Regionali 2025, Capone o Mantovano for President

FRANCESCO GRECO - “Decaro ha avuto, nel Leccese, un consenso superiore alle aspettative…”.

Con un’intervista all’emittente Antenna Sud, la presidente del consiglio regionale Loredana Capone si è candidata a governatore della Regione Puglia: le elezioni sono previste per il giugno 2025.

In pratica ha rivendicato i suoi voti nel trascinamento di Decaro in Europa, gli ha rammentato di essere presidente di Commissione e fra e righe invitato alla serietà e al decoro istituzionale: non può pensare di lasciare Bruxelles dopo appena un anno, deve restarci per l’intera legislatura perché sarebbe eticamente e politicamente scorretto tentare di scappare a Bari: equivarrebbe a prendersi gioco di 500mila persone, usate come carne da urna elettorale per le proprie ambizioni.

La Capone ha usati toni soft nel tentativo di compattare il centrosinistra, il cosiddetto “campo largo”, i riottosi grillini in primis, moralisti un tanto al chilo, che dopo aver offerto, nel 2020, la manciata di voti mancanti alla Von der Leyen, appaiono patetici se non ridicoli e dovrebbero scendere dal pero del populismo di grana grossa.

Sull’altro fronte, scremate le candidature strumentali, terze e quarte fasce, i caporali alla Marcello Gemmato, Saverio Congedo e Francesco Paolo Sisto, si convergerà quasi certamente sul sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri Alfredo Mantovano.

Che, ovvio, non scalpita per l’attesa. Specie se avrà la delega lasciata da Raffaele Fitto mandato in Europa con la tattica del promuoveatur ut amoveatur, tradotta in cimitero degli elefanti.

Dopo due mandati di Vendola e due di Emiliano, prevarrà il principio dell’alternanza: tocca quindi a un salentino: la Capone e Mantovano sono leccesi.

La discriminante dovrebbe essere il programma, ma ormai è stati ridotto da politici e partiti a volgare accessorio, stante la declinazione personalistica assunta dalla politica da quando Berlusconi si presentò a difendere gli interessi personali in prima personali.

La chiamò “rivoluzione liberale” suscitando l’ilarità dei veri liberali (Montanelli in primis). Una “rivoluzione” che gli ha fruttato 7 miliardi di dollari e che del de cuius fece scrivere a Rino Formica: “Ora l’Italia è più povera e meno libera”.

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