Con Sani principi si può continuare a gridare: Forza Bari
LIVALCA - Era il 5 gennaio del 1964 e finalmente avrei potuto riammirare al magico,
non ancora novantenne, ‘Della Vittoria’ Bari-Milan con protagonisti i due idoli del
momento: Biagio Catalano e Gianni Rivera. L’ultimo incontro risaliva al Natale del
1960, terminato in parità, ma famoso per il fallo di Salvadore su Raul Conti, che
l’insigne avv. Aurelio Gironda definì da ‘codice penale’.
Il Bari nel campionato 1960-61 retrocedette in serie B, dopo aver effettuato degli spareggi con Lecco e Udinese. Nel 1961-62 vi fu la penalizzazione di 10 punti (poi ridotta a 6) per il caso Tagnin e il ritorno in A avvenne l’anno successivo grazie ai 17 gol di Biagio Catalano.
Io tifoso dei bianco-rossi per nascita e, per merito di Gianni Rivera, dei rosso-neri, mi ‘confesso’: da allora non ho ancora cambiato bandiera-parere (sono per il calcio giocato con armonia-grazia-perfezione-bellezza, tutte qualità che il Milan ha sempre messo in campo… forse con l’unica eccezione del 18° scudetto: quello firmato da Max Allegri come allenatore).
Avevo già visto altre partite del Bari – in quell’occasione schierato con Ghizzardi, Panara, Baccari, Visentin, Magnaghi, Buccione, Rossi (Giovanni Rossi uno dei tanti ‘Rossi’ che hanno giocato con noi: prese il Bari in A per lasciarlo in C), Catalano, Siciliano, Fernando, Cicogna) – mentre il Milan era quello di Cesare Maldini, Trebbi, Trapattoni, Altafini, Amarildo, Lodetti, Rivera e Dino Sani (in porta non vi era Ghezzi, portiere che ha giocato 7 anni con l’Inter e 6 con il Milan, ma Balzarini).
Sani era arrivato a Milano nel 1961 si racconta su una soffiata-intuizione di Gipo Viani – in realtà era stato Altafini a segnalarlo dal momento che avevano giocato insieme nella nazionale brasiliana campione del mondo nel 1958… quella in cui esplose la stella di Pelè – e non aveva impressionato favorevolmente, almeno per l’aspetto, l’allenatore del Milan Nereo Rocco. Va precisato che ‘El Pàron’, nominativo affibbiato affettuosamente a Rocco, era così contento di essersi liberato di Jimmy Greaves – giocatore inglese definito genio e sregolatezza che nel 1966 si laureò campione del mondo con la sua nazionale – che mandò subito in campo il brasiliano che tutti avrebbero soprannominato ‘il cervello’, per la sua notevole abilità di regista al servizio della squadra.
Il Milan vinse lo scudetto 1961-62 e nel maggio del 1963, prima squadra italiana, trionfò a Wembley in Coppa dei Campioni battendo per 2-1 il Benfica di Eusebio, con due gol di Altafini. Quindi a ottobre del 1963 a Milano incontrò la squadra brasiliana del Santos, quella di Pelè, per l’assegnazione del Trofeo Intercontinentale di calcio: la squadra di Carniglia, che aveva preso il posto di Rocco come allenatore, vinse 4-2 con doppietta di Amarildo e gol di Mora e Trapattoni, per il Santos doppietta di Pelè. Un mese dopo il 14 novembre incontro di ritorno a Rio de Janeiro: il Milan perde 4-2 dopo aver chiuso il primo tempo in vantaggio di 2-0, con gol di Mora e Altafini: per i brasiliani vi fu una doppietta non di Pelè, ma di Pepe… partita che le cronache dell’epoca definirono decisa da un ‘arbitraggio scandaloso’ (il portiere Ghezzi colpito duramente alla testa, rimase in campo eroicamente, nonostante una fasciatura intrisa di sangue, e prese un gol evitabile da integro, su una punizione inesistente; Amarildo e Rivera furono ‘picchiati’ senza ritegno al cospetto di un pubblico stimato in 110.000 tifosi brasiliani).
Due giorni dopo, sempre a Rio, vi fu la bella decisa da un rigore visto solo dal direttore di gara a favore dei brasiliani e con l’espulsione ingiusta di capitan Cesare Maldini: Santos 1 Milan 0 il risultato finale. Si narrò che l’arbitro argentino Brozzi nell’intervallo ricevette un cospicuo assegno dai brasiliani e che alcuni giocatori si drogarono… ATTENZIONE l’arbitro fu lo stesso per tutte e due le gare di Rio a distanza di 48 ore, evento già INSOSTENIBILE nella sua sostanza).
L’anno successivo, dopo lo ‘scippo’ subito dal Milan, sarà l’Inter di Herrera, sempre in tre partite, ad alzare la Coppa Intercontinentale – ad Avellaneda Independiente 1 Inter 0, a Milano Inter 2 Indipendiente 0, a Madrid, nella bella, vince l’Inter con un gol di Mariolino Corso nel secondo tempo supplementare – ma da amante del bel calcio devo ammettere che non furono tre incontri da tramandare ai posteri. Messo da parte questo volo pindarico, che tanto piace ai nostri inserzionisti, non posso non confermare che sia che si giochi con i piedi, con la ‘carrozza’o con i ‘Cavalli’ di razza, una partita di calcio rimane un incontro in cui le squadre si affrontano rispettando la bellezza e la poesia insita in quel ‘vezzeggiare’ il pallone: in sostanza deve rimanere il divertimento preferito dei veri tifosi ai quali non deve mai mancare la sensibilità, l’intelligenza e l’ironia che serve in ogni ‘sport’ della vita.
Torniamo a quel 5 gennaio 1964: il Milan vinse meritatamente per 2-0 con due reti di Dino Sani (con il Milan giocò una sessantina di partite, realizzando una dozzina di reti e, forse, quella fu la sua unica doppietta) che, a vederlo sul terreno di gioco, non era il prototipo dell’atleta: stempiato, esile, disposto a passeggiare più che correre dava l’impressione di un impiegato pronto per una partita amatoriale. Il suo primo gol non l’ho visto perché coperto da chi mi era seduto davanti alzatosi improvvisamente… però ricordo i commenti dei tifosi (traduco in italiano dal barese): Ghizzardi stava dormendo. Rammento perfettamente che il grande giornalista Mario Gismondi scrisse sulla Gazzetta del Mezzogiorno (all’epoca tutti compravano i giornali di carta, oggi solo alcuni ‘anta-anta’) che l’avrebbe parato anche lui, nonostante fosse su di peso, quel tiro. Il secondo gol fu invece una ‘fucilata’ da fuori area, che mi consente di precisare che il nostro portiere, tolto lo sciagurato errore, fu uno dei migliori in campo.
SANI DINO fu l’uomo ovunque del Milan che, invece di far correre i calciatori, faceva viaggiare il pallone con precisione estrema, unita ad una sublime-eccelsa visione di gioco, come il grande Suarez Luisito in quegli anni e il nostro Claudio Correnti – dal 1966 al 69 ‘faro’ del Bari con cui disputò quasi 100 partite, andato via perché ritenuto ‘anziano’, disputò ancora quasi 300 partite con il Como fino al 1978, squadra di cui era diventato capitano – per chi ama il Bari e possiede un considerevole numero di anni.
Ora vi devo confessare un curioso episodio che riguarda la partita Bari Milan del 5 gennaio 1964: lo storico del Bari Gianni Antonucci – un professionista che ha legato indissolubilmente il suo nome alla storia della società sportiva Bari e che, non solo i tifosi, ma anche i semplici affezionati dovrebbero ringraziare per le preziose e corpose pubblicazioni…ciao Gianni grazie sempre – quando realizzò, per i tipi dell’Uniongrafica di Vittorio Corcelli nel 1998, un voluminoso libro per i 90 anni dell’Associazione Sportiva Bari, inserì una foto in cui Biagio Catalano e Gianni Rivera si stringevano la mano. Fin qui nessun problema, ma la didascalia affermava i due capitani: nella mia memoria fotografica vi è Cesare Maldini con la fascia bianca al braccio e Biagio Catalano, in maglia bianca, con la fascia nera: Rivera non era ancora capitano. All’epoca telefonai a Gianni Antonucci per complimentarmi dell’enorme lavoro prodotto e feci riferimento a questa piccola ‘svista’: “ Per il prossimo lavoro ti farò vedere le bozze” la risposta. Dieci anni dopo Antonucci ha pubblicato per Adda un altro eccezionale volume – non possiedo più i libri per verificare… i lavori di Gianni spariscono e nessuno li riporta indietro… forse perché nel ‘rientro’ pesano di più – ma sono convinto che vi sia un’altra foto di Rivera e Catalano di quella partita con una didascalia che li celebra ancora… capitani (Se erro, scuse anticipate).
A proposito di errori vi svelo una lezione ricevuta dal Maestro di giornalismo Aurelio Papandrea, sulla cui testata sportiva ho fatto pratica da ragazzo (Beppe Lopez e Ennio Triggiani completavano il trio), noto per una filosofia di vita che faceva della calma una ‘roccaforte’ inespugnabile: avevo scritto del Tour de France del 1965, che un neoprofessionista di nome Felice Gimondi aveva vinto davanti all’eterno secondo del ciclismo francese Raymond Poulidor e a Gianni Motta che completava il podio. Non so perché sul giornale cartaceo risultò l’ottavo italiano a vincere il Tour, ma era errato perché Gimondi fu il quinto: Bottecchia, Bartali e Coppi avevano vinto due a testa e Gastone Nencini nel 1960 fu il quarto. Non vorrei sbagliare ma fu il grande Maestro Ignazio Schino a rilevare l’errore telefonando a Papandrea.
In seguito ammisi, con un nuovo scritto, l’errore dedicando un pezzo a Nencini, vincitore del Tour del 1960, e ricordando che al secondo posto giunse Graziano Battistini, mentre il fortissimo scalatore Imerio Massignan vinse il Gran Premio della Montagna. Per la mia memoria-statistica, ad oggi, solo i ciclisti Pantani e Nibali hanno vinto ancora un Tour: per cui siamo a quota sette atleti per 10 Tour de France.
Mi ero lamentato con Papandrea perché mi pareva che tutti mi dicessero hai sbagliato: il direttore, come lo chiamavamo tutti, mi disse: “Schino è stato un Amico, gli altri, che ti sono amici poco credibili, riferiscono il tuo errore, ma non dicono niente a te”.
Amico tifoso il Bari quest’anno, con il solito ritardo ormai marchio di ‘fabbrica’, ha allestito una buona squadra, guidata da un ottimo allenatore… la cui perfetta dialettica lo porta a procedere guardingo dopo l’esperienza dello scorso anno a Como.
Bisogna ammettere che i De Laurentiis, proprietari dell’azienda Filmauro (che possiede Napoli calcio e Bari calcio), almeno dal punto di vista organizzativo hanno dato una lodevole impronta manageriale al Bari.
L’anno dello scudetto del Napoli, se anche il Bari fosse andato in A, a quest’ora avremmo costruito un santuario dedicato ad Aurelio e Luigi De Laurentiis… evitiamo gli ECCESSI, appena il Bari di quest’anno sarà approdato nelle prime sei posizioni… torneremo sull’argomento.
Per ora godiamoci l’impegno che sta mettendo Nunzio Lella, il ragazzo nato nel 2000 a Santeramo in Colle, per riportare in A la sua squadra del cuore… ricordate in quella partita drammatica che ha ricondotto in A il Cagliari al San Nicola, lui, fu sostituito, sotto una fitta pioggia, da Mancosu…al gol di Pavoletti ho incrociato il suo sguardo: da professionista era contento, come è giusto fosse, da tifoso si ripromise di portare lui il Bari in A.
Il calvario patito la scorsa stagione con Mignani, Marino, Iachini e Giampaolo ormai è storia … siamo tutti in attesa di una nuova ‘storia’ pilotata da Moreno Longo da Grugliasco: allenatore che può tranquillamente ammettere che le eventuali lacune di organico sono state ‘turate’… senza dimenticare che in città ‘u Cìcce’ è sempre una focaccia in attesa di condimento… hai Capi(u)to…
Il Bari nel campionato 1960-61 retrocedette in serie B, dopo aver effettuato degli spareggi con Lecco e Udinese. Nel 1961-62 vi fu la penalizzazione di 10 punti (poi ridotta a 6) per il caso Tagnin e il ritorno in A avvenne l’anno successivo grazie ai 17 gol di Biagio Catalano.
Io tifoso dei bianco-rossi per nascita e, per merito di Gianni Rivera, dei rosso-neri, mi ‘confesso’: da allora non ho ancora cambiato bandiera-parere (sono per il calcio giocato con armonia-grazia-perfezione-bellezza, tutte qualità che il Milan ha sempre messo in campo… forse con l’unica eccezione del 18° scudetto: quello firmato da Max Allegri come allenatore).
Avevo già visto altre partite del Bari – in quell’occasione schierato con Ghizzardi, Panara, Baccari, Visentin, Magnaghi, Buccione, Rossi (Giovanni Rossi uno dei tanti ‘Rossi’ che hanno giocato con noi: prese il Bari in A per lasciarlo in C), Catalano, Siciliano, Fernando, Cicogna) – mentre il Milan era quello di Cesare Maldini, Trebbi, Trapattoni, Altafini, Amarildo, Lodetti, Rivera e Dino Sani (in porta non vi era Ghezzi, portiere che ha giocato 7 anni con l’Inter e 6 con il Milan, ma Balzarini).
Sani era arrivato a Milano nel 1961 si racconta su una soffiata-intuizione di Gipo Viani – in realtà era stato Altafini a segnalarlo dal momento che avevano giocato insieme nella nazionale brasiliana campione del mondo nel 1958… quella in cui esplose la stella di Pelè – e non aveva impressionato favorevolmente, almeno per l’aspetto, l’allenatore del Milan Nereo Rocco. Va precisato che ‘El Pàron’, nominativo affibbiato affettuosamente a Rocco, era così contento di essersi liberato di Jimmy Greaves – giocatore inglese definito genio e sregolatezza che nel 1966 si laureò campione del mondo con la sua nazionale – che mandò subito in campo il brasiliano che tutti avrebbero soprannominato ‘il cervello’, per la sua notevole abilità di regista al servizio della squadra.
Il Milan vinse lo scudetto 1961-62 e nel maggio del 1963, prima squadra italiana, trionfò a Wembley in Coppa dei Campioni battendo per 2-1 il Benfica di Eusebio, con due gol di Altafini. Quindi a ottobre del 1963 a Milano incontrò la squadra brasiliana del Santos, quella di Pelè, per l’assegnazione del Trofeo Intercontinentale di calcio: la squadra di Carniglia, che aveva preso il posto di Rocco come allenatore, vinse 4-2 con doppietta di Amarildo e gol di Mora e Trapattoni, per il Santos doppietta di Pelè. Un mese dopo il 14 novembre incontro di ritorno a Rio de Janeiro: il Milan perde 4-2 dopo aver chiuso il primo tempo in vantaggio di 2-0, con gol di Mora e Altafini: per i brasiliani vi fu una doppietta non di Pelè, ma di Pepe… partita che le cronache dell’epoca definirono decisa da un ‘arbitraggio scandaloso’ (il portiere Ghezzi colpito duramente alla testa, rimase in campo eroicamente, nonostante una fasciatura intrisa di sangue, e prese un gol evitabile da integro, su una punizione inesistente; Amarildo e Rivera furono ‘picchiati’ senza ritegno al cospetto di un pubblico stimato in 110.000 tifosi brasiliani).
Due giorni dopo, sempre a Rio, vi fu la bella decisa da un rigore visto solo dal direttore di gara a favore dei brasiliani e con l’espulsione ingiusta di capitan Cesare Maldini: Santos 1 Milan 0 il risultato finale. Si narrò che l’arbitro argentino Brozzi nell’intervallo ricevette un cospicuo assegno dai brasiliani e che alcuni giocatori si drogarono… ATTENZIONE l’arbitro fu lo stesso per tutte e due le gare di Rio a distanza di 48 ore, evento già INSOSTENIBILE nella sua sostanza).
L’anno successivo, dopo lo ‘scippo’ subito dal Milan, sarà l’Inter di Herrera, sempre in tre partite, ad alzare la Coppa Intercontinentale – ad Avellaneda Independiente 1 Inter 0, a Milano Inter 2 Indipendiente 0, a Madrid, nella bella, vince l’Inter con un gol di Mariolino Corso nel secondo tempo supplementare – ma da amante del bel calcio devo ammettere che non furono tre incontri da tramandare ai posteri. Messo da parte questo volo pindarico, che tanto piace ai nostri inserzionisti, non posso non confermare che sia che si giochi con i piedi, con la ‘carrozza’o con i ‘Cavalli’ di razza, una partita di calcio rimane un incontro in cui le squadre si affrontano rispettando la bellezza e la poesia insita in quel ‘vezzeggiare’ il pallone: in sostanza deve rimanere il divertimento preferito dei veri tifosi ai quali non deve mai mancare la sensibilità, l’intelligenza e l’ironia che serve in ogni ‘sport’ della vita.
Torniamo a quel 5 gennaio 1964: il Milan vinse meritatamente per 2-0 con due reti di Dino Sani (con il Milan giocò una sessantina di partite, realizzando una dozzina di reti e, forse, quella fu la sua unica doppietta) che, a vederlo sul terreno di gioco, non era il prototipo dell’atleta: stempiato, esile, disposto a passeggiare più che correre dava l’impressione di un impiegato pronto per una partita amatoriale. Il suo primo gol non l’ho visto perché coperto da chi mi era seduto davanti alzatosi improvvisamente… però ricordo i commenti dei tifosi (traduco in italiano dal barese): Ghizzardi stava dormendo. Rammento perfettamente che il grande giornalista Mario Gismondi scrisse sulla Gazzetta del Mezzogiorno (all’epoca tutti compravano i giornali di carta, oggi solo alcuni ‘anta-anta’) che l’avrebbe parato anche lui, nonostante fosse su di peso, quel tiro. Il secondo gol fu invece una ‘fucilata’ da fuori area, che mi consente di precisare che il nostro portiere, tolto lo sciagurato errore, fu uno dei migliori in campo.
SANI DINO fu l’uomo ovunque del Milan che, invece di far correre i calciatori, faceva viaggiare il pallone con precisione estrema, unita ad una sublime-eccelsa visione di gioco, come il grande Suarez Luisito in quegli anni e il nostro Claudio Correnti – dal 1966 al 69 ‘faro’ del Bari con cui disputò quasi 100 partite, andato via perché ritenuto ‘anziano’, disputò ancora quasi 300 partite con il Como fino al 1978, squadra di cui era diventato capitano – per chi ama il Bari e possiede un considerevole numero di anni.
Ora vi devo confessare un curioso episodio che riguarda la partita Bari Milan del 5 gennaio 1964: lo storico del Bari Gianni Antonucci – un professionista che ha legato indissolubilmente il suo nome alla storia della società sportiva Bari e che, non solo i tifosi, ma anche i semplici affezionati dovrebbero ringraziare per le preziose e corpose pubblicazioni…ciao Gianni grazie sempre – quando realizzò, per i tipi dell’Uniongrafica di Vittorio Corcelli nel 1998, un voluminoso libro per i 90 anni dell’Associazione Sportiva Bari, inserì una foto in cui Biagio Catalano e Gianni Rivera si stringevano la mano. Fin qui nessun problema, ma la didascalia affermava i due capitani: nella mia memoria fotografica vi è Cesare Maldini con la fascia bianca al braccio e Biagio Catalano, in maglia bianca, con la fascia nera: Rivera non era ancora capitano. All’epoca telefonai a Gianni Antonucci per complimentarmi dell’enorme lavoro prodotto e feci riferimento a questa piccola ‘svista’: “ Per il prossimo lavoro ti farò vedere le bozze” la risposta. Dieci anni dopo Antonucci ha pubblicato per Adda un altro eccezionale volume – non possiedo più i libri per verificare… i lavori di Gianni spariscono e nessuno li riporta indietro… forse perché nel ‘rientro’ pesano di più – ma sono convinto che vi sia un’altra foto di Rivera e Catalano di quella partita con una didascalia che li celebra ancora… capitani (Se erro, scuse anticipate).
A proposito di errori vi svelo una lezione ricevuta dal Maestro di giornalismo Aurelio Papandrea, sulla cui testata sportiva ho fatto pratica da ragazzo (Beppe Lopez e Ennio Triggiani completavano il trio), noto per una filosofia di vita che faceva della calma una ‘roccaforte’ inespugnabile: avevo scritto del Tour de France del 1965, che un neoprofessionista di nome Felice Gimondi aveva vinto davanti all’eterno secondo del ciclismo francese Raymond Poulidor e a Gianni Motta che completava il podio. Non so perché sul giornale cartaceo risultò l’ottavo italiano a vincere il Tour, ma era errato perché Gimondi fu il quinto: Bottecchia, Bartali e Coppi avevano vinto due a testa e Gastone Nencini nel 1960 fu il quarto. Non vorrei sbagliare ma fu il grande Maestro Ignazio Schino a rilevare l’errore telefonando a Papandrea.
In seguito ammisi, con un nuovo scritto, l’errore dedicando un pezzo a Nencini, vincitore del Tour del 1960, e ricordando che al secondo posto giunse Graziano Battistini, mentre il fortissimo scalatore Imerio Massignan vinse il Gran Premio della Montagna. Per la mia memoria-statistica, ad oggi, solo i ciclisti Pantani e Nibali hanno vinto ancora un Tour: per cui siamo a quota sette atleti per 10 Tour de France.
Mi ero lamentato con Papandrea perché mi pareva che tutti mi dicessero hai sbagliato: il direttore, come lo chiamavamo tutti, mi disse: “Schino è stato un Amico, gli altri, che ti sono amici poco credibili, riferiscono il tuo errore, ma non dicono niente a te”.
Amico tifoso il Bari quest’anno, con il solito ritardo ormai marchio di ‘fabbrica’, ha allestito una buona squadra, guidata da un ottimo allenatore… la cui perfetta dialettica lo porta a procedere guardingo dopo l’esperienza dello scorso anno a Como.
Bisogna ammettere che i De Laurentiis, proprietari dell’azienda Filmauro (che possiede Napoli calcio e Bari calcio), almeno dal punto di vista organizzativo hanno dato una lodevole impronta manageriale al Bari.
L’anno dello scudetto del Napoli, se anche il Bari fosse andato in A, a quest’ora avremmo costruito un santuario dedicato ad Aurelio e Luigi De Laurentiis… evitiamo gli ECCESSI, appena il Bari di quest’anno sarà approdato nelle prime sei posizioni… torneremo sull’argomento.
Per ora godiamoci l’impegno che sta mettendo Nunzio Lella, il ragazzo nato nel 2000 a Santeramo in Colle, per riportare in A la sua squadra del cuore… ricordate in quella partita drammatica che ha ricondotto in A il Cagliari al San Nicola, lui, fu sostituito, sotto una fitta pioggia, da Mancosu…al gol di Pavoletti ho incrociato il suo sguardo: da professionista era contento, come è giusto fosse, da tifoso si ripromise di portare lui il Bari in A.
Il calvario patito la scorsa stagione con Mignani, Marino, Iachini e Giampaolo ormai è storia … siamo tutti in attesa di una nuova ‘storia’ pilotata da Moreno Longo da Grugliasco: allenatore che può tranquillamente ammettere che le eventuali lacune di organico sono state ‘turate’… senza dimenticare che in città ‘u Cìcce’ è sempre una focaccia in attesa di condimento… hai Capi(u)to…