BARI - “L’Italia dei paradossi produce un’altra pagina sul vaccino anti HPV (Papilloma virus). C’è Marcello Gemmato, sottosegretario di Stato alla salute (non agli spettacoli), che annuncia la decisione del Governo nazionale d’impugnare la legge regionale pugliese per incentivare la vaccinazione, così da prevenire molti tumori di origine sessuale, a cominciare da quello alla cervice uterina. Come dire, il centometrista che allo start si mette a correre all’indietro". Così il presidente della Commissione regionale Bilancio e programmazione Fabiano Amati, nonché promotore e primo firmatario della legge per l’aumento della copertura vaccinale anti-HPV.
"Stupisce - prosegue Amati - l’enfasi con cui il sottosegretario Gemmato ha fornito la notizia dell’imminente impugnativa, come se fosse una nota di merito e probabilmente per eccitare gli errori da prova scientifica del mondo no-vax. Il contegno governativo più equilibrato sarebbe stato, infatti, un suggerimento alla Regione Puglia per raggiungere con più efficacia e immediatezza l’obiettivo dell’ampia copertura vaccinale, piuttosto che uno sterile atteggiamento da giuria sul lavoro altrui, ridicolizzando un innovativo strumento giuridico come il dissenso-informato. Noi sappiamo che il problema della copertura vaccinale contro il Papilloma virus consiste essenzialmente nella capacità di far conoscere i benefici. E poiché si tratta di un vaccino la cui somministrazione è prioritariamente rivolta a bambini e ragazzi, qual è il luogo migliore per assicurare la capillarità informativa? La scuola, ovviamente, senza imporre nessun filtro d’iscrizione a scuola o all’università, ma solo l’obbligo d’informarsi sugli effetti della vaccinazione oppure il rifiuto espresso d’informarsi. Insomma, dissentire ma previa informazione. Che c’è di male nel fatto che proprio nella scuola si educhi al diritto di parola e scelta, previo diritto d’informazione e ascolto? E se questo sistema d’informazione attiene alla salute, a tutelarsi dai tumori, in cosa consiste lo spreco di qualche minuto per saperne di più? Ma al ministero della salute non la pensano evidentemente così. E siccome non producono alcuna strategia, magari più efficace di quella pugliese, danno la sensazione di preferire la disinformazione e le conseguenze patogene piuttosto che l’informazione e le conseguenze salutari. La legge pugliese - spiega - è invece di una semplicità disarmante. Prevede l’iscrizione ai percorsi d’istruzione previsti nella fascia di età 11-25 anni, compreso quello universitario, subordinandola, salvo formale rifiuto di chi esercita la responsabilità genitoriale oppure, dei soggetti interessati che hanno raggiunto la maggiore età, alla presentazione di documentazione - già in possesso degli interessati- in grado di certificare l’avvenuta vaccinazione anti-HPV, oppure un certificato rilasciato dai centri vaccinali delle Aziende sanitarie locali (ASL) di riferimento, attestante la somministrazione, l’avvio del programma di somministrazione oppure il rifiuto alla somministrazione del vaccino. Qualora gli esercenti la responsabilità genitoriale ne facciano formale richiesta, l’attestazione rilasciata dai centri vaccinali, può anche limitarsi al mero riferimento sull’avvenuto colloquio informativo in merito ai benefici della vaccinazione. E tutto questo con estrema garanzia di protezione dei dati sensibili, che a dire il vero equivale a un’abbondante ipocrisia perché già ora i sistemi informativi delle ASL sono in grado di elencare i vaccinati e i non vaccinati, oltre a fornire tutte le informazioni di screening o esami diagnostici erogati negli anni. Per cui anche l’argomento della privacy, trattato come lo zucchero a velo su ogni dolce, non trova alcuna violazione nella disposizione pugliese. È chiaro che la Regione Puglia si difenderà dinanzi alla Corte costituzionale per affermare il suo diritto a far vivere in buona salute i pugliesi, nella speranza che anche questa volta - magari con un monito - la stessa Corte possa suggerire al Governo nazionale di attivarsi in politiche di prevenzione valide sull’intero territorio nazionale, piuttosto che dilungarsi in un estenuante gioco giudiziario, fatto di tattiche che la storia delle malattie non riporterà mai nei suoi manuali se non come fatto di critica” conclude Amati.
"Stupisce - prosegue Amati - l’enfasi con cui il sottosegretario Gemmato ha fornito la notizia dell’imminente impugnativa, come se fosse una nota di merito e probabilmente per eccitare gli errori da prova scientifica del mondo no-vax. Il contegno governativo più equilibrato sarebbe stato, infatti, un suggerimento alla Regione Puglia per raggiungere con più efficacia e immediatezza l’obiettivo dell’ampia copertura vaccinale, piuttosto che uno sterile atteggiamento da giuria sul lavoro altrui, ridicolizzando un innovativo strumento giuridico come il dissenso-informato. Noi sappiamo che il problema della copertura vaccinale contro il Papilloma virus consiste essenzialmente nella capacità di far conoscere i benefici. E poiché si tratta di un vaccino la cui somministrazione è prioritariamente rivolta a bambini e ragazzi, qual è il luogo migliore per assicurare la capillarità informativa? La scuola, ovviamente, senza imporre nessun filtro d’iscrizione a scuola o all’università, ma solo l’obbligo d’informarsi sugli effetti della vaccinazione oppure il rifiuto espresso d’informarsi. Insomma, dissentire ma previa informazione. Che c’è di male nel fatto che proprio nella scuola si educhi al diritto di parola e scelta, previo diritto d’informazione e ascolto? E se questo sistema d’informazione attiene alla salute, a tutelarsi dai tumori, in cosa consiste lo spreco di qualche minuto per saperne di più? Ma al ministero della salute non la pensano evidentemente così. E siccome non producono alcuna strategia, magari più efficace di quella pugliese, danno la sensazione di preferire la disinformazione e le conseguenze patogene piuttosto che l’informazione e le conseguenze salutari. La legge pugliese - spiega - è invece di una semplicità disarmante. Prevede l’iscrizione ai percorsi d’istruzione previsti nella fascia di età 11-25 anni, compreso quello universitario, subordinandola, salvo formale rifiuto di chi esercita la responsabilità genitoriale oppure, dei soggetti interessati che hanno raggiunto la maggiore età, alla presentazione di documentazione - già in possesso degli interessati- in grado di certificare l’avvenuta vaccinazione anti-HPV, oppure un certificato rilasciato dai centri vaccinali delle Aziende sanitarie locali (ASL) di riferimento, attestante la somministrazione, l’avvio del programma di somministrazione oppure il rifiuto alla somministrazione del vaccino. Qualora gli esercenti la responsabilità genitoriale ne facciano formale richiesta, l’attestazione rilasciata dai centri vaccinali, può anche limitarsi al mero riferimento sull’avvenuto colloquio informativo in merito ai benefici della vaccinazione. E tutto questo con estrema garanzia di protezione dei dati sensibili, che a dire il vero equivale a un’abbondante ipocrisia perché già ora i sistemi informativi delle ASL sono in grado di elencare i vaccinati e i non vaccinati, oltre a fornire tutte le informazioni di screening o esami diagnostici erogati negli anni. Per cui anche l’argomento della privacy, trattato come lo zucchero a velo su ogni dolce, non trova alcuna violazione nella disposizione pugliese. È chiaro che la Regione Puglia si difenderà dinanzi alla Corte costituzionale per affermare il suo diritto a far vivere in buona salute i pugliesi, nella speranza che anche questa volta - magari con un monito - la stessa Corte possa suggerire al Governo nazionale di attivarsi in politiche di prevenzione valide sull’intero territorio nazionale, piuttosto che dilungarsi in un estenuante gioco giudiziario, fatto di tattiche che la storia delle malattie non riporterà mai nei suoi manuali se non come fatto di critica” conclude Amati.