SANTA FIZZAROTTI SELVAGGI - “Tristo è quel discepolo che non avanza il suo maestro” (Leonardo da Vinci).
Certamente è profondamente vera l’affermazione di Leonardo da Vinci e in realtà egli non ha mai avuto rivali. È stato il maestro per eccellenza al quale ancora oggi si fa riferimento, dando il suo nome perfino ai robot. Appunto, ai robot, ma non certo possiamo darlo a coloro che annaspano nel tentativo di superare il maestro, forse inconsciamente sollecitati da una sorta di delirio mediatico intriso di narcisismo onnipotente, che nasconde profonde frustrazioni. Leonardo era un genio che espresse se stesso in modo trasversale e interdisciplinare: dall'anatomia all'architettura, dalla musica alla pittura, osservando il presente e guardando al futuro, quasi valicando le barriere del tempo e dello spazio in una sorta di visionarietà che lo lega all’eternità. Mentre scrivo, dinanzi a me ho il testo del Vasari “Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti” e leggo quanto egli scrive sulla vita di Leonardo da Vinci: “Grandissimi doni ci vengono a piovere dagli influssi celesti nei corpi umani, molte volte naturalmente e soprannaturali, talvolta, strabocchevolmente accozzarsi in un corpo solo bellezza, grazia e virtù, in una maniera che, dovunque si volge quel tale, ciascuna sua azione è tanto divina, che lasciandosi dietro tutti gli altri uomini, manifestamente si fa conoscere per cosa (come ella è) largita da Dio e non acquistata per arte umana”. Ho letto, tra l’altro, che in un proverbio giapponese, e come si sa in Giappone i maestri rivestono un’aura di sacralità e rispetto, si afferma che: “Quando l'allievo è pronto, il maestro appare.” Questo vuol dire che se davvero si è pronti ad accogliere insegnamenti di vita, si cerca la figura del maestro, non lo si pone in panchina o in foto appositamente datate e sbiadite senza commento, come se fosse solo un pallido ricordo, mentre pubblicamente si esibisce se stessi sul palco delle vanità, con un corollario in cui mancano solo gli animali domestici di casa. Il tutto sotteso da un non ben celato sentimento di inutile rivalsa, quello che condusse Edipo là dove si congiungono le strade di Tebe, di Delfi e di Daulide, cioè all’incrocio dove assassinò il padre Laio, re di Tebe, per poi inconsciamente sposare la madre Giocasta, dalla quale ebbe quattro figli (Eteocle, Polinice, Antigone e Ismene), con il triste epilogo che lo condusse ad accecarsi per non vedere più lo scempio che aveva posto in essere, sì da ricordare il tragico episodio. Sofocle racconta, infatti, che Edipo, sconvolto dalla profezia dell’oracolo secondo la quale avrebbe ucciso suo padre e sposato sua madre, si allontanò dai genitori adottivi, che credeva fossero quelli biologici, e sulla via della Beozia incontrò il re di Tebe, suo vero padre, che risaliva in senso opposto per consultare anch’egli l’oracolo di Delfi. Non potettero riconoscersi ed essi giunsero alla colluttazione per motivi di precedenza: il più giovane, per questione di naturale forza, soppresse il più anziano. Il che accade ancor oggi, essendo mutati gli strumenti ma non già l’arcaicità dell’animo umano: ed è sull’Edipo che S. Freud costruì le fondamenta della psicoanalisi. E ancor oggi, proprio a quell’incrocio funesto, c’è una piccola stele a memoria di sì grave vicenda, che ci insegna che a volte figli e allievi non riescono ad evolversi individualizzandosi, riconoscendo i propri limiti e coloro che in modo simbolico o biologico li hanno generati. Dalle tragedie greche e dai miti c’è sempre da imparare. Nel libro VII de "La Repubblica", Platone presenta il ruolo del filosofo e dunque del “maître à penser”, del maestro che, libero da stereotipi e pregiudizi, ha la responsabilità di guidare gli altri, anche se ciò comporta appunto l’ambivalenza e la resistenza, come nella vicenda di Edipo.
Ma c’è ancora tutto da imparare, per esempio, da Leonardo circa la bisessualità. Invero, lo siamo tutti, perché in noi vi sono entrambi i genitori (padre e madre, maschio e femmina), ma entro il primo anno di vita scegliamo di solito la monosessualità. Il che vuol dire sempre una perdita. E nonostante oggi tanto si discetti sui vari orientamenti sessuali in modo non sempre chiaro, la bisessualità è per molti ancora sconosciuta, tanto da non considerarla. Non si tratta di ermafroditismo, ma di orientamento sessuale verso persone sia dello stesso che dell’altro sesso. Il che può essere non solo un’attrazione di natura fisica, ma anche affettiva, emozionale, elettiva. E a proposito di bisessualità, che evidentemente va oltre gli stereotipi ormai desueti e stantii, se non dannosi, di donne contro o a confronto con uomini, pur esibiti finanche in ambito medico in incontri e congressi dal sapore vagamente spettacolare, mi viene in mente S. Freud quando, la sera del 17 ottobre 1909, di ritorno dall’America, piuttosto deluso dalle esperienze statunitensi, scrive a Jung: “Da quando sono tornato ho avuto un’idea. Il mistero del carattere di Leonardo mi è divenuto improvvisamente trasparente.” E così nel 1910 pubblicò il famoso saggio “Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci.” Un saggio straordinario sulla sessualità e personalità di Leonardo, che poteva permettersi, senza esibizione alcuna da avanspettacolo, che “tristo è quel discepolo che non avanza il suo maestro”. Freud analizza un sogno di cui lo stesso Leonardo racconta nel Codice Atlantico: “…questo scriver si distintamente del nibbio par che sia mio destino perché nella prima ricordazione della mia infanzia mi parea che, essendo io in culla, un nibbio venisse a me e mi aprissi la bocca con la sua coda e molte volte mi percotessi con tal coda dentro le labbra.” Freud analizza il sogno e giunge infine, dopo una complessa analisi, alla considerazione che oltre al suo interesse per il volo, Leonardo sublimò le pulsioni sessuali, omosessuali, trasformandole in brama sempre inappagata di conoscenza. Invero, era al di là della ormai triste diatriba tra maschi e femmine, uomini e donne e altro ancora. In una delle ricostruzioni della vita di Leonardo, tanto amato da Freud, si nota come una certa insoddisfazione accompagnasse il genio per eccellenza: e così leggo che Giorgio Vasari racconta come le sue ultime parole in punto di morte furono di rimprovero verso se stesso per aver offeso Dio e gli uomini, non avendo fatto ciò che avrebbe dovuto nella propria arte. Certo è che per una donna scegliere un mestiere per tradizione maschile non è semplice: vale per tutti l’esempio della grande pittrice seicentesca Artemisia Gentileschi, che in quel tempo affrontò seri problemi perché il mestiere di pittore era un “mestiere da uomini”… Ma tutto cambia: percezione, strumenti, consapevolezza. Ciò che non muta sembra essere una profonda “invidia” che finisce per corrodere ogni relazione umana, a cominciare da questi rapporti tra i sessi, per finire ai figli nei confronti dei genitori e agli allievi nei confronti dei maestri degni di tal nome. Il racconto del Giardino dell’Eden in Genesi si ripete. In fondo, il voler essere come Dio, ascoltando le voci seduttive in noi celate, ci conduce solo ad entrare nel Tempo e a incontrare il nostro limite. L’episodio dell’Ultima Cena ci racconta ogni cosa dell’animo umano, ovviamente non evoluto in scienza, conoscenza, coscienza e amore: “Uno di voi mi tradirà” e poi “... non canterà il gallo prima che tu mi abbia rinnegato tre volte”. Ma il Maestro non ebbe timore e anzi dalla Croce disse: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno".