Prepararci all’età grande: per non eliminare la sofferenza eliminando il sofferente


FILIPPO MARIA BOSCIA
- Nella odierna contemporaneità la cosiddetta età grande è diventata un’emergenza sociale! E’ un’età delicata nella quale possono far capolino plurime patologie, è un’età nella quale più facilmente emergono patologie degenerative del sistema nervoso in stato avanzato, è un’età nella quale a volte sofferenze intollerabili, determinate da patologie irreversibili, si presentano con improvvisa gravità e nella quale la nozione soggettiva di dignità pone attenzione a quell’autodeterminazione terapeutica che può ingenerare decisioni di accettazione, ma anche di rifiuto dei trattamenti medici. 

Una seconda considerazione: La nostra contemporanea società opulenta, sempre più guidata dalle leggi economiche, spinge con sempre maggiore vigore, a sostenere sradicamenti ed emarginazioni, invocando la pietas, non quella caritatevole, ma la fredda determinazione orientata al ricollocamento in quelle residenze sanitarie assistite, che non sono residenze da re, ma residenze definite sanitarie, e che poco o nulla hanno di sanitario serio perché di fatto poco tolleranti, poco assistite, barbaramente istituzionalizzate.

In una realtà in rapido mutamento occorre riflettere molto, ma anche opportunamente agire se non vogliamo cascare nel marketing delle non autosufficienze e rimanere intrappolati in meccanismi economici spietati da supermercato che in linea generale impoveriscono tutti, moralmente, spiritualmente ed economicamente, ma che soprattutto relegano la vecchiaia e l’anzianità in quell’area grigia che viene, con termine aulico e ingannevole, indicata come quella delle ridotte abilitas o della non abilità o della non autosufficienza. La realtà ce la dobbiamo dire aspramente e senza infingimenti: stiamo promuovendo in sostanza nuove realtà di confinamento, di emarginazione e di solitudine.

Bisogna riconoscere che non solo in Italia, ma anche in Europa, abbiamo fallito: Dobbiamo riconoscere che la “care”, priorità assoluta nell’agenda politica Europea, ha lasciato il posto a nuovi paradigmi sociali, sicchè la visione economicistica del welfare state non ce la fa ad incontrare le multimorbilità, le politerapie, gli alti costi di badanza e di assistenza sanitaria che gravano sia sulla società che sui familiari. Come calendarizzare le turnazioni di vigilanza? A chi attribuire le spese? A chi spetta l’onere del restauro di queste persone diventate oggetti fastidiosi?

Siamo di fronte a mortificanti prospettive di cosificazione dell’anziano che, se preceduta da azioni di sradicamento, allontanamento, isolamento, internamento, direi deportazione forzata fuori dalla propria abitazione, causa di fatto la morte civile della persona. La legge quadro per la non autosufficienza, numero 33 del 23 Marzo 2023, entrata in vigore il 31 Marzo scorso, è una legge che delega al governo la delicata materia delle politiche in favore delle persone anziane”.

Spero abbia la funzione di risvegliare le coscienze e di non far cadere nel silenzio sforzi fortemente sostenuti anche dalla Pontificia Accademia per la Vita, presieduta da Mons. Paglia. I medici cattolici auspicano semplificazioni delle politiche per gli anziani e maggior coordinamento per la loro assistenza. In particolare dovrebbero essere arginate tutte quelle perverse violenze istituzionali e sociali che sono più inclini ad eliminare, piuttosto che a prendersi cura e che forse sono freddamente orientate a risolvere la sofferenza eliminando il sofferente.

Una società che non riesce ad accogliere i fragili, che non si prende cura degli anziani, anzi non li tollera proprio, è una società destinata ad esaurirsi… e quando si proclama a gran voce: “Largo ai giovani e rottamazione per i vecchi”, proprio ai giovani con franchezza vorrei parlare degli anziani da slegare, del diritto di invecchiare in casa propria, nella propria domiciliarità, nel proprio nido, nella propria casa, in quella casa che con generosa disponibilità ha accolto il dono dei figli, ora giovani adulti.

Ai giovani con franchezza vorrei parlare dell’”Anziano che sarai!” Non è uno slogan, è qualcosa di più, è qualcosa che propone alle giovani generazioni una nuova pedagogia di vita, ossia quella dell’accoglienza, dell’alleanza, della tolleranza, del rispetto reciproco, ossia l’esatto opposto dello scontro generazionale oggi proposto. A loro vorrei dire di garantire nell’animo e coerentemente nelle azioni l’ossequio massimo, soprattutto nelle età anagrafiche avanzate.

A loro vorrei dire che la vita sul finire non deve assolutamente essere vissuta nel secco dualismo emarginazione/abbandono o istituzionalizzazione/isolamento. Mi piace definire questa scommessa per il futuro con la parola affido, con la quale voglio indicare l’affidamento dell’anziano alla sensibilità e alla competenza massima di persone capaci di rinsaldare vincoli generazionali, vincoli di rapporto umano e di impegno competente.

Ai giovani vorrei rivolgere un invito: riflettete su “quell’anziano che sarai”, che non è una prospettiva remota, ma è una realtà incontro la quale tutti prima o poi andremo, una realtà nella quale, tra utopia e realtà, occorre prepararsi fin da giovani, culturalmente perché l’avventura di vita possa continuare a svolgersi, tra fiducia e reciprocità, con più affetto e meno dogmi.

Questa scommessa per il futuro, definita affido o affidamento dell’anziano ai giovani adulti, alla loro sensibilità, certamente potrebbe essere una positiva idea per trasformare trappole eutanasiche e mortifere in abbracci di vita. Per il benessere sociale di ogni paese, gli anziani sono risorse da fruire in una rinnovata alleanza fra generazioni.

Nell’alleanza possiamo trovare gaiezza, benessere sociale, convincendoci tutti che tutte le persone di età grande non devono mai essere rappresentate come inutilità sociale, ma come importante risorsa che va esaltata, difesa, riaffermata come autorevole e non negoziabile perché riferita ad importante snodo fra generazioni diverse, che devono esaltare le ragioni dell’incontro, piuttosto che guerreggiare inutili guerre con gli anziani e i meno abili. Smettiamola di spingere gli anziani a fare dichiarazioni di vita conclusa, smettiamola di spingerli ad azioni pro-eutanasiche giudicandoli inutili, socialmente ed economicamente, o ricalcando l’idea di uno spreco di risorse disponibili a fondo perso. Riconosciamo la loro accademia, il loro ingegno, la loro disponibilità come azioni utili e benefiche.

Credo sia giunto il momento di riaffermare a gran voce che le utopie possono generare forze produttive soprattutto se poi sono in grado, diventando realtà, di tracciare una strada che ci aiuti a rifondare il senso di casa, di famiglia, di cooperazione, solidarietà, di sussidiarietà e di cancellare tratti disumanizzanti e spersonalizzanti, che le dinamiche economiche, attente ai costi/benefici, hanno, con fredda determinazione e con grande cinismo, creato.

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