Nel cuore di Chagall… Ricciotto Canudo e le sette arti

ph_Francesco Tribuzio

"Con te io sono giovane
Quando laggiù gli alberi minacciano
E il cielo svanisce in lontananza
I tuoi occhi mi toccano."
(da Chagall, Nuove poesie d’amore, Crocetti Editore, 2000)

SANTA FIZZAROTTI SELVAGGI - Con gratitudine al Comune di Conversano rappresentato dall’avv. Giuseppe Lovascio, all’Associazione culturale “Incontri” presieduta da Giancarlo Liuzzi, ad Angela Campanella, storico e nota intellettuale, a Gianfranco Liuzzi, al regista Giuseppe Alberto Aversa e a tutti coloro che hanno contribuito a un evento speciale nella sala delle conferenze del Castello di Conversano dal titolo “Nel cuore di Chagall… Ricciotto Canudo e le sette arti.”

Marc Chagall è stato un pittore russo che ha vissuto in Francia (Lëzna, 1887 – Saint-Paul-de-Vence, 1985): di origine ebraica, Moishe Segal il suo nome in ebraico e Mark Zacharovič Šagal in russo, è tra i più famosi e forse più amati artisti del Ventesimo secolo.
Come si sa, fu costretto ad abbandonare la sua patria: ma egli, a causa della sua religione ebraica e della sua indipendenza e libertà di pensiero, era ben consapevole del suo destino.

La mostra “Sogno d’amore”, con oltre 100 opere, racconta la vita e il lavoro artistico di Marc Chagall. La rassegna, allestita nel Polo Museale del Castello Conti Acquaviva d’Aragona di Conversano, è stata promossa e sostenuta dal Comune di Conversano Città d’Arte e Museco – Musei in Conversano, con la produzione e organizzazione di Arthemisia. L’esposizione è stata curata da Dolores Duràn Ucàr; per il nostro Paese è stata affidata a Francesca Villanti.
Conversano ha sempre facilitato l’emergere di discorsi culturali estremamente pregnanti e io ne sono testimone sin dal 1978.
E così, casualmente, come accadde per le tele di Paolo Finoglio da me rivisitate per prima in un’ottica nuova, in un giorno della scorsa estate, mentre ero a colloquio insieme ad Angela Campanella e a Giancarlo Liuzzi, con il sindaco di Conversano, avv. Giuseppe Lovascio, per progetti culturali futuri, ebbi modo di conoscere l’ingegnere Giandonato Disanto, pronipote di Ricciotto Canudo. Giandonato Disanto entrò nella stanza del sindaco tenendo tra le mani l’immagine di un quadro di Chagall dedicato invero ad Apollinaire, ma che in basso a sinistra, guardando l’opera, si può notare un cuore ferito da una freccia circondato da quattro nomi, tra i quali si legge il nome di Canudo. Il numero quattro, secondo alcuni studiosi, rappresenta sia la Terra che i quattro cardini dell’universo. E d’altra parte, Canudo si occupò a Roma di Teosofia.

Davvero, forse, nulla accade per caso, come se un “fil rouge” guidasse gli incontri, gli eventi, gli amori. Ricordai subito di aver scritto un testo su Canudo, di cui si sono occupati illustri scrittori, in seguito a una lettera la cui copia mi pervenne tramite un erede, diretto discendente del noto ingegnere Mauro Amoruso, degli inizi del Ventesimo secolo. Una lettera di Vincenzo Canudo, il cui contenuto ci riporta all’atmosfera di un’epoca in cui la nostra terra era feconda di spiriti liberi e innovativi come quello di Ricciotto Canudo, in memoria del quale fu scritta la lettera. Figlio di Puglia, Canudo era nato a Gioia del Colle nel 1877, dove visse fino al 1901 prima di respirare l’aria un po’ bohémien di Parigi, dove ebbe modo appunto di incontrare, tra gli altri, Apollinaire, Chagall... In questa lettera si avverte tutto l’afflato doloroso perché il nome di Ricciotto non divenisse preda dell’oblio, ma piuttosto della memoria. Un oblio che nella nostra bella città e nella nostra straordinaria regione sembra essere familiare.
Di Ricciotto Canudo hanno scritto in tanti e dunque non tocca a me parlarne, ma ancora sembra che, come ebbi già ad affermare, non si percepisca appieno la sua grandezza, che lo induceva a sostenere che il cinema, di cui è stato pioniere, era la “Settima Arte” e dunque sintesi delle arti. Certamente era a conoscenza delle sette arti tradizionalmente riconosciute e cioè: architettura, musica, pittura, scultura, poesia, danza, recitazione (comprensiva questa di cinema e teatro). Ora tra le arti sono state aggiunte la fotografia e il fumetto. Abbiamo esempi anche nella storia delle Muse che, da essere, secondo Pausania, in origine tre – Aede (canto o voce), Melete (pratica o occasione), Mneme (memoria), generate da Zeus e Mnemosine, diventarono nove (Clio, Talia, Erato, Euterpe, Polimnia, Calliope, Tersicore, Urania e Melpomene), giacendo Zeus sempre con Mnemosine per nove notti. E Saffo di Mitilene fu ritenuta la decima Musa, considerata tale da Platone.
Come si può osservare, tutto muta nella storia umana. Ma ciò che non cambia è l’assoluto bisogno dell’essere umano di tendere all’eternità con la consolazione appunto delle Arti, delle Muse, guidate da Apollo, il dio della musica, delle arti mediche, delle scienze, dell'intelletto e della profezia. Arte che diviene terapeutica per gli affanni degli uomini.

Non a caso Canudo fondò il “Club des Amis du Septième Art”: egli, infatti, era ben consapevole che il cinema non era solo un’invenzione tecnologica, ma qualcosa di più. Arte e artificio. Vale a dire la fusione di vari linguaggi, espressione della creatività umana che l’azione cinematografica ben riusciva a rappresentare nella sua interezza. E in realtà forse era andato oltre l’analisi della plasticità e poietica cinematografica, perché, a ben riflettere, il cinema ha creato i miti contemporanei che, quanto meno nel Ventesimo secolo, hanno dato esistenza a nuove icone, a modelli di identificazione, non sempre positivi, a un modo di intendere la bellezza.

La frequentazione di Canudo con Apollinaire e Chagall, come con altri artisti, fu intensa. Un’amicizia unita dal “cuore” e da un unico ideale. Ecco, nel cuore di Chagall c’erano i suoi amici, una sorta di nuovo radicamento dopo aver perso la sua patria di origine essendo un esule ebreo.

E quest’opera, una tela quasi quadrata (200 x 189,5 cm, 1912) dal titolo Omaggio ad Apollinaire, sembra un punto di snodo tra la ricerca cubista di cui non era convinto e il surrealismo: Chagall sognava come tutti noi, ma nel suo sogno c’erano i letterati, i poeti, la poesia. D’altra parte, è sufficiente ricordare quel Ut pictura poësis, formulato da Quinto Orazio Flacco, che significa "Come nella pittura così nella poesia", oppure il pensiero di Simonide di Ceo, ripreso poi da Leonardo da Vinci, quando afferma che “la pittura è poesia muta e la poesia è pittura che parla”. Il che significa che "la poesia è come un quadro" o "un quadro è come una poesia".

Chagall ebbe un'istruzione primaria ebraica tradizionale – secondo la Torah, il Talmud, con lo studio dell'antica lingua ebraica. Mai abbandonò i testi sacri pur dedicandosi alla pittura, alle immagini, nonostante tutto ciò fosse vietato dalla Torah.

In quest’opera si intuisce facilmente come Chagall fosse affascinato dal Genesi. Adamo ed Eva appaiono al centro della scena, composta secondo una visione matematica dello spazio.
Sappiamo tutti del suo amore assoluto per la moglie Bella Rosenfeld, con la quale immaginava di volare libero nel cielo, sempre indissolubilmente legati. “Adamo ed Eva” in questa opera rimandano al mito degli Androgini di Platone, ma soprattutto rappresentano, secondo la mia ottica, la sua profonda unione con l’amore della sua vita. Un amore che lo completava, ricordando quanto nel Genesi si legge: “Dio li creò maschio e femmina”, per completarsi in un tutto in cui l’Uno è specchio dell’Altro.

Chagall è conosciuto come il pittore del sogno, degli scenari onirici e fantasiosi, apparentemente pervasi di serenità e leggerezza. “La vita è un sogno”, scrive William Shakespeare. E la pittura è la messa in scena dei sogni (cfr. M. Milner), del mondo onirico sognato sin dal grembo materno che ci segna con un “imprinting” arcaico e ineludibile. Sono, invero, i sogni dell’origine che popolano le tele di Chagall: il mondo dell’infanzia, i desideri, la narrazione della fiaba della vita, le illusioni, le speranze. Di qui l’eclettismo sottostante: cubismo, fauves, surrealismo, lo spiritualismo…
L’incontro nel 1951 con Valentina Brodsky (detta Vavà), sua nuova musa ispiratrice dopo la perdita della moglie, gli infuse nuova ispirazione, conducendolo nel mondo dell’arte classica greca.

Giulio Carlo Argan scrive che Chagall procede sempre nella sua “fabula” scomponendo figure, case, cielo, secondo piani geometrici, “creando una sorta di prospettiva arbitraria, uno spazio impossibile in cui diventa normale vedere la mucca sul tetto o la donna che cammina nell’aria.” Ecco, la contemporaneità di Chagall determina, sempre per Argan (che certo non è l’ultimo parvenue della storia dell’arte), in chi guarda il miracolo del sogno all’interno di un pensiero lirico.
In lui abitano diverse anime: l’anima dalla radice ebraica, l’anima biblica, l’anima francese degli impressionisti, l’anima del cubismo analitico, l’anima futurista. Ma soprattutto in lui vive e respira il rigore insieme alla visionarietà creativa della poesia: plasmare le forme del mondo, per cui nell’opera dedicata ad Apollinaire incontriamo il suo cuore circondato dagli amici a lui cari. Invero, incontriamo il sentimento più autentico dell’essere umano: l’Amore agapico.

Quell’Amore che oggi sembra aver cambiato dimora, cedendo il posto al mercimonio, al consumo di sesso e violenza sempre più greve, alle guerre che radicalizzano i sentimenti per adorare il dio Quattrino… Questa mostra e quest’opera particolare di Chagall, invece, ci invitano a sognare e ancora a credere nell’intreccio libero e fecondo, nella pienezza del rispetto, tra il maschile e il femminile, tra gli esseri umani tutti, nella nascita di un mondo nuovo, di una coscienza tesa verso tutto ciò che si definisce come bene, nella nascita di un Uomo Nuovo.

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