Etica nello sport: intervento di Padre Damiano Bova

P. DAMIANO BOVA OP - Martedì 4 giugno 2024 sono stato invitato dall’Istituto di medicina dello sport per dire un pensiero sull’etica dello sport in occasione della ricorrenza della nascita dell’Associazione Nazionale Stelle, Palme e Collari d’oro al merito sportivo del Coni e del Comitato italiano paraolimpico (l’Ansmes) nata il 4 giugno 1986. Ho accettato riservandomi di trattare dell’etica nello sport, anche in concorso con i principi dell’Ansmes che sono lealtà, solidarietà e amicizia.

Molto spesso sì fa confusione tra etica e morale. L’etica 1 riguarda il comportamento dell’uomo per distinguere il bene dal male alla luce della ragione nel suo stato naturale, a livello universale, un principio di uguaglianza 2 nel campo dell’umanità, sulla cui base si fonda l’organizzazione internazionale dell’ONU. È una delle discipline dell’antropologia filosofica.

La morale, invece, 3 riguarda il comportamento umano secondo i principi dell’organizzazione a cui si appartiene regolato da uno statuto o da leggi particolari. Ci sono, pertanto, una morale cristiana, una morale islamica, un morale marxista, ecc. E c’è una morale sportiva come una morale militare che regolano il comportamento dei rispettivi organismi mediante norme che sono dette regole d’ingaggio.

La morale non esclude l’etica, ma si sovrappone. Il rispetto verso un altro essere umano è valido per chiunque e comunque, a cui si aggiunge il comportamento secondo il proprio organismo di appartenenza. Il calciatore che dopo aver fatto un gol esulta togliendosi la maglietta per affermare che è lui come uomo a fare quell’operazione, dal punta di vista etico non è punibile, ma è punibile per le regole sportive, per la morale sportiva.

Il vero sport è quello amatoriale dei dilettanti finalizzato anche a rendere più efficiente o almeno a conservare la sanità corporea che ha per effetto anche quella dell’interiorità. Il vero sportivo gioca per diporto, da cui deriva sport, per divertimento, per svago. Il filosofo inglese John Locke (1632-1704), padre dell’empirismo, prendendo a prestito alcuni principi dello scrittore latino Giovenale, applicò questi principi alla formazione del gentleman inglese teorizzata nella sua opera Pensieri sull’educazione. Egli assegnò grande importanza alla salute fisica e al benessere, espressa nella massima mens sana in corpore sano (mente sana in un corpo sano), elaborando un nuovo metodo formativo per l’educazione della gioventù. L’uso sportivo di questo principio ha originato un significato poi moderno nella locuzione attività sportiva propedeutica all’equilibrio psico-fisico divenuta il motto di numerose società sportive. In Giappone una società di abbigliamento sportivo coniò la variante con l’acronimo Asics (Anima Sana in Corpore Sano).

Alcuni scienziati hanno dimostrato che vi è una stretta correlazione tra le capacità motorie e le capacità di prestare attenzione e di memorizzare delle persone. Essi hanno dimostrato che una buona forma fisica è un fattore positivo per gli indici neuro-elettrici di attenzione e di memorizzazione. Gli studenti che esercitano una attività fisica sono più attenti durante le lezioni e producono un maggior rendimento accademico rispetto agli studenti sedentari.

Ma lo sport viene esercitato anche a livello professionale in cui, per qualsiasi tipo di sport, prima delle gambe o delle mani bisogna allenare il cervello. E in questo caso il principio di Locke che vale per lo sport amatoriale, deve essere capovolto: corpus sanum in mente sana. Nei paraolimpici è dimostrato che senza gambe si può giocare, ma non si può giocare senza testa. Un mio amico che dall’età di sette anni è stato costretto su una sedia a rotelle è diventato un valente professore universitario e sulla sedia a rotelle ha girato il mondo. È il cervello che esercita il comando sui piedi e sulle mani. Spesso si vede un allenatore che rivolto a un suo giocatore fa il gesto di puntare il dito alla testa per suggerirgli di usare la testa. Non so quali sono le direttive per l’allenamento degli atleti. Si vede che si fa leva, forse, sull’aspetto di preparazione fisica. Bisogna prepararli molto di più mentalmente per infondere la capacità di avere la visione globale nella competizione. È un addestramento più difficile di quello fisico. Ulisse non era il più forte degli eroi di Troia, ma faceva appello, più degli altri, al potere delle forze interiori che Dante esprime in due versetti: fatti non foste a vivere come bruti, ma per seguire virtute e canoscenza, cioè etica e cervello.

Il giocatore è chiamato ad improvvisare durante la competizione, ma può farlo se ha alle spalle un serio allenamento psico-fisico. Un grande predicatore francese che teneva i quaresimali a Notre Dame a Parigi, in visita a un seminario fu invitato dal direttore a dire due parole ai seminaristi. Egli disse che non poteva perché non si era preparato. Il Direttore gli disse che poteva anche improvvisare. Il predicatore gli rispose: è vero, io improvviso, ma quando mi sono preparato bene.

A questo punto emerge un'altra realtà che sovrintende a tutte le attività dell’uomo: la coscienza. Questa realtà invisibile, la cui presenza non sempre è ascoltata, regola il nostro comportamento etico. È lo scrigno delle motivazioni che spingono l’uomo all’azione propulsiva e positiva. Le motivazioni e il modo corretto di agire risiedono nel profondo della coscienza in cui Dio o la natura che dir si voglia, ha infuso il DNA, ciò che di divino è in noi per partecipazione, a cui bisogna, però, prestare ascolto.

Ma c’è un altro aspetto dell’influenza che la coscienza esercita sul comportamento umano: il rispetto dell’altro come fratello secondo la naturale concezione della fraternità universale. In forza della loro natura gli esseri umani conservano l’istinto della solidarietà, anche durante la naturale e costruttiva competizione, considerando l’altro non un nemico, ma un avversario. Tutto questo consente di mantenere un atteggiamento corretto nello sport competitivo sia con gli avversari che con il pubblico. Spesso sento dire dai cronisti che i giocatori devono dimostrare nell’impegno più cattiveria, intervenire anche a costo di far male all’avversario. È un incitamento alla violenza che ha cattivi riflessi anche negli spettatori.

L’etica regola il comportamento corretto dell’essere umano a 360 gradi che lo porta a considerare quello che Socrate definisce il senso del limite che è sinonimo di umiltà. Anche gli spettatori che vengono definiti sportivi durante le competizioni dovrebbero comportarsi secondo questi principi. Il tifo è una malattia mentale. Il tifoso vede l’avversario come nemico e il giocatore come un robot, non un uomo con i suoi limiti e i suoi problemi personali. Questa concezione porta il tifoso a essere violento e disumano. Solo facendo appello ai principi dell’etica si ha il rispetto dell’altro come si pretende di essere rispettati dagli altri.

Il senso etico, umano, ti invita a riflettere su un detto: quando sali le scale guarda in faccia colui che scende. Anche tu un giorno le scenderai a capo chino. Io mentre gioisco per la vittoria della mia squadra, ho un moto di tristezza per gli avversari che lasciano mogi, mogi lo stadio a capo chino e in silenzio.

L’etica riguarda il comportamento dell’uomo nella sua unità ambivalente fatta di interiorità e di esteriorità, secondo la concezione aristotelica. L’essere umano deve comportarsi più secondo i dettami di Socrate che l’atteggiamento di Prometeo scatenato. Gli sportivi dovrebbero aver ben presente di seguire uno sport, così detto, dal volto umano.

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