A Bari per il pericolo rumore si fa poco o niente

VITTORIO POLITO – A Bari si fa poco o niente per i rumori molesti, anzi si fa un abuso incontrastato di clacson, motori e motorini, marmitte di auto, officine meccaniche, carrozzerie, fuochi pirotecnici abusivi, cantieri in funzione anche in ore non consentite e tanto altro.

Ma cosa è il rumore? Qualsiasi vibrazione capace di provocare al nostro orecchio una sensazione sgradevole, inaccettabile e/o molesta, è da considerarsi rumore. Infatti, vi sono anche vibrazioni in grado di allietare il nostro orecchio, come quelle della musica e, che solo se superano determinate intensità, come qualsiasi stimolo in grado di procurare un insulto acustico sia fisico che psichico, è da considerare rumore. Il rumore, infatti, rappresenta la nuova emergenza del nostro tempo, una vera minaccia per la nostra salute: toglie il sonno, danneggia il cuore, il sistema nervoso e causa riduzione della capacità uditiva (ipoacusia), ma si fa poco o nulla per evitarli o sopprimere quelli di capacità lesiva.

Il pericolo rumore affligge l’uomo da oltre 2500 anni, come testimoniano le ordinanze dell’antica Grecia. Anche Cicerone e Seneca ci fanno sapere che molti abitanti della Valle del Nilo avevano un udito ridotto a causa del gran frastuono prodotto dalle cascate del fiume. Solo nel XVI secolo si è iniziato in Italia a porre l’attenzione sulle possibili alterazioni uditive conseguenti alla esposizione ad attività rumorose.

Nel 1700, invece, si è scoperto un rapporto causale tra rumore e malattia. In Italia il problema viene preso in seria considerazione solo dal punto di vista scientifico e legislativo, mentre dal punto di vista della prevenzione e della repressione si fa poco o niente. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) prevede come limiti massimi, 65 decibel di giorno e 55 di notte. A Roma, invece, sono stati registrati intorno alle ore 9 valori medi di molto superiori, mentre le capitali del rumore sono considerate Torino, Genova, Milano, Bologna, Firenze, Roma, Napoli e Bari. Alcune “Relazioni sullo stato dell’ambiente”, pubblicate a cura del Ministero dell’Ambiente, ci danno un reale quadro della situazione. Nonostante disposizioni sanitarie, regolamenti di polizia urbana, ordinanze comunali, codice penale, codice della strada, il DPCM del 1° marzo 1991 e la legge 26 ottobre 1995, n. 447 (Legge quadro sull’inquinamento acustico), gli italiani risultano essere al primo posto tra i fracassoni europei. Basta scorrere l’elenco delle città italiane più popolose, diffuso dal Ministero dell’Ambiente, per constatare che in nessuna di esse i limiti previsti dalle attuali disposizioni sono osservati e fatti osservare.

È appena il caso di ricordare che, secondo Giovanni Rossi, audiologo di Torino, particolarmente esperto del pericolo rumore, il danno uditivo da trauma acustico cronico, come è appunto quello esistente nelle nostre città, non è suscettibile di alcuna terapia, mentre la predisposizione individuale a subire un danno uditivo da trauma acustico persistente non è uguale per tutti i soggetti esposti al rischio e che pertanto l’individuazione delle persone dotate di questa particolare suscettibilità, dovrebbe costituire un aspetto primario dell’opera di prevenzione che deve intendersi rivolta a tutti i soggetti esposti a rumori ambientali di intensità tale da superare il livello di rischio.

Secondo il prof. Antonio Arpini, audiologo di Milano, «Si tratta di livelli di rumore molto alti. È come vivere in casa con un’aspirapolvere perennemente acceso. Le conseguenze sono incapacità a rilassarsi, stress e depressione. Ma soprattutto fischi e ronzii che colpiscono il 12% degli italiani». Inoltre egli sostiene che: «Il problema non si risolverà fino a quando non si educheranno i giovani ad amare il silenzio. Facciamo capire ai ragazzi che la musica è bella se ascoltata a basso volume e che strombazzare in motorino in mezzo al traffico, danneggia prima di tutto i loro timpani». Giorgio Campolongo, docente di Acustica applicata al Politecnico di Torino, sostiene che «L’emergenza fracasso è iniziata nel dopoguerra, con l’aumento del traffico. La diffusione di radio, tv e stereo ha fatto il resto». Così oggi il silenzio, quando c’è, “lo si ascolta” solo fra le 3 e le 4 di notte.

Non va dimenticato che la stessa legge 447/95 impone a Comuni e Regioni di elaborare piani di risanamento acustico e di monitorare sistematicamente i livelli sonori presenti nelle città, ma numerosi Comuni si collocano tra quelli nei quali il rumore ambientale ha superato i limiti indicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, per cui è auspicabile che i nostri amministratori ed i tutori dell’ordine si attivino realmente per proteggere i nostri timpani dagli insulti sonori che non si fermano solo all’organo di senso dell’udito, ma raggiungono anche organi vitali del nostro corpo, quali il sistema nervoso centrale, il cuore, l’apparato gastroenterico e quello circolatorio.

Nelle grandi città italiane si superano di gran lunga i livelli previsti dalla normativa e nessuno si impegna concretamente a farli osservare. È utile ricordare ai responsabili delle pubbliche amministrazioni che i cittadini potrebbero farsi indennizzare da Comuni e Regioni i danni derivanti dal trauma acustico cronico, conseguente al rumore eccessivo delle nostre città e che affligge il nostro udito sia di giorno che di notte. Sarebbe proprio il caso di far abbassare il volume all’Italia.

Guido d’Arezzo (monaco benedettino e teorico della musica), a proposito della gradevolezza dei suoni, era del parere che «Non fa affatto meraviglia che l’udito prenda diletto da suoni diversi, dal momento che la vista si compiace della varietà dei colori, che l’olfatto gode della varietà degli odori e la lingua prende piacere dal variare dei sapori. In tal modo, infatti, attraverso le finestre del corpo, la dolcezza delle sensazioni piacevoli mirabilmente penetra nell’intimo del cuore».

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