondo al palcoscenico sono seduti, vedenti, non vedenti e diversamente abili. Tutti interpreti, pronti ciascuno a raccontare, a volte soli, a volte dialogando in due o in gruppi, varie storie di vita, della loro vita, del loro vissuto, dei loro amori. Qualcuno ha parlato delle partite di calcio viste allo stadio con i loro nonni e genitori o ascoltate alla radio, altri hanno parlato del loro lavoro e di tanto altro ancora. La narratrice li fa volare, li fa giungere sulla Luna, li invita ad aprire le menti e a ricordare, perché il ricordo “fa vedere” e non muore mai. Il ricordo è come un vestito trasparente che a volte fa vedere quel che è stato, a volte lo nasconde fra le pieghe, e quando lo ritrovi ricordi di essere stato dissetato come dissetata è sempre stata l’edera dalla rugiada. Ed è proprio sulla Luna che vanno tutti, c’è un maestro di musica non vedente che cerca la sua passione e la trova ad occhi chiusi, ascoltando i suoi alunni che, in proscenio, cantano felici, perché in quell’ora di supplenza di Musica, non studieranno Matematica. E il Maestro riesce a “vederli”, sente la musica attraverso il movimento dei loro gesti e dei loro corpi, perché gli alunni/attori rimangono muti, mentre il playbach di Marco Mengoni canta “E mentre il mondo cade a pezzi…”. Piange il Maestro, si commuove, emozione che raggiunge il pubblico che canta assieme, mentre gli alunni, pian piano, si dissolvono allontanandosi dal palcoscenico. Ed è la volta del tema delle stagioni: inverno ed estate, sì le stagioni anche sulla Luna. E in scena appaiono due gruppi di ragazzi che si dispongono abilmente – ne hanno fatto di prove! – uno di fronte all’altro perorando, ciascun gruppo, una di due stagioni. E così sulla Luna si parla del comfort del plaid di lana e della bellezza del rimanere in casa quando piove e fa freddo in inverno e, in contrapposizione, della movida e dei calzoncini corti e maglietta dell’estate. E così si è andati avanti nella recitazione affrontando i più difficili e controversi generi teatrali da quello della recitazione comico-drammatica a quella del monologo. Hanno così messo in luce il ridere e il sorridere, e a prediligere il gioco di parola alla giocosità della parola, ad esprimere il proprio stupore con l’interiorizzazione del sentimento piuttosto che con la esteriorizzazione, caratteristica della giovialità della risata. E quest’ultima non è mancata anche in più occasioni, ne ricordiamo solo una allorquando un altro attore, non più tanto giovane, calvo, andava alla ricerca dei capelli che ormai da tempo non aveva più in testa. Ci si è avviati così verso la fine dello spettacolo con i ragazzi che erano tutti scesi dalla Luna e tornati ai loro posti, mentre la narratrice con poche parole rammentava a tutti: “l’unica maniera per uscire dal buio è essere VISIONARI, ma per essere VISIONARI non è necessario cercare la luce ma essere luce!”
Applausi e standing ovation dal pubblico!
Si dice che il teatro per non vedenti e diversamente abili rappresenta la messa in scena dei propri vissuti all’interno di un gruppo, in quanto teatro/terapia. È d’accordo con questo assunto e perché?
De Vanna - Sono d’accordo e aggiungerei non solo per i non vedenti ma per tutti quanti si approcciano al teatro in quanto raccontano se stessi, esplorano e sentono se stessi e altri mondi paralleli che sono quelli delle relazioni. Giampietro - Anzitutto io penso che il teatro sia una forma d’arte speciale in quanto permette a tutti di poter vivere un’emozione tradotta in una maniera particolare, come quella di un’arte in movimento sia visiva che uditiva, perché le parole rendono tanto. Il teatro per i non vedenti è, quindi, sicuramente un’arte importante, ed è bene che i ragazzi la pratichino assieme alle persone che ci vedono. É simbolo di ciò che si può fare come forma d’arte per tutti.
Nel lavoro artistico, in che modo l’attore/interprete non vedente può rappresentare questa conoscenza e consapevolezza?
De Vanna - Siamo partiti dall’assunto che non ci sono persone diverse dalle altre, ma che ci sono persone tutte diverse tra loro, e quindi ciascuno di noi ha un’abilità in qualcosa e non le ha in altre. La possibilità di ricercare il modo di esprimere se stessi, a prescindere, è stato l’obiettivo di questo percorso per cui, chiunque, indipendentemente dal punto di partenza della propria identità specifica, riesce a trovare un modo per esprimersi, perché di modi ce ne sono tanti, quali la gestualità, il movimento del corpo, l’espressività, le emozioni.
Giampietro - Anzitutto io penso che il non vedente possa cercare dentro se stesso le parole migliori ed esprimerle; il non vedente che fa teatro, che parla, che esprime se stesso, riesce anche a fare un’indagine catarchica su se stesso e a restituire se stesso agli altri.
Con l’attività teatrale si sfruttano le potenzialità delle nuove tecnologie digitali e si promuove in questo modo il diritto alla partecipazione attiva del cittadino non vedente alla vita culturale del territorio?
De Vanna - E’ assolutamente così, anche se la tecnologia senza cuore non rende al massimo. Ciò che appartiene a questo spettacolo, che per il 99% è fatto in modo artigianale, nasce da un incontro tra ragazzi, tra pari adolescenti, che si sono messi in gioco. Per cui quello che la tecnologia oggi fa, è sottolineare i passaggi che aiutano ad abbattere le barriere.
Giampietro - Si, la risposta è si! Le tecnologie oggi ci permettono di utilizzare tanti strumenti rispetto ad un tempo, usufruendo così di applicazioni per i non vedenti e anche per gli altri tipi di disabilità.
Quali sono le fasi dell’allestimento di uno spettacolo teatrale dalla ideazione alla messa in scena? Quanto lavoro, disciplina, sacrificio c’è dietro una messa in scena?
De Vanna - Tantissimi! Ad onor del vero devo dire che questo spettacolo è una narrazione. Ciò che vuole rappresentare sono le fasi, anche quelle del laboratorio che abbiamo fatto per l’azione dell’emozione del ragazzo. E’ stata una costruzione originale, con un testo scritto dai ragazzi con l’aiuto di Rossana Pugliese e Alessandro Schino che hanno messo il testo in una forma unica, nel senso di dargli un corpo dall’inizio alla fine.
Giampietro - E beh, tantissimo lavoro, tant’è che devo ringraziare il Centro Messeni, Localzo, la Città Metropolitana di Bari, la Scuola di Rutigliano che hanno collaborato con i Messeni e l’Associazione Culturale “Senza Piume”. Ci sono voluti mesi di lavoro con i ragazzi per costruire e allestire lo spettacolo. Quindi il lavoro è tanto ma con la sinergia di più istituzioni, si riesce più facilmente a costruire percorsi culturali.
Gli spettatori come si pongono di fronte a quest’attività teatrale, sono partecipi? Si emozionano? Offrono suggerimenti?
De Vanna - Abbiamo fatto sempre delle esperienze meravigliose. La Cooperativa C.R.I.S.I. con la collaborazione di “Senza Piume Teatro” con cui lavoriamo insieme da oltre vent’anni, ha sempre un folto pubblico che la segue e si emoziona molto. L’obiettivo è quello di manifestare tutta l’umanità possibile.
Giampietro - Vedendo la risposta che c’è oggi penso che gli spettatori siano curiosi e partecipi; dobbiamo fare sempre più eventi, più rappresentazioni, per trasformare il teatro in visione di mondi e ricchezze differenti. Come dicevo la risposta di oggi è decisamente importante e positiva.
Prima di darvi brevi notizie sullo spettacolo di ieri devo riferirvi che Vito Mancini, presidente territoriale dell’Unione Italiana Ciechi ed Ipovedenti, ha trascritto tutto il copione in braille: questo mi permette di ‘regalarvi’ una frase che circola abitualmente su tutti i palcoscenici in cui si cerca di fare teatro che vi riassumo: “L’amore è una forma di poesia, per cui esiste solo se vi è…AMORE”:
VISIONARI
Emozione alle stelle, spettacolo poetico e non solo perché è presente nella narrazione, illuminata in alto sulla scena, uno dei simboli poetici per antonomasia, la Luna, ma soprattutto perché poesia è tutto il racconto. La narratrice, con un quaderno sul grembo e la fioca luce di un antico abat-jour al lato, legge tastando con le sue delicate dita le lettere in rilievo della lingua braille. È seduta ad un angolo della scena, quasi in proscenio, mentre tutt’intorno fino in fondo al palcoscenico sono seduti, vedenti, non vedenti e diversamente abili. Tutti interpreti, pronti ciascuno a raccontare, a volte soli, a volte dialogando in due o in gruppi, varie storie di vita, della loro vita, del loro vissuto, dei loro amori. Qualcuno ha parlato delle partite di calcio viste allo stadio con i loro nonni e genitori o ascoltate alla radio, altri hanno parlato del loro lavoro e di tanto altro ancora. La narratrice li fa volare, li fa giungere sulla Luna, li invita ad aprire le menti e a ricordare, perché il ricordo “fa vedere” e non muore mai. Il ricordo è come un vestito trasparente che a volte fa vedere quel che è stato, a volte lo nasconde fra le pieghe, e quando lo ritrovi ricordi di essere stato dissetato come dissetata è sempre stata l’edera dalla rugiada. Ed è proprio sulla Luna che vanno tutti, c’è un maestro di musica non vedente che cerca la sua passione e la trova ad occhi chiusi, ascoltando i suoi alunni che, in proscenio, cantano felici, perché in quell’ora di supplenza di Musica, non studieranno Matematica. E il Maestro riesce a “vederli”, sente la musica attraverso il movimento dei loro gesti e dei loro corpi, perché gli alunni/attori rimangono muti, mentre il playbach di Marco Mengoni canta “E mentre il mondo cade a pezzi…”. Piange il Maestro, si commuove, emozione che raggiunge il pubblico che canta assieme, mentre gli alunni, pian piano, si dissolvono allontanandosi dal palcoscenico. Ed è la volta del tema delle stagioni: inverno ed estate, sì le stagioni anche sulla Luna. E in scena appaiono due gruppi di ragazzi che si dispongono abilmente – ne hanno fatto di prove! – uno di fronte all’altro perorando, ciascun gruppo, una di due stagioni. E così sulla Luna si parla del comfort del plaid di lana e della bellezza del rimanere in casa quando piove e fa freddo in inverno e, in contrapposizione, della movida e dei calzoncini corti e maglietta dell’estate. E così si è andati avanti nella recitazione affrontando i più difficili e controversi generi teatrali da quello della recitazione comico-drammatica a quella del monologo. Hanno così messo in luce il ridere e il sorridere, e a prediligere il gioco di parola alla giocosità della parola, ad esprimere il proprio stupore con l’interiorizzazione del sentimento piuttosto che con la esteriorizzazione, caratteristica della giovialità della risata. E quest’ultima non è mancata anche in più occasioni, ne ricordiamo solo una allorquando un altro attore, non più tanto giovane, calvo, andava alla ricerca dei capelli che ormai da tempo non aveva più in testa. Ci si è avviati così verso la fine dello spettacolo con i ragazzi che erano tutti scesi dalla Luna e tornati ai loro posti, mentre la narratrice con poche parole rammentava a tutti: “l’unica maniera per uscire dal buio è essere VISIONARI, ma per essere VISIONARI non è necessario cercare la luce ma essere luce!”
Applausi e standing ovation dal pubblico!