Recensione: lungo la scia luminosa di Betelgeuse

DELIO DE MARTINO - Betelgeuse nel respiro di Dio… la sinfonia del cuore. È il titolo dell’ultima silloge di Santa Fizzarotti Selvaggi (Gagliano Edizioni, 2024), un po’ oscuro per chi non è esperto di astronomia. Il titolo prende infatti il nome da una stella della costellazione di Orione particolarmente luminosa: è la decima più luminosa della volta celeste. La luce di questo luminosissimo astro è nello specifico quella che l’autrice scruta con uno sguardo poetico presso Creta, isola mitica, meta di un annuale viaggio estivo e fonte di ispirazione per la sua poesia, in particolare di quella mitologica. L’attrazione per questa stella è, come spiega la stessa poetessa nell’epilogo, in realtà ancora precedente e risale alla sua adolescenza quando, sognando di diventare una astrofisica, osservava la costellazione di Orione e Betelgeuse. Al tempo la madre le impedì di seguire quella via ma l’autrice ha continuato però a covare questo de-siderium (nel senso anche etimologico di “de-sidus”, “dalla stella”), avvertendo questa attrazione per gli astri più lontani e continuando ad osservarli anche grazie ad un telescopio che le fu regalato dalla stessa madre.

Da allora tra tutte le stelle del firmamento Santa Fizzarotti scelse Sirio e soprattutto Betelgeuse, una stella dalla luce rossa il cui ciclo vitale è piuttosto avanzato e che in un tempo relativamente breve si trasformerà in una supernova, ovvero una stella che nel momento della sua scomparsa diventerà ancora più luminosa lasciando dietro di sé una scia intensa nel buio dell’universo. Insomma una metafora della vita e dell’eredità poetica e creativa della poetessa e in genere dell’essere umano. Anche il nome della stella suggerisce un’identificazione tra la poetessa e Betelgeuse: il nome deriva dall’arabo Yad al-Jawzā, la mano del Gigante. La mano è quella di chi scrive versi ma il poeta risulta gigante come l’anelito verso l’assoluto poetico.

D’altronde la luce rossa di Betelgeuse già in gioventù richiamò alla mente dell’autrice la più grande poetessa di tutti i tempi, Saffo, e in particolare la celebre lirica Tramontata è la luna dove il calare della luce apre la porta ai turbamenti di Eros: “Tramontata è la luna / e le Pleiadi a mezzo della notte / anche giovinezza già dilegua, / e ora nel mio letto resto sola. / Scuote l'anima mia Eros, / come vento sul monte / che irrompe entro le querce; / e scioglie le membra e le agita, / dolce amara indomabile belva. / Ma a me non ape, non miele; e soffro e desidero”. Questi versi della poetessa di Lesbo (nella traduzione di Salvatore Quasimodo) si riaccendono di significato alla luce di Betelgeuse e in questa silloge si possono leggere anche come una dichiarazione di poetica dell’autrice che, scossa dal dio dell’amore, intraprende un percorso di ricerca personale nell’oscurità della notte guidata dalle luci degli astri.

Insomma Betelgeuse per la poetessa è una sorta di borgesiano Aleph, un punto splendente dal quale partire per aver accesso all’universo, punto di ingresso all’intero cosmo e, allo stesso tempo, anelito poetico, in una visione cosmica che abbraccia passato presente e futuro e ingloba tutti gli autori a lei più cari citati nel corso delle poesie e nell’apparato paratestuale. Illuminati dalla sua luce stellare sono anche i numerosi pre- testi: la Prefazione di Mons. Francesco Neri, sul rapporto tra arte, poesia e sacro, i testi di Mariano Bubbico sulla luce della stella e della preghiera della poetessa e quella di Francesco De Martino, sullo stile retorico delle liriche.

Il percorso di ricerca poetica, tripartito nell’opera come è usuale nelle sillogi della Fizzarotti, questa volta procede in direzione inversa, de-sidus appunto, dalle stelle verso la terra. Ogni sezione sta “nella luce”: la prima, dedicata agli angeli, “… nella luce degli angeli”, la seconda, dedicata al mare, “… nella luce del Mare” e la terza, dedicata a Betelgeuse, “…nella luce di Betelgeuse”.

D’altronde la prima citazione della prima sezione è tratta dal canto XXVIII del Paradiso dove Dante osserva una stella luminosissima intorno alla quale si snoda la struttura dei cerchi delle gerarchie angeliche spiegata da Beatrice. Un punto luminoso che getta luce sulla gerarchia degli angeli e che prelude a un’altra citazione sugli angeli di San Gregorio Magno sulla corporeità degli angeli confrontati con lo spirito sommo.

Nonostante la natura paradisiaca la sezione, introdotta dalla foto di un paio di gigli, inizia con una ricerca (“Ti ho cercato / Mio diletto / E lungo un sentiero / Nascosto del bosco / Tra rovi e more / Fragole e mirtilli / Ti ho sentito vicino, 1,1)” che ricorda la selva oscura ma anche la “navicella del mio ingegno” dell’incipit del Purgatorio. La luce di Betelgeuse è insomma una luce luminosa ma allo stesso tempo in parte oscura, una luce che porta a un’epifania di tipo saffico (“Poi sei apparso / Al suono della mia voce / Eri bello più di una pantera”). Quest’apparizione ricorda il celebre frammento dell’Ode della gelosia della poetessa di Lesbo “A me sembra beato come un dio / quell’uomo che seduto a te di fronte t’ascolta”. La luce di Betelgeuse si conferma dunque animata dallo spirito di Lesbo e termina in un leopardiano naufragio “Naufragare vorrei / E scoprire mondi nuovi”. Da questa prima lirica datata 1 agosto 2023 si snoda l’excursus poetico di Santa Fizzarotti sempre in un’atmosfera luminosa e crepuscolare ossimoricamente fuse, in linea con la luce rossa della sua stella. Insomma quasi un magrittiano “Impero delle luci”, con un’illuminazione impenetrabile, come quella dell’immagine di copertina, dove un tramonto rosseggiante si scontra con la sottrazione della luce delle nuvole sull’orizzonte del mare di Falassarna (Creta).

Quest’atmosfera siderale, luminosa ma insieme criptica e soffusa, si inserisce tra i versi, diventando quasi un topos a tratti disturbante, un controluce di senso che guida ma offusca. Ad esempio il volume procede con “Nella radura di grano / Immersa in un sogno/ Ho guardato il cielo / Limpido di sole / Poi diventato notturno” (1, 2) o “Nella strana nebbia / Del mattino” (1, 3).

Come fari di senso in questo percorso imperscrutabilmente luminoso le citazioni sono intessute tra i versi, secondo un modello ormai topico nella poesia di Fizzarotti, ma che in questa raccolta risultano in quantità inferiore rispetto ad altre opere.

Sono invece gli angeli le guide spirituali che popolano maggiormente le liriche della prima sezione ora invocati (1, 4: “E ora Angelo mio / Vieni ogni notte”), ora agognati (1, 6: “In sogno godere / Del volto del Cherubino / Dalle ali d’oro / Custode delle stelle”), ora interrogati (1, 8: “È vero che voi / Angeli della Speranza / Venite sulla Terra / Dipinti di colori Diversi?”), ora pregati, quasi supplicati (1, 25: “E Io Vi prego / Angeli della Misericordia / Illuminate / Ogni angolo del cuore”), fino all’incontro tra autrice e angelo (1, 83: “Nella radura delle stelle / Io ero con un Angelo”).

L’unica certezza è infine quella di “alleviare i mali fatali / con le parole (Ovidio)” (1, 29) anche con artifici retorici come le numerose anafore di alcuni versi, come ad esempio nei versi “A forma di farfalla / O Fiore / O rosa / O nastro / O Idea della mia mente libera” (31). La seconda sezione è invece dedicata al mare. La luce riflessa dalle stelle si rispecchia sulla superficie del mare in un movimento di rimbalzo verso il cielo.

Aperta da una fotografia intitolata Mare di luce e scattata ancora a Creta (San Paolo) questa sezione contiene liriche in cui si rarefanno gli appelli agli angeli in favore di preghiere più legate alla carnalità del Signore sceso sul globo terracqueo e fattosi carne. Il dolore di una “spina nelle carni”, il “sangue” (2, 7), il “fango” (2, 2), il “deserto” (2, 32), il “canto delle tortore” (2, 33) fino alle “Gocce di pioggia / Sulle rose del bosco” (2, 34) e al segreto della “rosa” più volte nominata e le alle gocce di rugiada che richiamano il volume Il segreto della rugiada. Ma anche animali come le “tortore” (2, 60) o i “piccoli grilli” (2, 62) popolano una sorta di giardino poetico delle fate e diventano metafore di una ricerca che si incarna come in una transustanziazione poetica. I suoni, i colori del mondo terreno però non bastano, tanto che la sezione termina con un richiamo al silenzio (2. 99: “Il silenzio / Parla alla mia anima / In silenzio”).

La terza sezione è dedicata alla luce di Betelgeuse ed è introdotta da un’astrofotografia (un genere di fotografia molto di moda oggi anche sui social) del cielo notturno di Kalimbari (sempre sull’isola di Creta) e da alcuni versi di Leopardi, modello intramontabile di osservazione e “interrogazione” astronomica con il suo Canto notturno di un pastore errante nell’Asia e di Confucio “Le stelle sono buchi nel cielo / da cui filtra la luce dell’infinito”) che richiamano la più nota poesia del poeta di Recanati.

Le liriche celebrano un nostos verso gli astri dopo la discesa sulla terra e sul mare, in cui non si affievolisce la tensione alla ricerca tesa a “cercare / Tra le nuvole / Il Tuo Volto” (3, 1) tra le stelle simbolo dei de-sideri dell’autrice (3, 2: “Ogni stella un desiderio / Nascosto nei remoti / Angoli della mia anima”). L’anima è un universo puntellato di stelle, anzi di “frecce di fuoco” e “polvere di stelle” (3, 2) e “luce lunare” (3, 4), sempre illuminato dalla luce di Betelgeuse osservata con un immaginario telescopio poetico dal “cielo di Creta” o dal suo orizzonte (3, 6). Ma questo cielo è sferzato sempre dal vento mutevole e mai quieto: l’anima della poetessa si trasforma in una “Vela nel vento” (3, 1) mentre persistono il “vento leggero” e la “brezza” (3, 4). Il vento non è l’unico elemento terreno in questo cosmo emotivo, in cui compaiono anche “palme nel cielo” o un “mare lunare” (3, 7) o “grilli” e “civette” (3, 8) o perfino il “canto del gallo” (3, 14).

Insomma questo cielo è un “caos / E dell’armonia delle tenebre / E della luce” in cui riaffiorano anche ricordi d’infanzia come “Canti e nenie / D’infanzia” (3, 10) e passioni molto terrene e in cui la ricerca trascende nell’appello al Signore.

In definitiva il cielo della poetessa è un cosmo ricchissimo di segni polverizzati tra cielo e terra da riconoscere e da interpretare con la poesia e la preghiera. Lo psicanalista, Giovanni Losito (“ora tra le stelle”) proprio all’opera di un grandissimo semiologo dedica la postilla conclusiva dell’ultima sezione. L’’opera citata da Losito è Frammenti di un discorso amoroso di Roland Barthes, un glossario di momenti di sentimentalità della letteratura occidentale da Platone a Goethe utilizzabile per collegare letteratura e psicanalisi.

L’ultima quartina della poetessa invita d’altronde a vivere la vita come un sogno a cavallo tra poesia, fede e dimensione psicologico-onirica: “Mio Signore / Delle schiere Angeliche / Per una volta invitale a rapirmi / Per essere con Te in un sogno” (3, 100).