MOLA DI BARI - Melodramma tra i più rappresentati al mondo, «La traviata» rimane un classico delle programmazioni d’opera. E ora va in scena anche in quella piccola bomboniera che è il Teatro van Westerhout di Mola di Bari, dove il demi-monde rappresentato nel capolavoro di Giuseppe Verdi, ispirato a «La signora delle camelie» di Alexandre Dumas, viene presentato per l’Agìmus, sabato 30 novembre (ore 20.45) e domenica 1 dicembre (ore 19.15), in una versione da camera con le voci dei tre personaggi principali affidate a Libera Granatiero (Violettà Valéry), Aleandro Escobar (Alfredo Germont) e Roberto Calamo (Giorgio Germont), accompagnati dal Coro e Orchestra Ico Suoni del Sud diretti da Benedetto Montebello. Ad arie e duetti faranno da collante le narrazioni dell’attore Riccardo Canessa, che imbastirà la storia di questa donna sola costretta a fare i conti con se stessa e la società dalla quale è circondata: un ambiente mondano che da una parte la esalta, ma al tempo stesso la emargina. Una donna, Violetta, sempre libera di folleggiar di gioia in gioia, ma a un certo punto costretta a ritirarsi a vita privata per via della tisi, proprio mentre ha scelto l’amore di Alfredo Germont, che però si rivela un amore anche questo malato.
L’opera, com’è noto, non ebbe un gran successo al debutto, avvenuto il 6 marzo 1853 al Teatro La Fenice di Venezia. D’altronde, Verdi sapeva di rischiare molto portando in scena il dramma borghese tratto da una vicenda contemporanea, quella della prostituta Marie Duplessis amata da Alexandre Dumas figlio, che la consegnò a futura memoria col nome di Marguerite Gautier nel romanzo «La Dame aux camélias». Insomma, un diretto archetipo di Violetta, che oggi chiameremmo escort.
La storia narra, infatti, di una famosa mondana nella Parigi dell’Ottocento che, incontrando il gentiluomo Alfredo Germont, si rende conto di essere per la prima volta veramente innamorata. L’amore dei giovani è però contrastato dal padre di lui, Giorgio, perché quel legame fa scandalo. Violetta sceglie di partire per il bene del suo amato, ma poi la malattia dalla quale è affetta, la tisi, nel terzo atto, peggiora. Ma Violetta, sola, a Parigi, gravemente provata, riceve una lettera da Giorgio Germont, il quale, pentito, le annuncia di aver rivelato la verità al figlio, che sta per raggiungerla. Violetta è felice, Alfredo è lì al suo capezzale, ma per lei non c’è più nulla da fare. La tisi la uccide davanti a lui, in un clima di acuto dolore, addolcito però dalla purezza di un amore vero. L’amore di una donna alla quale bisogna riconoscere di aver saputo con grande dignità coltivare ambizioni sentimentali nate all’interno della propria condizione di cortigiana, attraverso uno slancio vitale e intellettuale tutto personale. Senza dimenticare che la sua consacrazione a icona passerà attraverso un tragico destino. Morendo, infatti, Violetta libera da un amore imbarazzante quel figlio di papà di Alfredo Germont, insopportabile prodotto dell’ipocrisia di una società intorno alla quale si consuma il dramma borghese raccontato con molte sfumature autobiografiche da Dumas figlio e, successivamente, dal tandem Piave-Verdi.
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