FRANCESCO GRECO - Le nostre mamme e nonne li cuocevano rigorosamente al fuoco. Nella “pignata” (recipiente di terracotta), con una più piccola per l’acqua calda accanto. Una volta cotti, i piselli emanavano un odore dolcissimo ed erano consumati conditi con olio d’oliva, cipolla cruda oppure peperoni fritti. E vino nero, ovviamente. Tutto a km zero.
Memorie di un tempo andato, quando i legumi erano coltivati dalle famiglie e venduti nelle botteghe alimentari, dove li tenevano nei cassetti, li riempivano con la “sèssala”.
Se, come dice Lao-Tzu, “l’infinitamente lontano è il ritorno, corsi e ricorsi, anche in nome di una biodiversità diffusa, si torna al passato e i legumi ricompaiono sulle tavole delle famiglie.
E addirittura l’artista pugliese Giuseppe Castellano ha appena realizzato un monumento al “pisello nano” di Zollino (Lecce), in pietra leccese. Un legume caratteristico dell’intera area geografica della Grecìa Salentina, in particolar modo appunto di Zollino (e dintorni). Ed è anche presidio Slow Food, oltre che de.co (denominazione comunale), ancor più espressione quindi del territorio e della sua storia.
Perché “nano”? Perché la pianta è piccola, sui trenta centimetri. Il microclima favorevole dota il pisello di una predisposizione naturale alla cottura (mamme e nonne dicevano come “unguento”), il particolare sapore, le proprietà organolettiche.
Ora ci si attende la stessa “attenzione” per la valorizzazione di altri legumi tornati dal passato per sorprenderci, fra cui il pisello secco di Vitigliano, la cicerchia di Uggiano la Chiesa, la lenticchia di Soleto, varie specie di ceci (fra cui quello nero) in agro di Nardò, di fave, fagioli, etc. sparsi da secoli nelle generose terre di Puglia.