I dialetti nel cinema, nella musica e in televisione

VITTORIO POLITO - I dialetti costituiscono un patrimonio linguistico che diffondono le diversità culturali, storiche e tradizionali delle regioni italiane. Nonostante l’italiano sia considerata la lingua ufficiale del paese, i dialetti regionali mantengono ancora oggi una forte presenza nelle conversazioni quotidiane. L’importanza del dialetto nella comunicazione, sta nel fatto che è vicinissimo alla vita quotidiana e rappresenta una diversità di radici storiche, di culture, di esperienze umane che non devono in nessun modo essere disattese. Il dialetto identifica fatti, luoghi, episodi, storia e tradizioni di un popolo. Insegnarlo ai nostri figli significa renderli eredi di una grande ricchezza che durerà nei secoli, contrariamente a quanto scrive Michele Mirabella che prevede il “decadere impietoso dei dialetti”.

Il cinema, ad esempio, si è interessato ai dialetti con la nascita della “commedia all’italiana” ma si formalizzò solo su alcuni personaggi come il milanese: ricco e arrivista; su quelli veneti e bergamaschi: inesperti e sprovveduti; su quelli campani e napoletani: truffatori e imbroglioni o, infine, su quello sardo: ostinato.

Secondo alcuni sondaggi il dialetto più rappresentato nel cinema italiano è il romanesco, seguito dal napoletano e il siciliano. Il napoletano, in particolare, ha conosciuto una grande affermazione negli ultimi anni grazie alle serie televisive “Gomorra” e “Mare Fuori”, mentre quelli del nord Italia risultano poco rappresentati, fatta eccezione del film di Ermanno Olmi “L’albero degli zoccoli” con i dialoghi nel dialetto bergamasco. Nella celebre pellicola neorealista di Roberto Rossellini, “Roma città aperta”, emerge la complessità linguistica e culturale della Roma occupata, con il dialetto romanesco al centro degli scambi tra i personaggi principali. Vittorio De Sica nel film “Ladri di biciclette” sottolineò la contrapposizione tra ricchi e poveri attraverso il “contrasto” linguistico tra italiano e dialetto romanesco.


Per la musica il discorso è un po’ diverso dal momento che la tradizione musicale italiana nel secondo dopoguerra è stata ricca, articolata e utilizzata da molti cantanti, dopo i divieti del fascismo sull’uso del dialetto. Oltre alla musica napoletana, oggi, tra le prime ad essere utilizzate nel nostro paese, se ne contano molte di più: dal “rap” al “reggae”, ecc. impiegando anche lingue locali quale rafforzamento delle proprie identità o come forme di rottura e di protesta. A tal proposito mi piace ricordare per gli amanti della baresità, del dialetto e della musica popolare barese, una recente novità editoriale di Cosimo Ventrella “Canti popolari, canzonette e folklore in Terra di Bari” (Garribba Alfredo Editore). Il testo tratta molti argomenti tra cui note sui canti popolari, musica, cantastorie e saltimbanchi medievali.

Per la televisione il discorso è più complesso per il rilevante incremento della presenza del dialetto che, secondo Gabriella Alfieri e Ilaria Bonomi, entrambe accademiche della “Crusca”, «questo incremento si inscrive in una ripresa del dialetto di ampia portata nella società italiana: a partire dagli anni Ottanta-Novanta del secolo scorso, il dialetto ha ritrovato spazi e funzioni in ambiti diversi, come strumento comunicativo, ma soprattutto espressivo, alternativo e aggiuntivo alla lingua italiana, ormai posseduta e usata dalla quasi totalità dei parlanti. In una realtà sociolinguistica di italofonia stabilizzata, il dialetto, prima ostracizzato come codice inferiore alla lingua, viene riabilitato e conquista nuovi ruoli e nuove funzioni nella società. Se la sua vitalità nell’uso comunicativo è ormai decisamente ridotta, e limitata, come si sa, ad alcune aree del paese (il Nord-Est, il Sud), una notevole rivitalizzazione del dialetto ha investito, in misura crescente, la letteratura (narrativa, poesia), il cinema, la televisione, la canzone, i fumetti, e la rete. Una neo-dialettalità a cui ha contribuito indubbiamente il gradimento da parte dei giovani, che ne fanno una componente importante del loro linguaggio, in funzione espressiva, emotiva e ludica (Maria Silvia Rati, “I giovani e l’italiano”, Firenze, Cesati, 2023), mostrando di apprezzare l’uso del dialetto particolarmente nella canzone, nella televisione e nel web. In alcuni di questi contesti un certo uso del dialetto era preesistente, ed è aumentato: nella poesia, nella narrativa e, in particolare, nel cinema e nella canzone, ambiti in cui la dialettalità si carica di funzioni nuove, come pure nella televisione.

Nel cinema, a un ricorso al dialetto funzionale soprattutto alla mimesi realistica e alla comicità, si è affiancato, se non decisamente sostituito, un uso del dialetto come marca di appartenenza a un gruppo, soprattutto di giovani (si pensi ai “trapper” napoletani) nella linea di una forte mescolanza di codici con valenze molto differenziate (Fabio Rossi, “Lingua italiana e cinema”, Nuova ed., Roma, Carocci, 2023). E il cinema, nella interconnessione tra i media dei nostri giorni, è strettamente legato alla “fiction” televisiva, che del dialetto fa un uso molto rilevante, in relazione a gruppi di giovani, in particolare nella realtà napoletana. La componente giovanile gioca certo un ruolo importante anche nella canzone, dove l’uso del dialetto napoletano è assurto alla ribalta della cronaca nell’ultimo festival di Sanremo, con le polemiche sul testo del brano di Geolier. Come hanno mostrato vari studi recenti, le funzioni del dialetto nella canzone si sono ampliate e diversificate rispetto al passato, nella duplice direzione di un uso ludico-espressivo e di un uso ideologico-simbolico, proprio soprattutto del “rap” e del “trap”, ampiamente rappresentati a Sanremo 2024. Polemiche hanno accompagnato il napoletano “modificato” di Geolier: ma, oltre all’ovvio rilievo che si tratta di un uso “libero” perché artistico, in cui le parole sono unite alla musica, va sottolineata la valenza ideologica di certi attacchi al cantante, in nome di un presunto napoletano autentico e superiore agli altri dialetti. Una cosa dunque è il dialetto come “lingua del cuore”, che, in quanto veicolo delle tradizioni locali e familiari, fermenta nella memoria e nell’animo di ciascun individuo, un’altra cosa è il dialetto come varietà subalterna a uno standard linguistico destinato a usi scientifici, istituzionali e rituali. Così, se ci si passa l’analogia, altro è il cuore come organo anatomico, oggetto di studio della medicina, altro è il cuore come sede dell’emotività e dell’affettività.»

Alla luce di quanto va sottolineato che i dialetti, barese compreso, non vanno affatto verso la fine, anzi. A tal proposito mi piace ricordare anche il film in dialetto barese di Alessandro Piva “La capa gira” e di annunciare che a breve sarà disponibile, il corposo testo di tutte le commedie in dialetto barese di Domenico Triggiani (1929-2005), personaggio cardine e gigante della cultura barese e non solo. Una chicca da non perdere!

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