BARI - “La ripartenza dell’Altoforno 1 (Afo1), annunciata come celebrazione dal Governo con i Commissari straordinari di Acciaierie d’Italia, rappresenta di fatto una chiara violazione dei precetti statuiti nella sentenza della Corte Europa, tra l’altro in assenza della autorizzazione integrata ambientale (Aia)”. Così l’assessora all’Ambiente della Regione Puglia, Serena Triggiani, commentando la notizia dell’annunciata ripresa del forno a carbon coke alla presenza del ministro Urso e Acciaierie di Italia, il prossimo 15 ottobre.
“La rinascita di un polo industriale così importante – prosegue - è certamente una visione comune ma va attuata secondo il piano che sosteniamo da tempo e che prevede, in primis, il processo di decarbonizzazione dell’acciaio, richiesto da Europa e contenuto nei piani programmatici regionali (si pensi al PEAR), soprattutto non a discapito della salute dei cittadini e dell’ambiente di un territorio già fortemente ferito e violato.
Non possiamo, pertanto, restare in silenzio facendo passare il messaggio secondo cui l’accensione dell’altoforno rappresenti meramente ‘un passo per la ripartenza’, come dichiarato. Infatti, resta irrisolta la questione cruciale di coniugare il modello di produzione con la salute di lavoratori e dei cittadini e con la salubrità dell’ambiente.
Siamo ancora in attesa di un progetto industriale discusso e condiviso, magari a mezzo di un Accordo di Programma, che anche gestisca la transizione, più volte auspicato e che stabilisca le reali tappe del processo industriale di decarbonizzazione, ovvero della conversione graduale degli altiforni ad una alimentazione riveniente da fonte energetica nettamente alternativa al carbone, dunque rinnovabile, come peraltro a più riprese invocato dal nostro presidente Emiliano.
Temiamo, invece, che questo imminente evento, annunciato in pompa magna, sia un ulteriore passo indietro e contrario al processo di decarbonizzazione, conservando piuttosto inalterata l’area a caldo basata esclusivamente sull’alimentazione a carbone. Sarebbe un guaio e, soprattutto, un venire meno, da parte del Governo, al patto stretto con i cittadini di Taranto, con le lavoratrici e i lavoratori, con le loro famiglie e con tutta la nostra Regione.
Ricordiamo che la salute e la salubrità dell’ambiente sono diritti umani fondamentali e imprescindibili che Taranto e la Regione invocano da troppo tempo e senza dei quali non vi può essere una ripartenza sostenibile.
Chiediamo piuttosto un diritto al futuro per 1.500 lavoratori ancora dipendenti e in Cassa integrazione a zero ore, in attesa, dopo tanti anni, di una giusta e sana ricollocazione in un ambiente lavorativo salubre.
Insomma, non slogan di inquinanti e dannose ripartenze ma salute e diritti per Taranto e, come assessora con delega anche alle Crisi industriali, insieme alla task force Occupazione della Regione, auspichiamo ancora soluzioni definitive e sostenibili per i lavoratori e per il futuro di una città, Taranto, che sta pagando da troppo tempo la totale mancanza di molteplici diritti della persona umana”.
“La rinascita di un polo industriale così importante – prosegue - è certamente una visione comune ma va attuata secondo il piano che sosteniamo da tempo e che prevede, in primis, il processo di decarbonizzazione dell’acciaio, richiesto da Europa e contenuto nei piani programmatici regionali (si pensi al PEAR), soprattutto non a discapito della salute dei cittadini e dell’ambiente di un territorio già fortemente ferito e violato.
Non possiamo, pertanto, restare in silenzio facendo passare il messaggio secondo cui l’accensione dell’altoforno rappresenti meramente ‘un passo per la ripartenza’, come dichiarato. Infatti, resta irrisolta la questione cruciale di coniugare il modello di produzione con la salute di lavoratori e dei cittadini e con la salubrità dell’ambiente.
Siamo ancora in attesa di un progetto industriale discusso e condiviso, magari a mezzo di un Accordo di Programma, che anche gestisca la transizione, più volte auspicato e che stabilisca le reali tappe del processo industriale di decarbonizzazione, ovvero della conversione graduale degli altiforni ad una alimentazione riveniente da fonte energetica nettamente alternativa al carbone, dunque rinnovabile, come peraltro a più riprese invocato dal nostro presidente Emiliano.
Temiamo, invece, che questo imminente evento, annunciato in pompa magna, sia un ulteriore passo indietro e contrario al processo di decarbonizzazione, conservando piuttosto inalterata l’area a caldo basata esclusivamente sull’alimentazione a carbone. Sarebbe un guaio e, soprattutto, un venire meno, da parte del Governo, al patto stretto con i cittadini di Taranto, con le lavoratrici e i lavoratori, con le loro famiglie e con tutta la nostra Regione.
Ricordiamo che la salute e la salubrità dell’ambiente sono diritti umani fondamentali e imprescindibili che Taranto e la Regione invocano da troppo tempo e senza dei quali non vi può essere una ripartenza sostenibile.
Chiediamo piuttosto un diritto al futuro per 1.500 lavoratori ancora dipendenti e in Cassa integrazione a zero ore, in attesa, dopo tanti anni, di una giusta e sana ricollocazione in un ambiente lavorativo salubre.
Insomma, non slogan di inquinanti e dannose ripartenze ma salute e diritti per Taranto e, come assessora con delega anche alle Crisi industriali, insieme alla task force Occupazione della Regione, auspichiamo ancora soluzioni definitive e sostenibili per i lavoratori e per il futuro di una città, Taranto, che sta pagando da troppo tempo la totale mancanza di molteplici diritti della persona umana”.