‘Quando Berlusconi mi cacciò dalla Rai’
FRANCESCO GRECO - "Perché non vieni a trovarmi in redazione?", buttò lì un amico che in Rai aveva un ruolo apicale, di responsabilità.
E così, in un giorno di metà settimana di un piovoso autunno, fradicio come un pulcino, eccomi al cancello di Saxa Rubra, mi chiesero con chi avevo appuntamento, citofonarono e mi aprirono.
Percorsi i vialetti, attraversai Largo Willy De Luca e salii ai piani alti, dove ci sono le redazioni. Il mio amico mi diede subito un mazzo di giornali tipo ras-segna-stampa.
Il tempo si mise al bello e nei giorni che seguirono arrivai asciutto. C’erano monitor dappertutto. Vidi come si organizzava il lavoro. Era un continuo mandare troupe in giro.
Alcune giornaliste ricevevano lettere d’amore, ma anche molestie da parte di spettatori paranoici. Con le lettere in mano si arrabbiavano.
Una mattina il "capo" mi chiamò. Sulla sua faccia c’era una smorfia amara, che non mi piacque. C’era qualche brutta notizia. Infatti.
"Mi hanno demansionato... Al mio posto hanno messo uno di Forza Italia..."
"E quindi?"
"Non posso assumerti…"
"Che cosa serve?"
"Un numero di matricola… Dammi un numero di matricola…": era sincero, disperato.
Uscimmo in corridoio. Camminammo in silenzio.
"Dai, inventatelo questo numero, no, che ti costa?".
"Non posso, credimi… Magari!... Sai che ti voglio bene come a un fratello… ".
Incrociammo due colleghi:
"Hai visto quei due? Li ho assunti io… Si sono girati dall’altra parte, non mi hanno manco salutato… Se le cose tornano come prima, ti richiamo… Scusami, Frà!". Non ci stringemmo nemmeno la mano.
E’ ormai nei libri di Storia: arrivando a Palazzo Chigi, Berlusconi aveva detto: "In Rai non toccherò nemmeno una pianta!".
Pioveva anche il giorno che andai alla Stazione Termini. Sotto ai nostri ulivi secolari, avevo steso le tele. Pioggia e vento avevano buttato giù molto frutto. Riempii sacchi e cassette. Portai la prima raccolta al frantoio. La xylella era ancora lontana. Ma alla Rai era arrivata con largo anticipo...