BRINDISI - Nella giornata dedicata a San Giovanni, raccontiamo oggi la storia di Giovanni Massaro, un giovane vigile urbano di 35 anni morto a Torino nel 1980 a causa di un cancro.
Dal letto di casa sua, Giovanni, pur affrontando la sua malattia con coraggio, cercava sempre di diffondere pace e serenità a chi veniva a trovarlo. Era davvero un "Angelo" sulla terra.
Giovanni Massaro era nato a Venezia il 24 luglio del 1945 e morì a Torino il 17 luglio 1980. Era figlio di Salvatore Massaro di Giurdignano, finanziere della Guardia di Finanza che aveva prima preso servizio a Venezia e poi a Brindisi, e di Emilia Barbi. Giovanni aveva anche un fratello, Giuseppe Cosimo Damiano, e una sorella, Antonietta.
Il suo legame con la Puglia era comunque molto forte.
Nel leggere le notizie inerenti la vita di Giovanni Massaro, ci ha colpito una bellissima ed emozionante testimonianza del giornalista torinese, Gian Paolo Mina, che qui sotto riportiamo per intero, in modo tale da lasciare, ai nostri lettori, la vera testimonianza del giovane Giovanni Massaro, con la speranza che possa essere sempre più ricordato e, perché no, "Salire agli Onori degli Altari".
Minato dal cancro, un uomo ci spalanca orizzonti di speranza
Dice sereno: "Cristo ha sofferto per me, non posso rifiutarmi di soffrire con Lui"
Un vigile urbano: 34 anni con moglie e un bimbo di 5 anni. Uno dei tanti vigili urbani che vediamo lungo le strade della città. Forse uno di quei vigili che nelle ore di traffico, quando i semafori impazziscono, ha fatto le segnalazioni a me e a voi per cavarci fuori dall'intasamento. Forse può darsi mi abbia anche appioppato una multa per un parcheggio indebito. Ma uno di quei vigili che vogliono fare il loro servizio bene ed essere in grado di rispondere alle domande dei turisti che non sanno l'italiano. Perciò studia l'inglese, frequenta l'Istituto Britannico e a giorni avrebbe dovuto sostenere l'esame. Macché. Un neo nella regione sacrale lo costringe ad andare da un chirurgo. Sarà cosa da nulla. Così giovane, con l'esame da dare, il bimbo che cresce, certamente deve essere una cosa da nulla. Invece il responso è terribile: lasci stare l'esame, è più urgente sottoporsi ad un intervento subito. Il resto viene da se. Purtroppo quel resto doloroso che abbiamo sentito raccontare da tanti, nelle corsie dell'ospedale, da un amico, da un congiunto, da un collega. Cancro. Una prima operazione. Applicazioni. Cure. Due anni di tregua. Forse è stato solo un falso allarme. Il male è sconfitto, può riprendere il lavoro. La vita continua, invece due mesi fa, un altro intervento, altre cure. Poi la sentenza inesorabile, dopo la quale può anche rincasare perché la scienza non ha più nulla da dare o dire. Gli amici lo vanno a trovare. Ma non solo quelli. S'é sparsa voce di un malato che invece di essere consolato diffonde pace e serenità. Perciò viene gente a trovarlo che prima non lo conosceva, perché vuol vedere da vicino un uomo che non ha paura del dolore, che vive nel dolore è nell'attesa dell'irreparabile, ma che è tutto serenità e coraggio. La cosa è tanto stupefacente che un giornalista, andandolo a trovare, si porta un registratore: un'intervista nell'ambito di una ricerca della lotta contro il cancro. Un servizio prezioso. Ma si, sorride lui, per nulla infastidito, e racconta la sua storia preciso, calmo, distaccato.
Sa che non c'é più nulla da sperare? Certo che sa, ma proprio per questo è sereno: il suo rifugio, la sua salvezza - dichiara con semplicità - è Dio e perciò non teme nulla, neanche a questo nemico implacabile che è il cancro. "Cristo ha sofferto per me -dice - non posso non accettare di soffrire con Lui. Cristo crocifisso è il suo libro di meditazione; meglio un Amico vivo a cui parla nelle ore di spasimo: Signore, sai che da solo non ce la faccio, aiutami tu. Lui risponde, sostiene, fa tutto.
Quando un uomo apprende la sua condanna, cambia la visione della vita? "No risponde, ma la vita diventa più reale: ogni cosa viene vista nel suo valore effettivo, come il denaro, il potere, il sesso. Un valore transitorio destinato a finire, mentre scopri con gioia che c'è una sola realtà che non tramonta, Dio. Ma la croce da sola soggiunge, sarebbe terribile, se non ci fosse il Crocifisso; con Lui invece diventa una grazia.
E i sani? Per i sani che assistono impotenti al progredire del male, il dolore diventa un richiamo a scoprire anch'essi i grandi valori della vita.
La bobina scorre e nel silenzio ascolto la voce di questo fratello che non conosco e che dal suo letto fa la predica al mondo.
Forse non soffre in questo momento per parlare con tanta tranquillità?
"Sono tutto in metastasi, dalla testa ai piedi - dice -. "Qualche volta mi manca l'aria, qui dentro ma, poichè vengono in molti a trovarmi io sento che devo dare, dare. Dare che cosa? Nulla e tutto la testimonianza che la fede è quella vittoria che vince il mondo ed anche il dolore, il terrore della morte. Ma si schernisce: "non sono io a dare, io non ho nulla. E' Cristo dalla croce che da speranza, il coraggio di vivere e di morire. In quanto a lui è pronto in ogni momento, anche adesso, a chiudere gli occhi".
Il giornalista, trattiene il fiato sbalordito, obietta: ma lei non ha una moglie, un bambino? Si ha una moglie a cui vuole un bene immenso, un bambino che gli piacerebbe vedere crescere, accompagnarlo nella vita. Appassionato della natura, ha nostalgia delle passeggiate, delle soste presso il lago, il silenzio dei boschi dove lui si rifugiava per "ritrovare la sua interiorità" e ascoltare la voce di Dio.
Ma quei ricordi non lo rendono triste? "La natura mi ha sempre parlato e mi parla di risurrezione. A cominciare dal seme che muore per produrre frutto, dall'albero che lascia cadere le foglie in autunno per rinverdire a primavera. Non è bello ascoltare il linguaggio della risurrezione che Dio ha posto tutto intorno a noi?
Dopo un momento di silenzio continua: "Certo è la fede che ci fa capire questo linguaggio. E la fede è un dono. Un dono che in quanto a lui l'aiuta a comprendere chi il dono della fede non ha. Vorrebbe partecipare a tutti la sua fede. Per questo in ospedale è ancora lui che racconta, si faceva distributore di serenità, di coraggio spicciolo. Nella sua esperienza sportiva subacquea paragona adesso la fede a quella pietra che da fondo aiuta a risalire in superficie nei momenti di angoscia che lui pure ha sperimentato e che l'hanno reso sempre più comprensivo verso gli altri.
La bobina è finita e la lascio girare a vuoto. Per la strada altri vigili urbani in divisa vegliano sul traffico e sugli uomini. Nella stanzetta di un mini-alloggio al terzo piano, in uno dei tanti palazzoni anonimi di Torino, un uomo steso su un letto spalanca la sua finestra sugli orizzonti della speranza.
GIAN PAOLO MINA