Il Policlinico di Bari in prima linea contro la mielofibrosi


BARI – Si presenta in maniera subdola: febbre, stanchezza, debolezza, dolori ossei e addominali, perdita di peso, sudorazione notturna, prurito, che non hanno un’apparente giustificazione. La mielofibrosi è un tumore del sangue raro, ma particolarmente aggressivo, che in Puglia colpisce ogni anno circa 40 pazienti, a fronte di un’incidenza attualmente stimata in Italia di 600-700 nuove diagnosi all’anno. L’eta’ media è 65 anni, ma circa il 10% dei pazienti puo’ avere meno di 50 anni. Ad oggi il trapianto di midollo osseo allogenico è l'unica procedura che può portare alla guarigione, ma è indicata solo nel 10-15% dei pazienti ed è comunque un’opzione ad alto rischio di complicanze. In alcuni centri italiani, tra cui il reparto di Ematologia con Trapianto del Policlinico di Bari, diretto dal prof. Pellegrino Musto, Ordinario di Ematologia presso l’Universita’ “Aldo Moro”, è invece già disponibile una nuova cura, il momelotinib. Questo farmaco orale è un’alternativa valida quando non si può fare il trapianto ed è in grado di migliorare anche i due sintomi piu invalidanti: la splenomegalia (ingrossamento della milza) e l'anemia. Momelotinib, già autorizzato dall'Unione Europea, è in attesa di approvazione da parte dell'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA).

“Da alcuni mesi stiamo usando questo nuovo farmaco messo a disposizione gratuitamente dall’azienda produttrice in attesa dell’autorizzazione italiana alla commercializzazione – spiega il prof. Musto –. I trattamenti attualmente disponibili hanno un’efficacia non sempre adeguata e, in molti casi, la mielofibrosi continua ad avere un impatto devastante sulla qualità della vita, specialmente a causa della necessità di frequenti trasfusioni di sangue e per gli effetti dell'ingrossamento della milza”.

La mielofibrosi appartiene al gruppo delle neoplasie mieloproliferative croniche, che comprendono anche la policitemia vera e la trombocitemia essenziale. Nella mielofibrosi si verifica una graduale comparsa di tessuto fibroso nel midollo osseo, che ne modifica definitivamente la struttura, non consentendone più il corretto funzionamento emopoietico, ossia la normale produzione delle cellule del sangue. Questo è causa di anemia e molti pazienti diventano “trasfusioni-dipendenti”.

“Oltre all'anemia, tra i problemi principali del paziente con mielofibrosi c'è la splenomegalia, l'ingrossamento della milza, che è responsabile di una serie di disturbi, soprattutto gastrointestinali – aggiunge il prof. Musto -. La milza ingrossata, infatti, comprime gli organi vicini, in particolare stomaco e intestino. Il paziente avverte difficoltà nella digestione, sensazioni di pesantezza allo stomaco, fastidio a livello dell’addome e sazietà anche dopo aver mangiato poco. In alcuni casi, la milza è così ingrossata da occupare gran parte dell’addome, fino a comprimere i polmoni, causando tosse secca e dolore alla spalla sinistra, e i reni, con difficoltà a urinare”.

Nei casi più avanzati la malattia può rendere molto difficili attività normali, come camminare, salire le scale, ordinare la casa, fare la doccia e cucinare. Nel 20% dei casi i pazienti hanno necessità di trasfusioni e si devono recare all'ospedale con frequenze variabili da una volta al mese, fino ad arrivare anche a 2 volte a settimana, perché nel tempo si realizza una parziale refrattarietà alle trasfusioni e, soprattutto, la malattia progredisce. A livello clinico le trasfusioni possono causare un accumulo di ferro nel cuore, nei reni, nel fegato, che ne danneggia l’attivita’ e rende necessarie terapie aggiuntive con farmaci che legano il ferro e ne facilitano l’eliminazione per limitare il danno d’organo.

“I principali farmaci attualmente a disposizione, i cosiddetti Jak inibitori, riducono la splenomegalia e migliorano i sintomi sistemici, ma possono anche peggiorare l’anemia - sottolinea Musto -. Il momelotinib, che appartiene sempre alla classe dei Jak inibitori, ma con un meccanismo d’azione diverso, è stato specificamente approvato in Europa per il paziente con mielofibrosi e anemia. Questa molecola ha infatti dimostrato di migliorare non solo la splenomegalia, i sintomi costituzionali e le altre citopenia (come la riduzione delle piastrine), ma anche l'anemia. Il nuovo farmaco, infatti, oltre a inibire Jak1 e Jak2, notoriamente coinvolti nella malattia, punta anche a un altro target, Acvr1, attivo nella produzione dei globuli rossi. In questo modo momelotinib aumenta i livelli di emoglobina, riducendo il numero di trasfusioni e, di conseguenza, quello degli accessi in Ospedale, contribuendo in tal modo a limitare l’impatto sociale della malattia ”.

In attesa che l'AIFA dia la sua approvazione ufficiale, il momelotinib è codificato come “Aid” (Patient assistance programm) e quindi è a disposizione “per uso compassionevole” dei pazienti con mielofibrosi e dei clinici che ne fanno richiesta. “Attualmente nella nostra Regione sono stati trattati con momelotinib 10 pazienti sugli oltre 250 totali in Italia - conclude Musto -. La prossima approvazione del farmaco da parte dell'AIFA aumentera’ le chance di accesso al trattamento, riducendone i tempi di attesa”.