La pastasciutta fredda di Nino Manfredi
FRANCESCO GRECO - “Ahò, nun sarai mica da Rai!”.
No, no, che Rai, collaboravo a una piccola tv
privata di provincia, lui era a Gallipoli per il
Premio Barocco e decidemmo di andare a
intervistarlo.
Vent’anni senza Nino Manfredi, attore e regista (“Per grazia ricevuta”, girato a San t’Oreste, delizioso paesino su una collina a nord di Roma, nella Sabina) che ci lasciava il 4 giugno del 2004.
Forse aveva presentato qualche progetto appunto alla Rai, che o non aveva ancora risposto, oppure lo aveva bocciato. Così l’attore romano stava facendo un suo personale “embargo”.
Manfredi stava cenando con la famiglia al ristorante di un albergo che dava direttamente sulla spiaggia. Era pomeriggio inoltrato, a quell’ora erano i soli a cenare.
Mi avvicinai e gli chiesi un’intervista. Alzò lo sguardo, mi scrutò e rispose: “Me stai simpatico, dove annamo?”.
Con l’operatore lo condussi a un salottino poco distante, divanetto e poltroncine basse. L’operatore fece il bianco. “Quando vuoi...”, disse. Parlammo del più e del meno, a un certo mi accorsi che si stava annoiando. Una sensazione quasi impercettibile. Da uomo di cinema, sapeva i meccanismi della tv: si girano 30 minuti, se ne montano 3.
Così lo ringraziai, mi alzai, ci stringemmo la mano e lo riaccompagnai al suo tavolo. I suoi non dissero nulla, né mostrarono particolari emozioni: forse ci erano abituati.
Tornai al salottino a raccogliere la mia agenda, l’operatore stava armeggiando con la telecamera. Si avviò all’uscita alle nostre spalle, dava alla reception e da lì sulla strada oltre la quale c’era una pineta.
Io invece andai verso la grande vetrata che dava sulla spiaggia. Per un istante pensai a quella di Tazio e di von Aschenbach in “Morte a Venezia”, di Thomas Mann.
Poi mi diressi anch’io all’uscita. Passai davanti al loro tavolo, lui alzò lo sguardo:
“La pasta s’è freddata...”, disse. Ma senza alcun tono di rimprovero, perché poi, forse temendo che mi angosciassi, aggiunse subito “...ma è bona lo stesso!”.
Sorrisi a tutti, ricambiato. Grande attore, grande uomo. Ciao Nino, ci manchi che non si può dire...
Vent’anni senza Nino Manfredi, attore e regista (“Per grazia ricevuta”, girato a San t’Oreste, delizioso paesino su una collina a nord di Roma, nella Sabina) che ci lasciava il 4 giugno del 2004.
Forse aveva presentato qualche progetto appunto alla Rai, che o non aveva ancora risposto, oppure lo aveva bocciato. Così l’attore romano stava facendo un suo personale “embargo”.
Manfredi stava cenando con la famiglia al ristorante di un albergo che dava direttamente sulla spiaggia. Era pomeriggio inoltrato, a quell’ora erano i soli a cenare.
Mi avvicinai e gli chiesi un’intervista. Alzò lo sguardo, mi scrutò e rispose: “Me stai simpatico, dove annamo?”.
Con l’operatore lo condussi a un salottino poco distante, divanetto e poltroncine basse. L’operatore fece il bianco. “Quando vuoi...”, disse. Parlammo del più e del meno, a un certo mi accorsi che si stava annoiando. Una sensazione quasi impercettibile. Da uomo di cinema, sapeva i meccanismi della tv: si girano 30 minuti, se ne montano 3.
Così lo ringraziai, mi alzai, ci stringemmo la mano e lo riaccompagnai al suo tavolo. I suoi non dissero nulla, né mostrarono particolari emozioni: forse ci erano abituati.
Tornai al salottino a raccogliere la mia agenda, l’operatore stava armeggiando con la telecamera. Si avviò all’uscita alle nostre spalle, dava alla reception e da lì sulla strada oltre la quale c’era una pineta.
Io invece andai verso la grande vetrata che dava sulla spiaggia. Per un istante pensai a quella di Tazio e di von Aschenbach in “Morte a Venezia”, di Thomas Mann.
Poi mi diressi anch’io all’uscita. Passai davanti al loro tavolo, lui alzò lo sguardo:
“La pasta s’è freddata...”, disse. Ma senza alcun tono di rimprovero, perché poi, forse temendo che mi angosciassi, aggiunse subito “...ma è bona lo stesso!”.
Sorrisi a tutti, ricambiato. Grande attore, grande uomo. Ciao Nino, ci manchi che non si può dire...
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Cultura e Spettacoli