FRANCESCO LOIACONO - “Considerando che molto probabilmente entro i prossimi cinque anni ci farà saltare tutti in aria, la bomba atomica non ha suscitato così tante discussioni come ci saremmo aspettato”, (“Tribune” del 19 ottobre 1945).
George Orwell fu un profeta (“1984”, “La fattoria degli animali”), ma l’umanità ci ha messo del suo invaghita delle sue tragedie: ciclicamente le ripropone e le rivive.
Lo scrittore inglese si è anzi trasfigurato in un archetipo: quello del visionario capace di uno sguardo intorno e soprattutto nel cuore dell’uomo.
Così nascono i suoi famosi ossimori, dettati dalla distopia, facendo violenza alla filologia e al senso comune: la guerra diventa pace, la menzogna verità , il male è il bene, la morte vita, etc. Intuizioni attuali: oggi non siamo forse immersi nelle stesse allucinazioni? E dire che morì giovane (1903-1950).
“Noi e la bomba atomica” (Saggi e articoli), Piano B Edizioni, Prato 2024, pp. 112, euro 13, collana, “La mala parte”, è una rilettura del pensiero di Orwell che ahimè non conosce relativismi di sorta. Cambiano i protagonisti, ma lo scenario è immutato: l’Occidente minaccia la Russia, Mosca adegua la dottrina nucleare.
Si tratta, nello specifico, di una ricognizione e recupero degli scritti di Orwell su riviste del suo tempo con un comune denominatore: il rischio nucleare e la narrazione tesa a depotenziare la minaccia. E’ la prova, l’ennesima, che la Storia non ha alcuna scansione pedagogica. Per cui la locuzione “Mai più!” è pura retorica, populismo.
Orwell chiama altri grandi a supportare le sue tesi, estrapolando dalle loro opere: come fa con quelle di Jonathan Swift (1667-1745), rapportandole al suo tempo.
C’è anche il racconto su come Sua Maestà trattava, nell’altro secolo, gli operai licenziati, ridotti al rango di barboni, vestiti di stracci, costretti a dormire in luoghi angusti e umidi, sul pavimento, per una sola notte, a vagabondare da un angolo all’altro della Gran Bretagna e del Galles, a cui era impedito persino di chiedere l’elemosina (era reato). Altro che i cappelli della Regina con cui Antonio Caprarica ci ha annoiati per decenni.
George Orwell fu un profeta (“1984”, “La fattoria degli animali”), ma l’umanità ci ha messo del suo invaghita delle sue tragedie: ciclicamente le ripropone e le rivive.
Lo scrittore inglese si è anzi trasfigurato in un archetipo: quello del visionario capace di uno sguardo intorno e soprattutto nel cuore dell’uomo.
Così nascono i suoi famosi ossimori, dettati dalla distopia, facendo violenza alla filologia e al senso comune: la guerra diventa pace, la menzogna verità , il male è il bene, la morte vita, etc. Intuizioni attuali: oggi non siamo forse immersi nelle stesse allucinazioni? E dire che morì giovane (1903-1950).
“Noi e la bomba atomica” (Saggi e articoli), Piano B Edizioni, Prato 2024, pp. 112, euro 13, collana, “La mala parte”, è una rilettura del pensiero di Orwell che ahimè non conosce relativismi di sorta. Cambiano i protagonisti, ma lo scenario è immutato: l’Occidente minaccia la Russia, Mosca adegua la dottrina nucleare.
Si tratta, nello specifico, di una ricognizione e recupero degli scritti di Orwell su riviste del suo tempo con un comune denominatore: il rischio nucleare e la narrazione tesa a depotenziare la minaccia. E’ la prova, l’ennesima, che la Storia non ha alcuna scansione pedagogica. Per cui la locuzione “Mai più!” è pura retorica, populismo.
Orwell chiama altri grandi a supportare le sue tesi, estrapolando dalle loro opere: come fa con quelle di Jonathan Swift (1667-1745), rapportandole al suo tempo.
C’è anche il racconto su come Sua Maestà trattava, nell’altro secolo, gli operai licenziati, ridotti al rango di barboni, vestiti di stracci, costretti a dormire in luoghi angusti e umidi, sul pavimento, per una sola notte, a vagabondare da un angolo all’altro della Gran Bretagna e del Galles, a cui era impedito persino di chiedere l’elemosina (era reato). Altro che i cappelli della Regina con cui Antonio Caprarica ci ha annoiati per decenni.