Se ne va Adelchi, il 'padrone' vecchi tempi


FRANCESCO GRECO
. TRICASE - Non so come, nè perché, anni fa mi ritrovai a Tricase (Lecce) nella villa dell’imprenditore Adelchi Sergio. Ormai era un tranquillo pensionato.

Era d’inverno, gennaio: intorno c’era silenzio, lui era seduto accanto a un grande focolare, rapito come se ascoltasse la voce del fuoco, accudiva una “pignata” di fagioli.

Alzò lo sguardo e con una luce di dolcezza negli occhi, disse: “Quello che conta, ormai, per me, è cucinare i fagioli come al tempo della mia infanzia, come faceva mia madre… Ritrovare quei profumi, quegli odori…”.

A 79 anni all’ospedale “Cardinale Panico” di Tricase se n’è andato Adelchi Sergio, imprenditore calzaturiero vecchi tempi. Scuola Filograna, tutto paternalismo da satrapi e paghe basse. Sindacati in fabbrica e diritti dei lavoratori niente, o quasi.

Non che la sinistra e il sindacato mettesse loro il fiato sul collo: capita l’antifona, erano diventati consociativi, scenografici, di facciata. Tant’è che i parlamentari di sinistra andavano nelle fabbriche a chiedere i voti, preoccupati solo della loro carriera, status-symbol, non della crescita dei territori, nè del mondo del lavoro. Il livello dialettico delle vertenze era stato abbandonato, per poi essere ripreso in una fase successiva.

Come Filograna (Filanto, Panfil Winnetou), anche Adelchi era alla prima generazione a fare impresa, ciabattini divenuti imprenditori. Non poteva che essere così. Senza formazione né cultura d’impresa. Autodidatti. Uomini del Novecento.

Il territorio salentino (fra Casarano e Tricase) con un “polo” industriale molto articolato che prevedeva anche il lavoro femminile delle tomaie a domicilio, ha avuto un minimo di ricaduta in termini di sviluppo (temporaneamente i flussi migratori si sono bloccati), ma la coscienze dei lavoratori sono rimaste “congelate”.

In una terra assetata di lavoro, forse gli organici delle fabbriche sono stati gonfiati troppo per soddisfare le richieste clientelari dei politici, oltre ai mercati che mutavano pelle e quindi bisognava rimodularsi nell’offerta produttiva con brand diversi.

Elementi che hanno contribuito alla crisi, a trascinare in basso il calzaturiero con vertenze aspre, licenziamenti, cassa integrazione e delocalizzazioni (in Albania e in Asia).

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