Volontariato oggi: 'lievito madre' per 'una nuova stagione del dovere'

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SANTA FIZZAROTTI SELVAGGI -
“Questo Paese non si salverà, la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera, se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere“. (Aldo Moro)

Nel titolo di questa mia riflessione ho inteso ricordare l’affermazione del grande statista Aldo Moro, che ho avuto l’onore di conoscere essendo stato il più caro amico di mio padre Angelo, con il quale aveva fondato la FUCI a Bari e di cui ho ascoltato le riflessioni a casa quando spesso era ospite. Il grande statista, proprio per la sua statura morale, ha conosciuto l’efferatezza umana, e ricordando i suoi discorsi con mio padre ho associato tale suo assunto, se così si può dire, “all’idea di un Volontariato che oggi potrebbe essere il ‘lievito madre’ in grado di rigenerarsi continuamente e dar vita a una sempre nuova e più profonda consapevolezza dell’essere Volontario oggi in una società complessa, difficile, mercificata e mercificante, in cui purtroppo, per esempio, si definiscono ‘invisibili’ coloro che sono visibilissimi ai nostri occhi, ovvero coloro che definiamo clochard, barboni…”. Ed è questo il nuovo senso del dovere che dovrebbe scaturire da un volontariato, inteso quale dovere civico, nell’ottica di una «carità senza limiti», che fa sì che i gesti elemosinieri perdano di significato per cedere il passo a quella compartecipazione e condivisione del dolore e della sofferenza umana che ciascun uomo dovrebbe avere nei confronti dell’altro. In realtà, l’amore per il prossimo non può avere limiti, né conoscere frontiere e appartenenze, poiché ciò che conta, prima di qualsiasi altra considerazione, è il valore della persona umana come tale.

Ecco, mi piace a questo punto sottolineare che i valori delle “terre umanitarie” non sono valori astratti, ma si incarnano nei nostri gesti, nei nostri sguardi, nel nostro agire quotidiano, nella nostra vita. Non si può, credo, appartenere a un’associazione di volontariato senza aver fatto una scelta di vita che significa coerenza e testimonianza. Coloro che credono nella dimensione volontaristica possono essere davvero come il lievito per il pane e come l’acqua per il deserto di Giuda: un deserto terribile che fiorisce con poche gocce di pioggia. Siamo noi stessi, infatti, che possiamo trasformare un ambiente difficile in un ambiente facilitante e accogliente.

L’identità personale è la pietra fondante dell’identità sociale, ma i diritti degli individui vanno rispettati insieme ai diritti del gruppo sociale di appartenenza, se non si vogliono creare condizioni dolorose per tutti. È chiaro che il compito del volontariato oggi non è assolutamente semplice: si tratta, infatti, di operare innanzitutto all’interno di sé, riconoscendo con onestà le proprie motivazioni e osservando attentamente, liberi da pregiudizi, le nuove frontiere sociali, in una interrelazione costante verso dimensioni trasformative. Il rispetto dell’individuo non può prescindere dal rispetto per la collettività di appartenenza del singolo individuo; ma è solo nel linguaggio che noi tutti adoperiamo per comunicare che prendono forma i sentimenti e le speranze. È il linguaggio che, per alcuni aspetti, ci permette di conoscere noi stessi e il mondo. Imparare ad ascoltare prima se stessi, con le proprie motivazioni e desideri non sempre consoni alle varie realtà, permette di porre in essere il rispetto dell’altro e delle comunità, delle istituzioni e delle associazioni di appartenenza.

Non vi sono prescrizioni o ricette: ci si può però avvalere di un metodo trasformativo che può essere ravvisato nei seguenti passaggi: analizzare la propria motivazione e qualificare la propria formazione al servizio della comunità. La concretezza delle risposte risiede poi nella capacità di leggere all’interno dei vari bisogni e istanze provenienti da ambienti diversi.

Ed è per questo che conoscere (connaissance) significa nascere insieme all’altro, in un processo creativo, in un intreccio in cui l’uomo si ritrova a essere parte dell’Altro. In un dialogo fecondo è possibile riconoscere la propria “id-entità” attraverso l’altro e non già affermare la propria voglia di essere in modo individualistico. Di qui la necessità di considerare le modalità di proporre l’area di scambio dialogico, strutturando quelle condizioni per cui ciascuno di noi può sentirsi partecipe integralmente della storia del mondo. Ma per far sì che ciò accada, è necessario evitare il ricorso a forme di eccessivo narcisismo, che finiscono per determinare comportamenti aggressivi con eccessiva esposizione mediatica, seppur a volte posta in atto per sentire un proprio riscatto, quale difesa della propria esistenza. Difficile, allora, diventa riconoscere un “tu” (cfr. J. B. Pontalis). D’altra parte, l’esperienza del sentirsi a disagio è comune all’Io e all’Altro. Non si dimentichi che Memoria e Coscienza, nel tempo, si intrecciano e si confondono (cfr. M. Mancia). E il dolore, come la gioia, come il subire un dominio o una violenza, non si cancellano mai: lasciano sempre le loro tracce nella memoria.

Tutto ciò ci permette di andare oltre ed esperire un suggestivo viaggio conoscitivo, in grado di percepire se stessi come un insieme di segni, metafore, simboli in relazione con gli altri. È la relazione che cura sé e il mondo. P. Chantraine non a caso ha attribuito alla radice “leg” di “Logos” i significati di mettere/prendere insieme, del raccogliere, del radunare. Oggi, in un contesto che tende alla deprivazione della capacità di vera comunicazione nella verità delle cose, di pensare autonomamente, ci si trova ad affrontare il viaggio più arduo, la cui meta è la capacità di sentirsi unici e creativi, diversi tra simili, ma nel totale rispetto per l’Altro e per le comunità di appartenenza, in primis il mondo del volontariato. Oggi, con l’ausilio dei media e del mondo virtuale, si confonde più facilmente l’essere col potere, il soggetto con l’oggetto, per cui si tende ad affermare, come innanzi detto, il proprio narcisismo, congelando invero ogni sana emozione e sentimento buono, deprivando se stessi della capacità di sentire e di pensare insieme all’Altro creativamente il mondo.

Nel co-creare, nel far nascere, nel cercare le radici e la co-identità, è possibile confondere e fondere il Sé con l’Altro da Sé senza il terrore dell’annientamento del Sé e senza alcuna prevaricazione. Si ritrova parte dell’Altro.

La conoscenza, che può essere condivisa attraverso i processi trasformativi propri della creatività e del rispetto, attiva un sistema articolato in cui tutti operano all’interno della reciprocità e nel dialogo tra le identità di ciascuno. In tal senso, il volontariato quale “lievito madre” potrebbe dar luogo a una vera e sempre nuova stagione dei doveri.

Invero, la parola, i suoni, le immagini espongono il loro carattere di generatività, di apertura alla trasformazione all’interno della quale la generosità (cfr. Gutmann), propria dell’atto volontaristico, a sua volta si fa espressione della massima generatività di modelli e comportamenti: di una nuova coscienza. Nasce e si struttura una transarmonia in grado di percepire nuove e suggestive melodie.

Coscienza quale conoscenza di sé attraverso l’Altro, all’interno di una foresta di metafore e simboli, intrecci tra le varie molteplici identità che in noi comunque dimorano, sedimentate nella memoria genetica, implicita, nelle tracce mnestiche. Tra “me e not-me”, come dicono gli psicoanalisti britannici, tra identità e alterità prendono corpo luoghi transizionali (cfr. D. W. Winnicott) all’interno dei quali i conflitti possono essere affrontati senza la radicalizzazione dei sentimenti, senza quelle ferite non più rimarginabili.

Ferite che, però, possono essere lenite nella loro seppur bruciante realtà all’interno delle terre di quei valori umanitari secondo i quali tutti possono avere diritto di cittadinanza, conoscere e riconoscersi all’interno della sospensione del giudizio e del pregiudizio, nella solidarietà asimmetrica tra estranei, e dunque nella possibilità di provare insieme a costruire il mondo: a ri-creare il mondo!

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