Il dialetto? Non sta affatto morendo!


VITTORIO POLITO
- Contrariamente a quanto scrive Michele Mirabella sulla “Gazzetta” del 7 luglio, il dialetto non sta affatto morendo, soprattutto quello barese, dal momento che proliferano le pubblicazioni sull’argomento e le numerose commedie dialettali che sono presentate nei teatri.

Solo per rimanere nell’ambito di Bari riporto i titoli di alcune pubblicazioni recenti che hanno trattato il dialetto barese: 

  • Roncone N. – “Vito Antonio Di Cagno, sindaco di Bari e poeta dialettale” edito dall’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano. Una pregevole pubblicazione, non destinata alla circolazione commerciale, dedicata all’illustre professionista barese in cui buona parte del testo è riservato al nostro dialetto ed ai grandi e numerosi poeti che hanno cantato Bari: da Francesco Saverio Abbrescia fino ai giorni nostri. Molte pagine di questo testo sono state dedicate ai detti sapienziali popolari baresi del nostro illustre primo cittadino di Bari.
  • Ventrella C. – Canti popolari, canzonette e folklore in Terra di Bari” (Garribba Editore). Il testo tratta molti argomenti: cenni sui canti popolari, musica e canto; cantastorie e saltimbanchi medievali; rivoluzione industriale e culturale; si parla dell’Accademia Polifonica Barese “Biagio Grimaldi”; della Piedigrotta Barese 1927,1928, 1929 e della nova edizione del 1946; della trasmissione “La Caravella”; di Francesco Saverio Abbrescia, primo poeta dialettale barese, di Piripicchio, insomma argomenti numerosi e variegati.
  • De Martino F. – Puglia Mitica (Levante Editore). Il dialetto barese non manca in questa importante opera (da collezione): sono ricordati infatti scrittori e poeti del calibro di Giovanni Panza (1916-1994) con “La Capasedde”, Domenico Triggiani (1929-2005) e Rosa Lettini Triggiani (1935-2024) con “Da Adàme ad Andriòtte” (Schena); Giuseppe Gioia (1937-2020) con “I Cantari mitologici”, ecc. Nella mitologia greca, il vaso di Pandora rappresenta il leggendario contenitore di tutti i mali che si riversarono nel mondo dopo la sua apertura: “La “Capasedde”, appunto, farsa quasi mitologica dell’edizione critica basata sulla copia d’autore, messa a disposizione da Emanuele Panza e curata da chi scrive in collaborazione con Rosa Lettini Triggiani e Giuseppe Gioia. Si parla del poema epico nel quale si susseguono personaggi mitologici come Saturno (u uattane), Giove o Cronos (u figghie), Pandora chiamata Eva (la uagnedde), Caino (Coline), Abele (Cilluzze), e tanti altri. Ma provate a immaginare gli interpreti di certe personalità parlare il nostro bel dialetto come, ad esempio, Eva che chiudendo la ‘capasedde’ si rivolge ad Adamo con questa frase: «Fa mbrime a cresce cà nù senze de te non petime cambà. Crisce figghie; e acquanne sì cresciute, tanne jisse pure tu da la capasedde e va sop’o munne. Fa accapì a l’emene ca de tutte le diaue ca stevene jind’a la capasedde, cudde ca conde chiù de tutte sì asselute tu: la speranza». (Fa presto a crescere che noi senza di te non possiamo vivere. Cresci figlio e quando sarai cresciuto, allora esci pure dalla “capasedde” e va sulla terra. Fa capire agli uomini che fra tutti i diavoli che stavano nella “capasedde”, quello che conta più di tutti sei solamente tu: la speranza).

Secondo Armando Perotti (1865-1924), «Chi predica la prossima sparizione dei dialetti, invocando il giorno felice, in cui tutti gli italiani parleranno, come insegna la Crusca (Accademia sorta a Firenze nel 1583 con lo scopo di vigilare sul buon uso della lingua italiana), è un illuso, per non dir peggio, chi crede alle generalizzazioni e non sa che la forza della vita sta nella individualizzazione». D’altro canto l’interesse e il desiderio di conoscere le origini e il significato dei nostri vocaboli dialettali induce a trattare l’argomento sempre più diffusamente da parte degli esperti.

Per non parlare delle numerose pubblicazioni in dialetto barese edite negli ultimi anni: “Cape o crosce?”, giochi illustrati, di Felice Alloggio; “San Nicola, il dialetto Barese e…” (di chi scrive), entrambi di Levante; Pinoòcchie (Pinocchio di Collodi), U Prengepine (Il Piccolo Principe di Saint-Exupéry) tradotti egregiamente da Vito Signorile (Gelsorosso editore); U Vangèle e U tèstamènde nève di Luigi Canonico (Stampa Pressup); “U Vangele alla manere de Marche veldate alla barese” di Augusto Carbonara (WIP Edizioni).

Non va trascurato il nuovissimo Dizionario barese/italiano e italiano/barese “Per non dimenticare” di Giuseppe Gioia, Gaetano Mele e Francesco Signorile (WIP Edizioni) che arricchiscono il panorama dialettale barese e apportano linfa vitale.

Infine ricordo il mio saggio “Professioni, Patroni, Preghiere e…” (WIP Edizioni), che si avvale della presentazione di Ada Campione, delle illustrazioni di Marialuisa Sabato e della traduzione delle preghiere in dialetto barese di Francesco Signorile.

Alla luce di quanto sopra è evidente che non vanno affatto verso la fine i dialetti, soprattutto quello barese, che vanta una grande produzione editoriale insieme a quelli di altre città della Puglia. A tal proposito mi piace annunciare che sono in corso di stampa due importanti testi “Aneddoti, ricordi e storie del mio paese – Peschici” di Angela Campanile e, un’altra chicca da non perdere, la pubblicazione di tutte le commedie in dialetto barese di Domenico Triggiani, un gigante della cultura dialettale barese e non solo. Pertanto, Michele Mirabella, prima di cantare il “De profundis” dei dialetti, si informi sulla produzione letteraria vernacolare, barese e pugliese.

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